È andato in scena fino al 12 giugno al Teatro Sala Uno, VANESSA di e con Vittoria Faro, tratto dal racconto inedito e omonimo di Antonio Amoruso, per la regia di Vittoria Faro con Martino Duane, Giulia Tomaselli, Ivan Giambirtone. Una produzione di Testaccio Lab, iniziativa interamente a favore di Amref Health Africa.
Un’atmosfera rarefatta ed irreale permea l’intera platea e la narrazione scenica di VANESSA, un adattamento dell’omonimo libro scritto da Antonio Amoruso che ha come protagonisti il Signor C (Martino Duane), consulente del Parlamento per un progetto di legge sull’immigrazione, e Vanessa (Giulia Tomaselli), una giovane ragazza misteriosa e seduttiva, una “macchia di colore rosso” che balla su un campo di ortiche.
L’incontro che si consuma tra i due, nell’appartamento “a luci rosse” di un resort in campagna dove l’uomo si è recato dopo la morte della zia e madre adottiva per stare un po’ solo coi suoi pensieri, innesta un cambiamento nel protagonista, che inizia a prendere vita quando la ragazza “scompare senza lasciare traccia”.
Una trasformazione resa possibile anche, e soprattutto, dalla mediazione di due personaggi: il misterioso uomo incontrato al bar del resort, il cui anagramma del nome è “medium”(Ivan Giambirtone), e la donna (Vittoria Faro) incontrata al cimitero accanto alla tomba della cara zia defunta, i quali lo aiuteranno a svelare i segreti “occulti” legati a Vanessa.
La messa in scena colpisce per il suo taglio cinematografico (anche la protagonista ricorda Uma Thurman in Pulp Fiction), spesso onirico, ed è ricco di citazioni che spaziano dal fumetto (nella grafica si strizza l’occhio a Valentina), alla storia, all’arte (come il riferimento al dipinto di Gauguin, appeso alla parete della camera “Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?”). Il nome stesso della protagonista è una chiara allusione a quello della farfalla Vanessa Atalanta, immagine dell’Anima, “Psiche”, e simbolo della migrazione, portata lì sulla scena forse dal Bufis, il vento somalo che “spinge a muoversi”, e che dall’ Africa arriva in Europa.
Vanessa è un thriller teatrale dai tratti noir che parla di immigrazione e di integrazione razziale, della ragione che a volte è troppo distante dalle cose ed ha bisogno di un linguaggio intermediato per poter capire e cambiare le cose. E parla anche di adozione: quella di Vanessa, partita dalla Somalia con la sua famiglia, ma giunta in Italia sola dopo il lungo viaggio “coi barconi”, e quella del Signor C, rimasto orfano da piccolo e adottato dalla zia. Ma prima di tutto il testo ci fa prendere coscienza del fatto che “fermare la migrazione è come fermare le nuvole”: non si può, sarebbe come fermare la vita, ferirla, schiacciare e arginare un processo continuo e vitale.
Nella trama, reale e immaginario spesso si fondono o si confondono anche grazie ai numerosi effetti scenici creati dai giochi di luce, dal voice off come racconto-pensiero interiore del protagonista a dalle musiche che accompagnano e danno ritmo ai cambi di pensiero e di scena. Accurati anche gli elementi scenici: il letto con lenzuola di seta rosse sul quale si è consumata la passione, il quadro di Gauguin, un separé in legno tra la camera e il bagno dal quale la luce filtra a strisce orizzontali (taglio di luce che contribuisce alla creazione dell’immaginario visivo fumettistico), il piccolo frigo-bar e lo specchio in cui il protagonista guarda se stesso, riflette e si interroga.
La scenografia e la regia sono ben curate, peccato per i problemi di sound, dove il mixer dei volumi veniva maneggiato con poca precisione, creando interruzioni a volte brusche nella scena. Bravi gli attori che hanno continuato con disinvoltura nonostante i ripetuti problemi tecnici, ma lascia un po’ incerti la prova attoriale di Vanessa nella prima parte dello spettacolo, troppo freddina e poco in ascolto per essere un soffio di vita. Solo alla fine, quando il personaggio si toglie la parrucca e viene fuori l’attrice, l’ ”anima” respira.
Info:
foto di: Sergio Battista
TEATRO SALA UNO
Vanessa
LA SCENA SENSIBILE
di e con Vittoria Faro