UN ATTIMO PRIMA @ Teatro Vascello: la ragazza delle gerle

In scena dal 5 ottobre al 18 novembre, presso la sala studio del teatro Vascello, va in scena “Un attimo prima” drammaturgia di Paolo Logli, percussioni di Gianfranco Vozza e interpretazione di Claudia Campagnola.

Prima di scendere le scale e sedersi in mezzo alla scena dove si consumerà la performance, è necessario tenere bene a mente il periodo storico nel quale viviamo, per comprendere a pieno quell’”attimo prima” rappresentato dall’ultimo conflitto mondiale riportato in scena. Per “attimo prima”, non si intende soltanto la vita prima della sua fine ma anche la possibilità di valutare le alternative che abbiamo tutti a disposizione, per far si che le nostre scelte siano sempre orientate verso la libertà, la compassione e il rispetto per la vita.

Un passato che si ripete inesorabile quasi come un déjà-vu. La vicenda si svolge intorno al 1915 nel pieno corso della prima guerra mondiale. Il soggetto principale ed unico dell’intera piéce è una giovane ragazza interpretata dalla coinvolgente Claudia Campagnola, la quale ci accompagna nel corso di una sofferente e inquietante routine quotidiana: Claudia è una portatrice carnica ossia una donna che come tante altre, si dedicavano al trasporto di grandi gerle colme di granate, munizioni, viveri e medicinali. Ogni giorno, dal fondo della valle, queste donne avevano l’incarico di inoltrarsi nella foresta per raggiungere la trincea in vetta e di riportare a valle gli uomini feriti oppure morti. La storia di questa giovane donna poco più che adolescente, piena di vita e di speranza, riempie il cuore e gli occhi di una luce accecante e brillante. La ragazza in questione, ci ricorda il profumo degli alberi, il colore del cielo azzurro e la spietata marcia che ogni giorno è intenta ad affrontare, spalla a spalla insieme a tante altre donne che come lei, temono di incrociare sguardi compassionevoli e luttuosi una volta arrivate su in vetta, in trincea. Donne che temono per la loro vita e per la vita dei loro uomini, amanti, fratelli e figli.

La drammaturgia, prettamente narrativa ma allo stesso tempo molto coinvolgente e a tratti profondamente toccante, non lascia spazio soltanto alla disperazione che contraddistingue quegli anni di guerra e polvere, ma ci permette di gettare lo sguardo su un punto di vista sorprendentemente positivo e umano. Il passo lento e accorto che le donne sono costrette a cadenzare nel corso del lungo viaggio verso la trincea, non rappresenta altro che lo scorrere del tempo, della vita che ogni uomo è soggetto a subire. Il punto è proprio questo. La ragazza protagonista, nel corso delle lunghe camminate, non ha come unico scopo soltanto la salvaguardia della sua persona da parte di un improvviso sparo di un cecchino o di una granata, piuttosto avverte che al di sotto dello stesso cielo ci sono due fazioni (austriaci e italiani) che hanno come scopo comune la sopravvivenza.

Spesso, nel corso della drammaturgia, viene evidenziata la stupidità dell’uomo e l’avidità con la quale difende il suo territorio in nome di uno stato ormai corrotto e marcio, in nome della morte più nera. E non della vita.

Infatti gli unici sprazzi di vita o se vogliamo, di spensieratezza vissuti dalla protagonista, sono vissuti in parte anche in trincea, quando un suo coetaneo un certo Zeno, poco più di un conoscente, la guarda mentre si lava dopo la lunga scarpinata su per il bosco. La ragazza lo vede tutti i giorni, sempre lì, appoggiato su un braccio, pronto e in attesa di rubarle uno sguardo d’amore e d’intesa. Ogni giorno Claudia, ci descrive con la sua ammirevole dote narrativa, ma allo stesso tempo profonda e commovente, la bellezza e la tenerezza che può racchiudersi nella disperazione. L’amore e la vita che possono nascere anche al di sopra delle più aspre vette e che, nonostante la guerra, non si corrode e non lascia spazio alla resa. Improvvisamente però, si torna alla dura realtà, rappresentata dalle macabre percussioni di Gianfranco Vozza rievocando il lancinante e acuto rumore della granata o peggio ancora, del colpo secco di un cecchino. L’intera rappresentazione viene spesso inframezzata da questi due suoni che rappresentano la possibile morte e la morte stessa.

Il rumore ancestrale delle percussioni è sintomo della scansione del tempo; un metronomo che non offre la possibilità di tornare indietro, ma che ti permette soltanto di adottare soluzioni mentali per dilatare o restringere la percezione del tempo, laddove necessario. Ogni movimento, anche il cammino delle donne o dello zampillare dell’acqua, hanno un corrispettivo sonoro. Ma quando il gruppo di donne è costretto a riscendere la montagna con in spalla qualche amico o compagno o figlio ormai deceduto, in quel caso, nessuno ha il coraggio di proferire parola, nessuno sarebbe in grado di dare espressione al dolore o di abbandonarsi alle lacrime. Il silenzio è spesso l’assordante rumore di sottofondo dell’intera piéce: straziante, pauroso e catartico.

La passione e la vitalità di Claudia Campagnola è in grado di scolpire a tutto tondo la ragazza delle gerle; la sua energia sul palco è da considerare davvero ben studiata e approfondita sia nei movimenti, sia nella mimica. Un monologo commovente e una narrazione impressionante da far accapponare la pelle ogni singolo istante. La durata della performance risulta perfetta e l’occhio dello spettatore rimane sempre concentrato sul prossimo passo e sull’evoluzione della vicenda e del suo finale.

L’azione si svolge su una pedana disposta a forma di “L” ricoperta da coperte e sacchi di sabbia che rappresentano sia il sottobosco, sia la trincea. Il contesto visivo appare molto semplice e chiaro così come la luce, gialla, e per la maggior parte fissa sulla scena come fosse un grande occhio che indisturbato osserva uno pezzo di vita, apparentemente lontana anni luce da noi ma che in realtà è più attuale di qualsiasi altra.

Visto il 02/11/2018

Info:

Repliche solo di venerdì e sabato h 21.30 e domenica h 18.30  

teatro Vascello
Drammaturgia di Paolo Logli
con Claudia Campagnola

percussioni   Gianfranco Vozza
frammenti musicali Nicola Piovani
luci Danilo Facco
regia Norma Martelli
aiuto regia Maria Castelletto
foto di scena Valerio Facchini

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