VALZER DI MEZZANOTTE @ Teatro Povero di Monticchiello: il potere salvifico della comunità 

Dal 21 luglio con repliche fino al 14 agosto torna in scena per il 52° anno consecutivo l’autodramma del popolo di Monticchiello, paese medievale arroccato sulle morbide dune collinari della Val d’Orcia. Anche quest’anno si ripete con Valzer di Mezzanotte la magia del teatro nella piazza del paese laddove gli abitanti del borgo, in qualità di attori e sceneggiatori sotto la guida attenta dello storico regista Andrea Cresti, offrono il loro sguardo sulla modernità vista attraverso una lente fatta di genuinità e tradizione. Un teatro denominato povero che ha significato la resurrezione di un paese destinato all’abbandono e che rappresenta tutt’oggi una ricchezza per la storica tradizione del teatro popolare tradizionale toscano.    

Il teatro di monticchiello

Il gioco d’azzardo, la disoccupazione, il precariato giovanile e non, la crisi economica, l’emigrazione. E ancora: il razzismo dilagante, l’isolamento dei giovanissimi con l’uso di cuffie e smartphone, l’imperialismo dell’alta finanza, l’automatizzazione che rimpiazza il lavoro dell’uomo. E’ un condensato di tutti questi temi scottanti della modernità l’ultimo autodramma che il popolo di Monticchiello ha scritto e interpretato sul palco realizzato per l’occasione nella piazza dell’antico borgo medievale. Sulla scia della tradizione e nel solco dei temi trattati negli spettacoli degli ultimi anni, Valzer di Mezzanotte offre un’ampia panoramica sulla contemporaneità ed in particolare su quella modernità in cui l’uomo, in nome del benessere, diventa carnefice di se stesso per mezzo della tecnologia che lo emargina e lo rende inutile. Di fronte a questo scenario apocalittico, il malessere dilagante diventa rassegnazione, desiderio di vendetta, pretesto per la ricerca di un capro espiatorio.

Uno spettacolo corale

Mantenendo il tradizionale carattere corale della sceneggiatura, quest’anno ancora più marcato, quale migliore contesto per confrontarsi e discutere, di una cena tra amici raccolti in un elegante banchetto? Sul palco si intesse una fitta rete di battute che consentono a quel malessere di uscire, di scaricarsi e di scagliarsi sugli altri, giungendo spesso allo scontro verbale, financo a colpi di confetti (rigorosamente tricolore per celebrare la chimerica ripresa economica). Quando poi il dibattito rievoca la figura degli italiani come popolo di migranti, spesso vittime di precariato e di inumane condizioni di lavoro come nella tragicamente famosa miniera di Marcinelle, la scena forse più silenziosa sembra gridare lo sdegno e la vergogna verso un razzismo latente le cui manifestazioni, oggi più che mai, vengono legittimate in nome della legalità e della sicurezza. Per questo ci si sente addirittura in diritto di rifiutare con disprezzo che un cameriere africano serva un piatto di pici (tipico formato di pasta della tradizione culinaria senese) chiedendo che lo stesso cameriere venga accompagnato fuori.

Modernità e tradizione

La trama dello spettacolo si sviluppa attraverso una molteplicità di temi che si intrecciano per costruire un enorme (forse troppo) arazzo della modernità, che ci è sembrato a tratti confusionario sentendo la mancanza di un approfondimento che soprattutto per i temi più brucianti era necessario. Apprezzabile invece l’inserimento di alcuni episodi tratti dalla storia della comunità di Monticchiello che, più di altri anni, in Valzer di Mezzanotte vengono spiegati per consentire anche agli spettatori “forestieri”, ovvero la quasi totalità del pubblico poiché gli abitanti sono sul palco, di comprenderne lo sviluppo, caratterizzato da toni marcatamente nostalgici.

Pur considerando il carattere amatoriale della recitazione, da cui qualche scivolone durante la rappresentazione, un plauso va a tutti i paesani-attori che si sono abilmente districati tra fitti scambi di battute e passaggi angusti nei quali una dimenticanza o un rallentamento potrebbero far saltare l’intero meccanismo teatrale. Allo stesso modo, nonostante la ricca scenografia ben curata, fatta di tavoli e tavolini imbanditi, agganciati ad un sorprendente movimentazione che li rende protagonisti, gli interpreti hanno saputo destreggiarsi senza evidenti intoppi, fino al valzer che, un po’ prima di mezzanotte, chiude poeticamente lo spettacolo.

Regia storica di Andrea Cresti

La regia di Andrea Cresti, vero deus ex machina dell’autodramma da 37 anni, è apparsa precisa e attenta, consentendo di muovere tanti attori tutti insieme su un palco ridotto e occupato da tante suppellettili. Abile in particolare il gioco dei tempi con cui i personaggi fanno il loro ingresso sulla scena in maniera da non incastrarsi e da non bloccare il flusso degli spostamenti e delle azioni.

Ancora una volta, quindi, la comunità del piccolo gioiello della Val d’Orcia si è messa in gioco per dare la sua visione di un mondo che sembra tanto lontano dalla lentezza contadina di queste terre ma che preponderante si fa sentire attraverso il turismo e la stampa. Perciò l’impegno civile e sociale non possono essere tacitati in una visione della contemporaneità dove a fronte dell’isolamento in cui la tecnologia moderna sembra fagocitarci, la risposta può essere solo la solidarietà della comunità che proprio sul finale si riunisce come su una zattera di gericaultiana memoria o su un gommone in balia del Mediterraneo, dove ogni dissidio dovrebbe decadere in nome della salvezza.

Per approfondire: il teatro povero

E’ stato il rischio di ridurre Monticchiello ad un paese-fantasma il motore che negli anni Sessanta ha spinto i pochi mezzadri rimasti ad investire creatività ed energie nella realizzazione di un progetto teatrale che coinvolgesse la comunità. Due gli elementi fondanti immancabili: la coralità e il carattere popolare sia nella stesura della sceneggiatura sia nell’interpretazione. E’ infatti l’assemblea degli abitanti del borgo che discute, si confronta, propone, elabora ed infine sceneggia per la messa in scena in cui gli abitanti si trasformano in attori per il resto del mondo (è proprio il caso di dirlo, visto l’afflusso di turisti da ogni parte del pianeta). Costantemente presenti sono i temi legati al presente, alle sfide che ci mette davanti, alle sconfitte che ci infligge o alle opportunità che ci offre. Immancabili, inoltre, anche gli stralci di storia locale che i diretti interessati inscenano senza rinunciare alla componente dialettale che esalta quell’essere terra di confine divisa tra la Toscana meridionale e l’Umbria, con una varietà lessicale spesso sconosciuta a molti degli stessi toscani. Sebbene sia definito tradizionalmente “teatro povero” non c’è da lasciarsi ingannare: la mancanza di scenografie faraoniche o di monologhi shakespeariani non inficia affatto la valenza sociale ed artistica di un progetto che è fulcro del teatro popolare tradizionale toscano, da cui la nascita in paese di Tepotratos, un museo dedicato alla drammaturgia locale come mezzo di aggregazione e di riflessione. Tale fenomeno nel corso degli anni assume un rilievo addirittura nazionale tanto che sarà lo stesso Giorgio Strehler a definire lo spettacolo della gente di Monticchiello autodramma, così come ancora oggi viene presentato. E da allora la magia si ripete ogni anno a rinverdire quella voglia di riscatto di una terra fatta dell’armonia delle sue colline così come della caparbia tenacità dei suoi mezzadri.

VALZER DI MEZZANOTTE
AUTODRAMMA DELLA GENTE DI MONTICCHIELLO

Piazza della Commenda, Monticchiello
28 luglio 2018
Foto di Emiliano Migliorucci

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