UNA CITTÀ PER VOLARE @Scienze Militari Aeronautiche: una riflessione sulla guerra

Fino al 18 giugno (repliche solo al mattino programmate per il 28 maggio, l’11 e il 18 giugno – vedi in fondo) la Compagnia delle Seggiole di Firenze festeggia i primi 18 anni di vita con una prima assoluta: UNA CITTA’ PER VOLARE, ambientata stavolta in un luogo sconosciuto ai più ed immerso nel verde del parco mediceo delle Cascine: l’Istituto di Scienze Militari Aeronautiche intitolato a Giulio Douhet o, come ancora molti fiorentini lo chiamano, la SGA (Scuola di Guerra Aerea). E proprio nel cuore dell’Esercito Italiano i testi di Marcello Lazzerini affidati alla regia di Sabrina Tinalli ci accompagnano in una riflessione toccante e sorprendente sulla guerra e sui sogni che su di essa inevitabilmente si infrangono.

Una volta superato il controllo dei documenti all’ingresso sorge spontanea ad ognuno dei presenti, nella duplice veste di spettatore-visitatore, l’affermazione: “Ma è enorme! Sembra una città!”. Ed è proprio ad una città in miniatura che l’architetto della Scuola di Guerra Aerea, il dott. Raffaello Fagnoni, aveva pensato quando nel 1937 gli fu chiesto di realizzare a Firenze una struttura in grado di formare al comando, alla disciplina e all’amor di patria i futuri allievi dell’allora Regia Aeronautica Militare. E proprio nell’ottica del nazionalismo crescente negli anni Trenta del secolo scorso Fagnoni pensò di accostare sapientemente il rosso dei mattoni del Valdarno al bianco del travertino che ancora oggi incornicia porte e finestre e al verde del secolare Parco delle Cascine, ottenendo un effetto tricolore che automaticamente fa pensare ad un altro Tricolore, che ogni giorno svetta in cima al pennone nella piazza centrale della cittadella. Infatti, proprio di questo si tratta: di una cittadella con le sue piazze, i suoi incroci e i suoi edifici distribuiti su un’area di 13400 metri quadrati dove i partecipanti sono pronti a farsi stupire e guidare dagli attori della Compagnia.

Come spesso accade è Fabio Baronti, uno dei suoi fondatori, a fare gli onori di casa e, vestendo i panni dello stesso architetto progettista: guida gli spettatori attraverso gli spazi all’interno e all’esterno della struttura nei suoi abiti attentamente studiati dal costumista Pino Crescente e realizzati dalla Sartoria Teatrale Fiorentina. Un’attenzione, quella per i costumi, che accomuna tutti gli attori che si alterneranno nei vari ambienti e che non è una novità per uno spettacolo della Compagnia, sempre attenta a riprodurre fedelmente le atmosfere delle epoche che ogni volta si trova ad inscenare.

E’ così che Baronti, affiancato da un convincente Raffaello Gaggio nel ruolo di neo-allievo della Scuola degli anni Trenta, illustra la storia della progettazione, della realizzazione e dell’inaugurazione della Scuola, partendo dalla sorprendente Aula Magna che può contenere fino a 400 persone in uno spazio che lascia estasiati per la sua ariosità. Nonostante questo l’attenzione è inevitabilmente catturata dalla figura dell’architetto Fagnoni che snocciola date, eventi, numeri e retroscena della costruzione, avvenuta in soli 11 mesi tra il 1937 e il 1938: “altro che la nostra Tramvia” (cit.). E lo stupore non cala neanche quando dall’ampiezza dell’Aula magna si percorrono metri e metri di corridoi ammirando l’architettura e gli arredi della scuola, minuziosamente curati dallo stesso Fagnoni e ispirati fin nei minimi dettagli al mondo del volo, sempre con la consapevolezza che, comunque, il mito di Icaro prima e di Leonardo poi, nei panni di primo ingegnere dell’aria, non sono altro che un modo per celebrare il progresso della tecnologia italiana in ambito aeronautico. Un progresso che convince e inorgoglisce i presenti, i quali inevitabilmente sono quasi portati a rimpiangere un’Italia che si sentiva all’avanguardia nel mondo, maestra non solo di arte e bellezza ma anche di scienza e tecnica. Non può perciò lasciare indifferenti il bassorilievo di un’aquila realizzato da Mario Moschi su uno dei portoni d’ingresso; poco importa se il grande predatore tiene tra le zampe il fascio littorio.

Bastano però i pochi metri che ci dividono dalla piscina di allenamento della scuola per ritrovare le giuste proporzioni e riscoprire cosa ha rappresentato il fascio littorio per il nostro Paese. Ibravissimi Andrea Nucci e Beatrice Faldi ci trasportano, sulle note di “Parlami d’amore, Mariù”, nel turbinio di sogni di due giovani che in quel 10 giugno del 1940 videro svanire le loro speranze in nome di quegli ideali di razza e di forza che il fascio littorio ostentava con orgoglio. E allora, ascoltando prima il desiderio di Silvia di diventare una modista a Parigi, avvolta in un abito morbido di gale nere bordate di bianco e modellate dal suo corpo e dalla brezza; ascoltando poi il sogno di un allievo, in una impeccabile ed elegante uniforme, di diventare un pilota di aviazione civile; ascoltando ancora il sogno di entrambi di costruirsi un futuro in pace, la malinconia scende come un macigno sugli spettatori che come inebetiti e logicamente commossi restano ad osservare i due attori mentre danzano abbracciati sulle note di Blue Moon, con gli occhi che tradiscono la paura dell’incertezza. Così quella scena, che si era aperta con un brindisi tra i due già destinati a fidanzarsi e a trascorrere la loro vita insieme, si chiude con l’incertezza sul loro futuro e nessuno dei presenti, in una tale atmosfera di mestizia, non può non immaginarsi un finale tragico per loro; non basta neanche lo splendente sole di primavera in un cielo terso di fine maggio a consolarci.

Fortunatamente, la voce di Fabio Baronti ci richiama al presente e grazie al verde dello splendido arboreto dell’Istituto, ognuno ristabilisce il proprio equilibrio emotivo necessario per affrontare l’ultima parte di questo viaggio. Seduti di fronte alla statua di travertino del Pegaso, unico vero richiamo alla toscanità in un ambiente che è culla dell’architettura razionalista diffusasi un po’ in tutta Italia con gli stessi tratti e le stesse peculiarità (si vedano i richiami alle città fondate nelle campagne laziali bonificate), lo stesso architetto Fagnoni e l’allievo della Scuola chiudono il racconto della storia di questo luogo che, seppur impregnato di disciplina e di rigore militaresco, trasmette tranquillità e pace.
Fagnoni esprime le sue perplessità sulle scelte artistiche ed architettoniche prevalenti nel razionalismo fascista e non nega una certa contrarietà nei confronti delle autorità che non gli hanno reso sufficiente gloria per la realizzazione di un tale capolavoro.

La storia dell’Istituto, tuttavia, non è fatta solo di gloria, riconosciuta, presunta o effettiva, ma anche di desiderio di libertà e di autodeterminazione. E’ perciò che entra in scena, anche lui in una impeccabile uniforme ispirata ad un’originale, il Capitano Italo Piccagli, interpretato da Luca Cartocci. Proprio quest’ultimo, da solo in un cortile spazioso, ampio e soleggiato riesce a gelare letteralmente gli spettatori con l’intenso e appassionato racconto dell’esperienza di Radio Cora, una radio locale clandestina nata grazie al suo coraggio e a quello di un altro gruppo di suoi coetanei che solo per merito di una coppia di sopravvissute sfuggite fortuitamente alla deportazione sarà possibile conoscere dopo la guerra. Piccagli, come tutti gli altri, sarà imprigionato, torturato e fucilato a Cercina, nei dintorni di Firenze il 12 giugno del 1944, in piena guerra di liberazione. E mentre l’entusiasmo per l’esperienza di Radio Cora lascia spazio all’immagine di Piccagli che si lascia uccidere per ultimo per supportare moralmente gli altri suoi compagni, lo spettatore è vittima di una miscela di commozione, orgoglio, gratitudine e sgomento che non può essere trattenuta e la lacrima inevitabilmente cade sulle guance anche del più indurito degli uomini presenti. E l’effetto è talmente devastante che pure il suono della sirena manuale anti-aerea manovrata da Baronti ci fa sorridere nonostante ci ricordi un passato che molti dei partecipanti non hanno vissuto; un passato che solo mezz’ora prima appariva florido e inorgogliente e che adesso si è rivelato in tutta la sua crudeltà.

Come sempre la Compagnia delle Seggiole è riuscita a trasmettere netto il messaggio e il merito va sicuramente alla regia di Sabrina Tinalli, alla maestria del corpo attoriale e alla oculata scelta di un luogo in cui tutto, dai mattoni alle maniglie delle porte, ci parlano, quasi come se gli attori della Compagnia non abbiano fatto altro che ascoltarli e riportarci il loro racconto intessuto di commozione, coraggio e forza di libertà: una libertà che ci ha permesso di immergerci in tutto questo e che ci permette ancora oggi di raccontare, di stupirci e di emozionarci in nome di coloro che come disse il Presidente Pertini, “Hanno bagnato del loro sangue ogni articolo della nostra Costituzione repubblicana”. Un monito che non è mai né troppo retorico né troppo scontato ripetere così come la Compagnia delle Seggiole ha abilmente fatto.

Info:
Foto tratte dalla Pagina FB de La Compagnia delle Seggiole
UNA CITTA’ PER VOLARE

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