Dal 6 di dicembre presso il Teatro Argot Studio, va in scena “UNA RAGAZZA LASCIATA A METà” interpretato dall’energia magnetica di Elena Arvigo e tratto dal romanzo di Elimear McBride “A girl is a half formed thing”, con traduzione di Riccardo Duranti e scenografia di Alessandro Di Cola. Scopriamo il mondo di una ragazza alle prese con i suoi guai.
Il pubblico incantato viene immediatamente colpito dalla semplice ma attraente disposizione scenica. Cinque sono i leggii predisposti all’interno dello spazio e cinque sono i cumuli di foglie secche autunnali, disposti intorno ad ogni leggio, quasi come ad enfatizzarli, creando delle piccole isole immerse nel nero del pavimento del teatro. Immediatamente l’intera scenografia ci suggerisce l’esibizione di più personaggi quando in realtà ne vediamo fisicamente soltanto una, rannicchiata e dallo sguardo spaurito, dietro ai cumuli di foglie.
Curiosa e pronta ad aggredire per non essere aggredita, la ragazza si alza in piedi, ma del nome non abbiamo notizie; né all’interno del testo omonimo né all’interno dell’esibizione. Poco importa dato che saranno a definirla i personaggi che la circondano e le azioni da lei stessa compiute, a rendere chiara la sua persona e la sua spiccata sensibilità.
In questo spazio semplice ma intrigante comincia a svolgersi nell’aria l’azione. Ogni parola e ogni sguardo risiedono nelle frasi dette e trascritte sui fogli bianchi poggiati sopra ad ogni leggio. A prescindere dagli indizi visivi che precedentemente sviavano il pubblico facendogli credere di assistere all’esibizione di almeno 5 persone, si può notare che ogni piccola isola fatta di foglie secche, rappresenta un passaggio di scena e di situazione, attraverso le quali l’attrice è in grado di districarsi abilmente. Da uno dei cinque leggii inizia la sua storia, la storia del fratello e inevitabilmente la storia di tutta la sua vita. Mentre è ancora nel pancione della madre, il fratello viene operato d’urgenza e si avverte sin dall’inizio tutta la disperazione e la tensione che caratterizzerà l’intera ora e mezza di spettacolo.
L’attrice è sola in scena ma incarna contemporaneamente tutti gli altri personaggi in maniera vivida, cruda e ciò che inquieta di più è sentirla parlare al posto loro come fosse lei in prima persona ad essere qualcos’altro di diverso da se stessa. Ciò giustificherebbe l’assenza di un nome e quindi l’appellativo di “ragazza” che le viene affibbiato sin dal primo istante…
Ci legge la storia, la sua storia, reinterpretandola per una seconda volta. Si nota come Lei, ha sempre cercato di comprendere certi suoi atteggiamenti e questa seconda rilettura della sua vita, ci fa percepire il suo più profondo desiderio: poter avere una seconda possibilità, anche se le sue scelte la metteranno nelle condizioni di non averne.
Fino all’ultima parola, il fiato rimane sospeso o meglio dire “spezzato” da quella che è la sua esperienza. Vittima di abusi fisici e psicologici, la ragazza lasciata a metà, cerca di scappare costantemente da quella “dannata” casa e dalla famiglia. Abbandonata in tenera età dal padre, sorella di un ragazzo caratterialmente più fragile di lei e circondata dalle preghiere bigotte di una madre impotente, la ragazza si fa largo in un mondo fatto di finti traguardi e false promesse, lasciandosi cadere nel vortice della trasgressione. Quando finalmente parte e lascia il paesino d’origine per frequentare l’università, comincia il percorso tortuoso che la vedrà coinvolta in situazioni davvero poco raccomandabili. Nel periodo in cui è via da casa, la vediamo perdere totalmente la testa in giro per locali insieme alla sua amica altrettanto sregolata. La vediamo apparentemente distante dalla vita di prima ma profondamente coinvolta nella vita del suo doppio: il fratello. Sempre pronta a difenderlo dai bulli della scuola che lo deridono a causa della sua cicatrice e sempre pronta a correre in aiuto quando serve. Purtroppo i suoi tentativi non sono mai all’altezza della situazione e spesso risultano esagerati e fuori luogo, dando prova della sua inadeguatezza nei confronti della vita più in generale. La vedremo compiere le decisioni sbagliate anche nei momenti che necessitano un raccoglimento totale della sua persona, come nel giorno della morte del fratello tanto amato. Gli impulsi più esagerati, vengono dettati dall’accanimento che serba nei confronti della sua sessualità.
Sin dall’inizio più precisamente all’età di tredici anni, un aspetto tanto delicato viene immediatamente violato da un parente, lo zio, una figura “nera” e negativa che sfrutta con violenza psicologica e non solo, la crescita di una ragazza che ne rimarrà segnata a vita. False promesse e una continua ricerca di stabilità nelle persone sbagliate, fanno convogliare la situazione nella disperazione più totale. Il pubblico è catarticamente partecipe della sua sofferenza seppur con sentimenti contrastanti. Un sentimento di pietà e di rabbia continua a balenare nel cuore e nella mente di chi ascolta la sua storia, senza concordare a pieno con la maggior parte delle sue scelte. Ed è questo il punto cruciale. Il pubblico è sia dentro che fuori: dentro, perché soffre insieme alla ragazza; fuori, perché vorrebbe consigliarle di prendere un’altra decisione rispetto a quello che in realtà sta accadendo nella storia. Dal di fuori ogni storia nel suo divenire, appare di semplice risoluzione, ma quando si è dentro, purtroppo o per fortuna, questa soluzione tarda o declina il suo arrivo.
A questo punto si arriva alla fine del racconto e specialmente all’esibizione davvero toccante di Elena Arvigo. La posizione in cui si pone lei nell’interpretare il personaggio, è trasversale ed è l’unico modo in cui poter far arrivare un personaggio simile. In più, risulta davvero interessante e poco comune la capacità di saper spostare l’attenzione del pubblico da una fase di ascolto ad una di pura critica. S’intende una critica costruttiva, che permette allo spettatore di intervenire mentalmente all’azione senza rimanerne passivamente inattivo. Il testo interpretato, di certo, aiuta a smuovere gli animi e ad esercitare la coscienza di ognuno a scovare l’alternativa nascosta dietro ad ogni azione, anche quando ci appare quanto mai inevitabile e definitiva.
La sua azione scenica, da attrice, non è mai finita, quanto piuttosto infinita, in un perenne divenire caratterizzato sempre da qualcosa di diverso anche se apparentemente statico.
Agisce in scena come un fantasma, lascia traccia di sé e delle sue parole, ci fa capire che la ragazza da lei interpretata si è sentita evanescente e poco importante nell’arco di tutta la vita, tanto che l’apice della vicenda si conclude con un tragico e inevitabile suicidio. La ragazza, contrariamente da quanto si possa immaginare, non viene lasciata a metà alla fine della sua tragica esistenza, ma è ed è sempre stata lasciata a metà, da tutti coloro che avrebbero dovuto amarla. Chi consapevolmente e chi no (come il fratello scomparso) è colpevole della sua morte, che sopraggiunge in maniera graduale nell’arco della storia per poi concludersi nel tragico atto finale. Lo spasmodico entrare e uscire dalla vicenda, come il continuo spostarsi di leggio in leggio, presuppone la ricerca costante di risposte che trovano soltanto altre domande alle quali dover rispondere. L’intera rappresentazione è un valangoso flusso di coscienza di una mente (divenuta) instabile a causa di tante piccole crepe, esperienze e traumi mai risolti. “UNA RAGAZZA LASCIATA A META' ” potrebbe aver avuto la forza di reagire positivamente nonostante gli accadimenti, ma questa, dopotutto, sarebbe stata tutta un’altra storia.
Visto il 7/12/2017
Info
Dove: Via Natale del Grande 27 | 00153 Roma
Tel. 065898111
Dal romanzo di Eimer McBride
Traduzione di Riccardo Duranti
Diretto e interpretato da Elena Arvigo
Scenografia di Alessandro Di Cola