YESUS CHRISTO VOGUE@Teatro Orologio: Dio e la coltre del dubbio

Parlare di un’opera come YESUS CHRISTO VOGUE, andato recentemente in scena al Teatro Orologio, non è facile. Non è facile perché si tratta di un lavoro difficoltoso per comprensione ma drammaturgicamente profondo, realizzato da una delle compagnie più interessanti degli ultimi anni, Vucciria Teatro, cresciuta nell’alveo off e lì maturata con grande tenacia.
L’opera lascia emergere il percorso di crescita in scrittura e resa drammaturgica della Compagnia, che in questi anni ci ha regalato spettacoli dal forte impatto “fisico” e dalla profonda complessità psicologica; opere viscerali, pesanti come schiaffi al nostro perbenismo borghese, tanto da lasciare i nostri occhi tumefatti dalla cruda realtà messa in scena (più vicina al nostro vissuto di quanto si pensi). Una compagnia che però, in quest’opera, si è allontanata dal realismo imperante delle prime opere per sviscerare una riflessione filosofico-esistenziale sull’Uomo e sul senso dell’esistenza. Non senza qualche pecca.

Veniamo calati fin dall’inizio in un contesto post-apocalittico, domina il fumo di scena e le luci basse (luci importantissime in questo spettacolo, usate per sottolineare gli stati d’animo e per illuminare le riflessioni più che le persone in sé ). La scena è spoglia, richiamerebbe forse un giardino primitivo (un ritorno alle origini e all’Eden). Dal pavimento di scena, ricostruito, emergono delle pozze d’acqua, simbolo di vita, ma qui calpestata o schizzata con fare rabbioso da due anime, uomo e donna, rimaste sole, una sorta di Adamo&Eva 2.0 “predisposti all’infelicità e incapaci al suicidio”. Incerti sul da farsi, vagamente ostili fra loro e dilaniati dal dubbio di mettere al mondo un figlio che sembra già dichiaratamente destinato all’infelicità, troveranno in un drammatico confronto/scontro quello spunto di salvezza proprio nell’atto procreativo, che potrebbe, forse, innalzare l’Uomo a nuovo Dio.
Sullo sfondo la personificazione di un Cristo effemminato (interpretato da Joele Anastasi) dal viso dipinto; assistiamo alle varie tappe di una via crucis immaginaria del suo disfacimento agli occhi della consocenza, cucita su frasi e versetti biblici appositamente studiati anche se troppo velocemente proposti da un audiovisivo frettoloso e vagamente sfocato. Questa immagine di un Dio diverso, lontano, sul fondo della Scena non sembra aiutarli, ma parlare una lingua antica che gli Adamo&Eva 2.0 non riconoscono più, perché, di fatto, “Dio è morto” o almeno è morto nel loro cuore e nel loro pensiero. E l’unica via di uscita che si propone loro ,è ricoprire alfine quel ruolo stesso di Dio creatore, ripartendo dall’Amore reciproco.

Dal punto di vista della drammaturgia, di Joele Anastasi l’opera è ineccepibile: le riflessioni dei due protagonisti sono sorrette da frasi dal lessico prezioso e profondo, dense di subordinate, colmo (fin troppo) di spunti filosofici e teoretici e riferimenti al sempre verde tema della Vita come Dolore (ci potremmo leggere le teorie dell’eterno oscillare fra piacere e dolore di Schopenhauer o riferimenti alla Natura maligna di Leopardi, o il pessimismo cosmico di Nietzsche e la negazione di Dio, fino alla volontà di potenza e creatrice dell’Oltreuomo).

Rispetto ad un’opera come BATTUAGE, dove si analizzava il logorio di anime dannate e perdute in un folle delirio ormonale ed esistenziale, qui il delirio esistenziale diventa dunque filosofico. L’elemento religioso, volutamente stravolto nelle fattezze rispetto all’iconografia tradizionale, è l’elemento straniante e il catalizzatore della disperazione inascoltata dei due umani rimasti solo al mondo. Ma non sembra avere una reale capacità interattiva, forse volutamente. Lo spettacolo resta così letteralmente diviso fra la performance dei due superstiti e quella del Cristo senza che se ne avvertano spunti di congiunzione. Inoltre, per tutta la durata della rappresentazione, permane una coltre di dubbio: l’aria stessa è rarefatta (quasi irrespirabile) ed il fumo di scena contribuisce a creare una certa distanza dallo spettacolo e anche dal reale significato dell’opera che sfugge. Il problema dell’opera sta forse qui: nella pretesa di mandare un (o molteplici) messaggio filosofico-esistenziale universale e terribilmente attuale (la fine del mondo esemplificata nei monitor che si trovano prima dell’ingresso in sala sono profetici di una realtà terribilmente attuale) all’interno di una messa in scena asettica e priva di punti di riferimento reali cognitivi chiari.
Inoltre, l’attenzione dello spettatore, affascinato dalla prosa elegante e ricercata, viene stimolata e pungolatada molteplici spunti interpretativi difficili da seguire tutti insieme e da cogliere appieno, al punto di distogliere l’attenzione dal senso ultimo dello spettacolo. C’è dunque il rischio di smarrire il messaggio ultimo di analisi e comprensione del testo e quel puntiglio sulla Sofferenza immanente di cui sarebbe preda l’essere umano, quella terribile Solitudine dell’Uomo che perviene alla crudele realtà che il Divino non c’è più, forse non c’è mai stato.

Le interpretazioni di Sortino e Federica Carruba Toscano sono intense e profonde, ma tradiscono una certa emozione che non influisce sulla resa finale, mentre ancora una volta, sul corpo di Joele Anastasi ruota l’aspetto performativo dello spettacolo, che però resta sullo sfondo ed emerge nella sua pienezza di significato solo nelle battute finali, intramezzandosi coi dialoghi dei nuovi Adamo&Eva.
Come sempre apprezzabile l’aver mantenuto la cadenza siciliana, uno dei tratti identificativi di questa compagnia, mantenuta anche nelle altre opere. Convincente e appassionata Federica Carruba Toscano cui viene affidata la parte più tragica, quella della portatrice di vita che si rifiuta di essere tale. Non c’è Amore in Lei, è l’esatta immagine della Sofferenza rabbiosa contro un mondo finito e un Dio lontano.
Il nudo finale, gratuito e forse superfluo di Adamo&Eva 2.0, indicherebbe uno spogliarsi delle proprie paure per vivere una nuova rinascita, che li riavvicini e li sostituisca a quel Dio rimasto sempre sullo sfondo, una prospettiva che abbiamo letto come colma di speranza soprattutto quando la realtà fuori dal teatro, quella che stiamo vivendo nei più recenti fatti di cronaca (le stragi terroristiche di Parigi e Bruxelles) conferma la tendenza distruttiva dell’Uomo e la sua Solitudine, davanti ad un Dio che o non c’è o non ascolta o semplicemente resta sullo sfondo in una coltre di inestricabile dubbio.

YESUS CHRISTO VOGUE

di Joele Anastasi
con Joele Anastasi, Enrico Sortino, Federica Carruba Toscano 
regia Joele Anastasi
scene Giulio Villaggio
costumi Alessandra Muschella
aiuto regia Enrico Sortino
disegno luci Davide Manca
video e graphic design Giuseppe Cardaci
foto di scena Dalila Romeo
realizzazione scene Alessandra Muschella, Giulio Villaggio
aiuto regia Nathalie Cariolle
organizzazione Chiara Girardi
responsabile tecnico Omar Scala
mediapartner Saltinaria
ufficio stampa LeStaffette
produzione Progetto Goldstein 
co-produzione Vuccirìa Teatro

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