Possono le vite banali e ordinarie degli uomini danzare vorticosamente tra normalità e follia per poi infrangersi al suolo come vetri rotti? La risposta è affermativa. Ed è proprio su questa danza ritmata che dalla normalità passa alla straordinarietà, in una tessitura in crescendo che si basa VETRI ROTTI di Arthur Miller in scena al Teatro Eliseo fino al 16 febbraio.
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VETRI ROTTI: un testo potente e magnetico
VETRI ROTTI è uno di quegli spettacoli in cui la penna dell’autore diventa strumento potente e magnetico. Ed è da questa consapevolezza dalla quale parte la regia, asciutta e raffinata di Armando Pugliese, che punta tutto su un testo magistrale e sulla recitazione e il talento degli attori. Corpo e voce, senza aggiunte e le parole trasformate in emozioni diventano il nucleo fondante dello spettacolo.
La scenografia è essenziale, in completa sottrazione, punta su una struttura pulita e netta in legno naturale. Una stanza di una casa, semplice, spoglia, quasi fosse un container. Gli oggetti di scena sono fatti non per riempire lo spazio ma per essere semplicemente funzionali agli attori, per essere usati da questi. Lo stesso per il disegno luci, che sceglie luci neutre e fredde, ad illuminare la scena senza riempirla o soffocarla. Tutto risulta essere funzionale ai veri protagonisti di questa pièce; il testo di Arthur Miller e la presenza scenica degli attori.
I movimenti di scena sono perfetti, anch’essi in sottrazione ma dinamici e potenti, come in un raffinato meccanismo di un orologio svizzero. L’energia, nelle undici scene, è sostenuta ed equilibrata anche nelle parti più drammatiche. La recitazione risulta naturale, senza eccessi, sostenuta ma estremamente naturale e attuale, quasi cinematografica.
Miller al Teatro Eliseo: l’eccidio nazista e la difficoltà di essere ebrei
Il testo di Miller è moderno e potente allo stesso tempo. Ci proietta in un’atmosfera newyorkese degli anni ‘40, alle soglie dell’eccidio nazista.
Ed è proprio questo preludio alla follia, la notte dei cristalli, che turba la protagonista, un’intensa e magistrale Elena Sofia Ricci che ci restituisce il ritratto di una donna ebrea fragile e al contempo forte, nevrotica in quanto assetata d’amore che per motivi oscuri perde la sensibilità e quindi l’uso delle gambe. Attorno a lei e alla sua vicenda si muovono come in un carillon a tensione crescente personaggi perfettamente definiti e delineati nella loro complessità umana, psicologica e narrativa. Phillip (un bravissimo e mai eccessivo Maurizio Donadoni) marito innamorato e disperato della donna ,Harry Himan ( un equilibrato e carismatico David Coco) il dottore che prende in cura il caso della donna con passione e devozione.
La trama di VETRI ROTTI
La trama è pregnante nella sua complessità drammaturgica. La paralisi alle gambe della donna è solo il preludio ad un’analisi più profonda delle esistenze in gioco. Lentamente e inesorabilmente la vita di coppia viene svelata e analizzata, quasi messa al microscopio, ma con discreto e borghese perbenismo.
Oltre alle apparenze di perfezione della donna e del consorte, emerge la frustrazione, la rabbia soffocata, i rimorsi, le paure i rimpianti. Le difficoltà di vivere una vita sbagliata, le rinunce fatte per l’altro che bloccano e paralizzano.
La difficoltà di accettare se stessi in quanto Ebrei, o semplicemente essere se stessi, in un mondo che ghettizza e punta il dito sulla diversità, il dover essere sempre in affanno sul dimostrare di essere come gli altri, al livello degli altri. Esistenze in affanno, in una statica e sterile corsa che non conduce a niente, se non alla rabbia e al dolore. E in questo emerge la potenza della figura femminile, una femminilità isterica, rabbiosa, e contemporaneamente vogliosa di amore e dolcezza, una femminilità a 360 gradi, che somatizza il dolore a livello fisico e che sfugge agli occhi e al cuore di un universo maschile incapace persino di avvicinarsi, se non con goffi e impotenti tentativi.
Il testo di Miller si sofferma proprio su questo: sull’inabilità tutta umana tra i due universi, maschile e femminile, di incontrarsi fondersi e comunicare pienamente. Il maschile risulta spiazzato dalle sfumature velate, di silenzi urlati e assordanti del mondo delle donne. Entrambi i protagonisti maschili sono frenati emotivamente nella loro razionalità, assistono come impotenti all’esplosione della natura “animica” femminea. Anche i convincentissimi attori secondari (solo a livello testuale): Elisabetta Ariosto, Alessandro Cremona e Serena Amalia Mazzone potenziano queste dinamiche relazionali rendendo netto il distacco tra i due mondi.
VETRI ROTTI:siamo tutti fatti di vetro
Tutto può essere riassunto nella frase del dottor Himan che rivolgendosi a Phil afferma che “è difficile essere qualunque cosa”.
Ed è questa la sensazione che rimane, la difficoltà di essere pienamente se stessi nel contesto e nella storia. La difficoltà dell’uomo moderno di sentirsi in qualche modo adeguato e in affanno rispetto alla vita, in un perenne stato di prigionia. Il finale della pièce, geniale e spiazzante, restituisce questo senso di prigionia e di volersi liberare dalle catene. Dai vincoli.
Tempo, spazio e storia si fondono in un domino prezioso, ogni tassello è necessario affinché la trama si sviluppi e ci catturi Le parole di Miller vengono vissute pienamente dai protagonisti, rendendo di forte attualità il testo, e spingendo lo spettatore a prendere la consapevolezza che oltre alle apparenze siamo fatti di vetro, che può letteralmente rompersi e portarci in altre direzioni.
Vetri rotti – Teatro Eliseo
di Arthur Miller
traduzione Masolino D'Amico
con
Elena Sofia Ricci
Maurizio Donadoni
David Coco
e con
Elisabetta Arosio, Alessandro Cremona, Serena Amalia Mazzone
Scena Andrea Taddei
Costumi Barbara Bessi
Luci Gaetano La Mela
Musiche Stefano Mainetti
Regia Armando Pugliese
Foto: Mario D'Angelo