YORICK. Un Amleto dal sottosuolo @ Teatro della Toscana: la visione capovolta della realtà  dei folli

Leviedelfool portano sulla scena del Teatro Era di Pontedera e in replica al Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci, YORICK Un Amleto dal sottosuolo, un monologo di Simone Perinelli, avvolto dalla musica di Massimiliano Setti, dall’eco delle note parole del dramma di Amleto, circondato dalla complessa scenografia di oggetti, luci, video e effetti speciali che confondono e invadono lo spettatore.

a cura di Sandra Balsimelli e Alice Capozza

Amleto raccontato dal sottosuolo diventa una danza inquietante sulla linea di confine. Linea che separa ciò che solo unito esprime un significato comprensibile: il sopra dal sotto, la vita dalla morte, la ragione dalla follia. E’ Yorick lo stralunato Caronte di questo universo abbandonato al di sotto del mondo dei vivi, il fool mancato di Shakespeare, di cui conosciamo solo le parole dedicategli dal Principe di Danimarca, davanti al suo teschio privo di vita.

Yorick, riscritto e intepretato da Simone Perinelli de Leviedelfool, diventa di volta in volta, cappellaio matto, giocoliere, giullare, scheletro spaventoso e pirata dell’anima, vive in un non luogo sotterraneo popolato di oggetti onirici, in una vasca, tra clowneschi birilli rossi, una gallina morta, microfoni dai quali intessere un impossibile e surreale dialogo con il mondo di sopra; da qui arrivano attutiti i rumori della tragedia che, vista dal sottosuolo, assume i contorni grotteschi di una farsa senza senso. Yorick è tutto ciò che non ci aspettiamo: un uomo malato, un uomo cattivo, un uomo sgradevole, col mal di fegato, probabilmente pensiamo che il giullare voglia farci ridere, ma ci sbagliamo. Yorick ha udito tutte le parole di Amleto e le restituisce dal buio dell’Ade, viste con lo sguardo obliquo e inquitante di chi non ha nulla da perdere, ascolta e commenta la caduta dalla vita di Amleto verso la morte, verso quel mondo che solo Yorick davvero conosce e domina: “Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne conosca la tua filosofia”. Ascoltiamo trasfigurate le parole (parole, parole, parole) della tragedia shakespeariana, che ben conosciamo, ma non riconsociamo così tritate e mixate dal folle omaggio reso al Bardo da Leviedelfool.

Il noto dramma di Amleto si trasforma in un racconto in ritmo ossessivo, le parole s’intrecciano in una storia sincopata che narra il destino dei matti, quelli che devono andare via affidati al mare sulle navi dei folli. I matti, un tempo profeti entusiasti, invasati dal dio, oggi trasformati in malati, reietti, esiliati, profughi naufraghi nel mare senza confine, inaccettabili perché capaci di attraversare in bilico le frontiere, di sbaragliare la linea di confine, i cordoni protettivi della nostra normalità. “La distanza è una nave illuminata nel mare di notte… lontana da tutti… dove tutto è orizzonte”: quelli del sottosuolo vanno tenuti a freno, vanno tenuti in silenzio, ma se vengono alla luce sono imprevedibili e incomprensibili.

I matti sanno raccontare ciò che nessuno vorrebbe udire: “Nessuno somiglia a me, io non somiglio a nessuno” dice Yorick “Io sono uno e loro sono tutti” e la loro danza, un tempo sacra perché incontenibile, diventa patologia, schedata e protocollata dalla medicina, “il mare infinito si è fatto pozzanghera… di gocce di Diazepam”.

Solo la morte sembra resistere come simbolo dell’ignoto senza forma. Davanti ad essa gli uomini si disperano, urlano, singhiozzano, come la regina madre, davanti alla tomba di Ofelia. I folli ne ridono, improvvisandosi pirati fuori legge, capaci di varcare con un irriverente vascello anche quel confine estremo, oltre il quale tutto il resto è silenzio.

Potente l’interpretazione di Simone Perinelli, che dà vita ad un personaggio inquieto e indimenticabile, scosso da una sorta di febbre ossessiva che ne trasforma movenze e parole in una danza psichica a stento trattenuta, che ha l’insistenza penetrante di quei ritmi incontrollabili, capaci di entrare nella mente come ossessioni che separano dal mondo, il mondo che non sente, non danza, non respira come noi.

Interessantissima la scelta di fondere testo classico e monologo interiore in cui le parole parlate hanno lo stesso ritmo rotolante delle parole cantate e scivolano via prima che lo sguardo attonito dell’attore ci mostri di averne capito il senso. Come se il racconto della vita accadesse prima e al di là di ogni possibile tentativo di controllo o comprensione razionale e ci trascinasse con sé rendendoci tutti inconsapevoli attori in caduta libera verso il nulla temuto e poi desiderato: “Un tempo temevamo quel grido oggi lo attendiamo come fosse un canto”.

La mente di Yorick non segue la logica discorsiva del mondo di sopra, dove alla luce del sole ogni cosa è distinta dalle altre. Nel sottosuolo si palesano connessioni inedite, oltre il tempo, oltre lo spazio, ricostruendo una rete sfrangiata tra parole, miti e realtà. Solo i folli colgono il nesso tra le parti disseminate del cosmo, il filo che unisce le parole e le immagini oniriche di ogni racconto archetipico e le vicende reali in cui si sbriciola il nostro quotidiano. Per questo forse vanno allontanati, perché colmano distanze di cui vorremmo scordarci, che vorremmo rimuovere dal nostro cosciente.

Come la struggente verità della commovente telefonata d’addio alla sua amata di un morto, forse un suicida, un folle: “Come io mi sento? Come mi sento? Resisti al Natale resisti… Il Natale alla fine passa”. E irrompono il pianto e le grida di dolore straziato sulla preghiera Eterno Riposo: “Stasera pensami perchè, se anche non mi vedi, da qualche parte di passaggio io ci sono”. Ma Yorick vive morto nella vasca, come nel quadro de La morte di Marat, insaguinato senza sangue, abbandonato nell’attesa senza vita, e deride col suono allegro da balera della fisarmonica tutte le morti; anche l’attesa della morte di Amleto, folle di vendetta e di rabbia incontrollabile contro l’ingiustizia subita, vista, analizzata, paralizzante: la camicia di forza autoinflitta di un matto. Ofelia è irrisa nella rappresentazione di una gallina morta in scena, provocatoria immagine della vittima sacrificale di un mondo farsesco di simulazione e finto melodramma, quando le lacrime della Regina interrompono il requiem eterno di Yorick giocando sull’ipocrisia di quel lutto. Apice della farsa la filastrocca infantile della Vispa Teresa, recitata come una specie di mantra che si ripete per mantenere in ordine i pensieri, una sorta di litania per non perdere il filo, come una rotta a cui aggrapparsi prima che la mente s’infranga inesorabilmente in mille link possibili e incontrollabili: la canzone napoletana di cui non capisci le parole ma ascolti la melodia, il mercato del pesce di seppie e calamari, il leone e l’uomo di latta de Il Mago di Oz, una bottiglia vuota senza il messaggio e le parole eterne di Amleto.

Collegamenti fuggevoli nella mente dello spettatore, invaso e disorientato dal susseguirsi di immagini, suoni, parole che si interrompono e riprendono senza sosta, chiedono l’abbandono all’incomprensibile, invocano l’ardire di superare la linea di confine.

Il marinaio chiamato in scena che non appare mai, ci chiede di Attendere Godot, con fiducia nell’arrivo di qualcosa che dia senso al caos; ma non ha un valore pregnante in sé, non è il God di Godot: è solo un marinaio la cui aspettativa tradita getta un’ombra inquietante sull’imprevedibilità e la casualità impazzita degli eventi, niente di ciò che ci si aspetta accade, il copione che crediamo di seguire non si concretizza nei fatti che restano imprevedibili. Forse si risolve nella comparsa alla fine di quell’atteso marinaio col timone in mano, guida del vascello piratesco sui mari della follia, come se in fondo ci fosse una regia, una rotta, per quanto sconclusionata, nel viaggio della mente, nella navigata verso l’ignoto che ci propone Yorick, anche se non ci è dato conoscerla e comprenderla.

Venghino, signori venghino, prima o poi moriamo tutti: ecco la vera rivoluzione, se solo sapessimo capirla. È il giorno della morte che dà alla vita il suo valore”

Info:
YORICK
uno spettacolo di LEVIEDELFOOL
drammaturgia e regia Simone Perinelli
aiuto regia Isabella Rotolo
musiche originali Massimiliano Setti
e al violoncello Luca Tilli
disegno luci e scene Fabio Giommarelli
tecnico del suono Marco Gorini
costumi Labàrt Design di Laura Bartelloni
foto e grafica Manuela Giusto
produzione Fondazione Teatro della Toscana, Leviedelfool
con il sostegno di Pilar Ternera / Nuovo Teatro delle Commedie e ALDES / SPAM!
collaborazione artistica Roberta Nicolai

Teatro Era, Pontedera (PI)
14 ottobre 2018

Teatro Studio Mila Pieralli, Scandicci (FI)
10 novembre 2018

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