VERSO CASSANDRA @ TeatroOutOff: una profetessa di sventura

A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino e a 29 dalla genesi del progetto, Farneto Teatro ripropone la Trilogia dell’Est Europa al teatro Out Off di Milano. Maurizio Schmidt ed Elisabetta Vergani, fondatori dell’associazione Farneto, per celebrare la ricorrenza scelgono tre testi apparentemente svincolati e di autori diversi, ognuno a suo modo sovversivo e idiosincratico. Memorandum di Vaclav Havel, liberale cecoslovacco avverso al regime comunista, testo afferente al teatro dell’assurdo e L’Orazio, dramma didattico di stampo brechtiano, del drammaturgo tedesco Heiner Müller indagano rispettivamente l’inesorabile disumanità delle relazioni e il rapporto tra verità e linguaggio.

Se i primi due testi riflettono in diversa misura sul cortocircuito linguistico scaturito dalla deriva delle ideologie, Cassandra, dal cult-book di Christa Wolf, segue il fil rouge della ricerca della verità tramite la finzione teatrale. Questo nell’ottica di individuare squarci di umanità in un mondo uso alle guerre e assuefatto alla violenza indiscriminata spesso perpetrata in nome di ideologie politiche subdole e contraddittorie che in nome di una giustizia putativa oltraggiano ogni autentica e genuina forma di espressione del sé. Con il personaggio di Cassandra la partita si gioca sul piano della volontà mutilata e della conoscenza forzata e intrasmissibile. Può prevedere ma è impossibilitata ad agire perché inascoltata e stigmatizzata come una folle squilibrata; questo per l’infantile capriccio dell’arrogante Apollo il quale per ripicca la condanna a non esser creduta.

Verso Cassandra è un’analisi al contempo retrospettiva corale e intima, che ripercorre i momenti salienti di un’esistenza ai margini: dalla fanciullezza ignara ai dieci lunghi anni della Guerra di Troia sino all’ingloriosa vittoria di Micene e alle sue nefaste conseguenze. Elisabetta Vergani carica il suo personaggio di una duplice anima, l’una classica, l’altra contemporanea, instaurando un legame fra tradizione e innovazione sulla scia del romanzo della Wolf: la Cassandra in scena è la reietta, l’oppressa risucchiata dalla grande storia e impotente di fronte al suo tragico decorso, ma anche voce femminile che incarna l’inquietudine dei nostri tempi, una donna di idee che si scaglia contro le ideologie. Le due anime convivono e si compenetrano mosse dallo stesso impulso: risuscitare un umanesimo perduto, sopraffatto da sterili dottrine e da una volontà di potenza castrante e autodistruttiva. Posto che la necessità passata, presente e futura sia quella di restituire dignità all’uomo, lo strumento messo in scena dal regista Maurizio Schmidt è il ritorno all’antichità mitica attraverso la microstoria, quella degli aneddoti e delle sensazioni più che dei fatti altisonanti.

 Il corpo fiacco e logorato di Cassandra si aggira fra ruderi invisibili di un passato ormai perduto in un ‘presente senza memoria’, che si palesa con la voce impersonale e asettica di un’audioguida e apre e chiude lo spettacolo istituendo una sorta di cornice entro la quale domina la voce di Cassandra, voce del racconto e dell’esperienza. Inseguendo le vestigia della memoria, offre una testimonianza intima e dolorosa che finalmente può essere ascoltata.

 È un teatro di senso più che di forma: Cassandra si confessa in un flusso incessante di passioni, lamenti, risentimenti, affetti e invidie; appare finalmente come un personaggio a tutto tondo e non solo vittima in balìa degli eventi o la profetessa di sventura imbalsamata dalla tradizione.
Allo stesso modo i personaggi che popolano il travolgente monologo non hanno più la foggia di eroi, non sono più icone letterarie cristallizzate: la seducente Polissena, l’incosciente Paride, il virtuoso Enea, il potente e infelice Priamo e tanti altri si affastellano nel racconto struggente della figlia prediletta del re troiano. Un racconto che è anche presa graduale di coscienza: Cassandra, fiera sacerdotessa e autorità politica legata al potere, scopre gli inganni della guerra e l’impossibilità di scendere a compromessi con la dicotomia imposta dal conflitto, uccidere o morire.
È un corpo stanco e convulso ad agitarsi sulla scena, un corpo che reca su di sé le tracce della discordia.
Prima di spegnersi Cassandra impiega le sue ultime energie per consegnare un lascito ai posteri invitandoli a riflettere come i conflitti non siano altro che inganni orchestrati da chi per imporre la propria volontà di potenza si ostina a inventare un nemico.

L’azione scenica si amalgama elegantemente ai suoni della percussionista etnica Danila Massimi costantemente in scena, quasi corrispettivo sonoro della voce dolente di Cassandra: le suggestioni uditive concorrono nel traghettare lo spettatore contemporaneo in un’atmosfera ancestrale entro cui si consuma la tragedia individuale e collettiva.
La commistione di musica e teatro rende efficace il frenetico fluire delle immagini, il tono pungente della protagonista, l’accavallarsi di situazioni e le molteplici suggestioni letterarie, in primis l’Iliade e l’Orestea di Eschilo: questo per veicolare con veemenza un messaggio inscalfibile e condensato in queste parole “tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”.

Così il teatro si fa spazio di ricerca e di analisi: scandaglia i meandri della storia e del mito per restituire attraverso la finzione la quintessenza della nostra tradizione culturale.
“Il passato non è morto; non è nemmeno passato. Ce ne stacchiamo e agiamo come se fosse estraneo”: in fondo è da questo atteggiamento che Christa Wolf e Farneto Teatro ci mettono in guardia. 

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