UNA PURA FORMALITÀ@Teatro Ghione: dentro un carcere kafkiano

Da anni ormai, la compagnia Mauri Sturno porta in scena la sua versione teatrale dell'omonimo film di Giuseppe Tornatore, interpretato nel 1994 da Gérard Depardieu, Roman Polanski e Sergio Rubini. Dal 12 al 24 gennaio lo spettacolo, “UNA PURA FORMALITÀ”, è in replica al Teatro Ghione di Roma.

La scena, magistralmente edificata da Giuliano Spinelli, si apre su un esterno, ricostruzione drammatica ed angosciante di un forte temporale in un luogo sperduto chissà dove. Repentinamente ci si muove nell'interno claustrofobico e malsano di uno strano commissariato di polizia, le cui pareti sono ricoperte di librerie piene di vecchi volumi, qualche bottiglia di vino e un orologio senza lancette. La dimensione è quella di un non tempo, o forse di un tempo altro, non riconducibile a quello oggettivo dello scandito comune.
Lo spettatore avrà modo nel corso della rappresentazione di identificare tale estensione con diverse possibili realtà, fino all'attribuzione quasi univoca, al termine della messa in scena, con una precisa determinazione cronologica. Ciò che immediatamente emerge però è la volontà di chi all'interno di quell'inquietante commissariato è venuto a trovarsi di fuggire, l'isteria di chi, vistosi rapito per un certo lasso di tempo dalla propria zona di tranquillità, ha inciso sulla parete destra di quella stanza di polizia stessa il proprio nome, corredato di un breve messaggio, a voler indicare l'importanza della propria permanenza in quel contesto e lo stato d'animo vissuto.

La storia è quella di un uomo trovato a correre di notte in un bosco sotto una pioggia torrenziale. Privo dei documenti, l'uomo è in uno stato confusionale ed aggredisce gli agenti di polizia che lo fermano. Condotto in commissariato viene interrogato, ma la sua memoria vacilla e la versione dei fatti che riporta cambia di volta in volta. L'interrogatorio viene presentato come “una pura formalità”, ma tale si dimostra non essere, per il ritrovamento, nel medesimo bosco nel quale l'uomo correva, di un cadavere. Il commissario che conduce l'indagine è avveduto, paziente ed ha un riguardo particolare nei confronti dell'indagato, poiché questi, ha scoperto, è Onoff, il suo scrittore preferito. Tenta di farlo uscire indenne da quella situazione, ma nulla può a sostegno della crisi di memoria dello scrittore, che divine, ad un livello più profondo, vera e propria crisi d'identità. Dalle parole di un commissario di polizia, che è innanzitutto suo lettore ed ammiratore, Onoff rimette in piedi alcuni stralci della propria esistenza, della quale emergono contemporaneamente lacune e lati bui.
“Non si dovrebbe mai conoscere di persona il proprio scrittore preferito”, dice Onoff al commissario, “perché da vicino se ne vedono i foruncoli”.
Lo scrittore mitizzato sprofonda dunque in una dimensione di sempre maggiore umanità e debolezza, intrappolato nel carcere kafkiano della propria inconsapevolezza. Sarà infine proprio il commissario a farsi Caronte della sua anima, restituendo al personaggio e agli spettatori la chiarezza di una comprensione della storia tenuta in sospeso dall'inizio al termine della stessa.

Un thriller psicologico si potrebbe dunque dire, nel quale la tensione è portata avanti dall'inizio alla fine. A potenziarla il rumore costante della pioggia, unica colonna sonora dello spettacolo, interrotto solo al termine dello stesso, quando anche il quasi totale buio del tempo della rappresentazione si apre in un insieme di musica e luce che celebra l'avvenuta epifania. Anche il ritmo del dialogato asseconda lo stato angoscioso e l'irrequietezza che governa la vicenda. Come in ogni interrogatorio che si rispetti, le domande sono incalzanti e ripetitive, mentre le risposte tradiscono la ripetizione coerente dei fatti, mosse da deliri che alternano diverse versioni degli stessi, sembrando mescolare assieme realtà e dimensione onirica.

Lo spettatore si sente infine sollevato, risarcito dell'oppressione vissuta, dell'umidità che ha quasi percepito nelle ossa pur nel caldo del teatro, lieto infine di poter dare un senso a quella messa in crisi di identità e rassicurante tutela del ricordo alla quale è stato dato nome di “pura formalità”.


Note stampa
In scena al teatro Ghione di Roma, dal 12 al 24 gennaio UNA PURA FORMALITÀ, della Compagnia Mauri Sturno, adattamento teatrale del film di Tornatore “Una pura formalità”.
Lo spettacolo è stato recensito da Gufetto già in due occasioni, nel 2015 in occasione della messa in scena a Milano al teatro Carcano, e prim’ancora nel 2014 quando andò in scena al Teatro Parioli-Peppino De Filippo. Wanda Castelnuovo, per Gufetto, sull’opera scrisse: “Adatte all’atmosfera cupa le scene mobili di Giuliano Spinelli in sintonia con le sfumature caratteriali dei personaggi tutti ben interpretati e validamente diretti dall’ammirevole Glauco Mauri capace di fare palesare sul palco un caleidoscopico ventaglio di sentimenti” (vedi recensione). Mentre Rachele Fortuni sottolineò: “Grazie ad un ritmo incalzante e all'intensità della recitazione dei due grandi interpreti, qui protagonisti, la piéce, riesce a mantenere intatto il senso profondo del racconto, un viaggio verso il centro di se stessi per catturare il senso della propria esistenza” (vedi recensione).
Vediamo di cosa tratta lo spettacolo

La vicenda
Un delitto è stato commesso e ne viene accusato un celebre scrittore, Onoff.
Ma, pur con la tipica atmosfera di un thriller, Una pura formalità è un viaggio alla scoperta di se stessi, di quella che è stata la propria vita. “Gli uomini sono eternamente condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita; e più sono sgradevoli e prima si apprestano a dimenticarle”. Ecco quello che scrive in uno dei suoi romanzi Onoff, che nella lunga notte di Una pura formalità cerca ansiosamente di ricordare… ricordare… cosa? Un altro uomo aiuta Onoff in questa faticosa ricerca di un passato che si è voluto dimenticare: un inquietante commissario di polizia, un personaggio duro e ironico, comprensivo ma implacabile…
Non può non sovvenirmi il ricordo del grande Dostoevskij e il rapporto tra Porfirij e Raskolnikov in Delitto e Castigo. Tutto si svolge in una sperduta stazione di Polizia. Ma lo è veramente? E dove si trova? E quelle strane persone al suo interno, sono poliziotti? Cosa aspettano?
La storia fa nascere numerosi interrogativi ed è pervasa di “misteriosi perché”. Il cinema ha le sue ricchezze espressive, il teatro ne ha altre che sono sue proprie. E su un palcoscenico, nel nostro caso, la parola assume un valore non solo di racconto ma anche di invito alla fantasia e alle domande. Domande necessarie all’uomo per aiutarlo a cercare di comprendere quel viaggio a volte stupendo e a volte terribile, ma sempre affascinante che è la vita".

Il film di Tornatore
Quando il film uscì nelle sale nel 1994 fu accolto, per la sua inquietante novità, con una certa difficoltà da parte della critica. Oggi è considerato uno dei film di Tornatore più belli in assoluto (lo stesso autore ne è convinto), un “piccolo capolavoro”, ne erano protagonisti Gérard Depardieu e Roman Polanski con Sergio Rubini. Nell'allestimento teatrale, Roberto Sturno è lo scrittore Onoff e Glauco Mauri il Commissario, con loro in scena: Giuseppe Nitti, Amedeo D'Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore. Le scene sono di Giuliano Spinelli, i costumi di Irene Monti, le musiche di Germano Mazzocchetti. "L’intensità del racconto, il suo ritmo, illuminato da emozionanti colpi di scena, una razionale e al tempo stesso commossa visione della vita – dice Glauco Mauri – mi hanno spinto, in pieno accordo con Tornatore, ad una libera versione teatrale.

Note di regia
Già il film ha una sua struttura sospesa fra cinema e teatro e questo mi ha molto aiutato nel lavoro. E come negli “incontri” fortunati, la storia così magnificamente raccontata nel film, ha fatto germogliare in me emozioni inaspettate che diventavano sempre più mie.
Un’opera tanto più è valida quanto più dona a un interprete la possibilità di scoprire sfumature umane e poetiche in essa nascoste.
Ho cercato di far rivivere tutta la forza drammatica della sceneggiatura modificandone quelle parti che si presentavano con dei connotati troppo cinematografici, preservandone al tempo stesso quell’intensità che dall’inizio ci avvolge nel suo misterioso intreccio. Il racconto rimane oscuro fino al suo sconvolgente epilogo dove i pezzi lacerati di una vita si compongono in una serenità inaspettata e commovente: un capovolgimento radicale di quello che sembrava un giallo.

Per saperne di più su la Compagnia Glauco Mauri
Da oltre trent'anni la Compagnia Mauri Sturno aggiunge nuovi capitoli alla sua storia di una “ditta” all’antica italiana, che felicemente coniuga impresario, attore, regista. Nei teatri di tutta Italia ha portato i grandi classici: Sofocle, Shakespeare, Goethe, Molière, ma anche Ionesco e Beckett, Pirandello e Goldoni, Dostoevskji e Brecht, Mamet e Schmitt, Shaffer e Andreev, fino all'

Info
dal 12 al 24 gennaio 2016
GLAUCO MAURI ROBERTO STURNO
UNA PURA FORMALITÀ
versione teatrale e regia GLAUCO MAURI
dal film di GIUSEPPE TORNATORE
e con
Giuseppe Nitti, Amedeo D'Amico,
Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore
musiche GERMANO MAZZOCCHETTI
in collaborazione con la Fondazione Teatro della Pergola
scene GIULIANO SPINELLI
costumi IRENE MONTI
produzione Compagnia Mauri Sturno

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