ULTIMA CHIAMATA @Teatro Povero Monticchiello: ricucire gli strappi con spirito di Comunità

Giunto alla sua 56° edizione l’Autodramma della gente di Monticchiello è tornato ad animare la piazza dell’antico paese dominante sull’armonia delle colline valdorciane (repliche fino al 14 agosto). ULTIMA CHIAMATA ha riportato i paesani sull’ormai storico palco del borgo insieme a molti volti nuovi con un’importante presenza femminile. L’attenzione all’attualità ed ai grandi temi universali intrecciata alla storia locale resta l’ingrediente fondamentale che ancora una volta ha dimostrato al pubblico come si possa fare comunità in maniera inclusiva. A tal proposito, l’intitolazione del teatro del paese allo storico regista e autore Andrea Cresti, avvenuta in nostra presenza il 31 luglio, ne è ulteriore conferma.       

ULTIMA CHIAMATA: l’Autodramma al giro di boa

Io voglio che il partito ci porti la terra, non la guerra”. E’ nella prima parte dello spettacolo che risuona questa frase pronunciata nella presunta sede del PCI di Monticchiello. Con questo allontanamento da un’ideologia che si trova ironicamente contrapposta al pensiero democristiano inscenato dal Prefetto e dal parroco del paese, si apre una rappresentazione che segna a nostro parere indelebilmente il percorso evolutivo dell’Autodramma. Giunto alla 56° edizione, con ULTIMA CHIAMATA si gettano le basi per un rinnovamento del Teatro Povero che rinverdisce l’attenzione su questa inconfondibile forma di drammaturgia popolare. Se la parola tradizione si lega etimologicamente alla necessità di trasferire, tradere appunto, un passato nel tempo presente per garantirgli un futuro, la rappresentazione cui abbiamo assistito merita la nostra attenzione per capire se c’è stata “tradizione”, certo, ma senza “tradimento”.

ULTIMA CHIAMATA – foto di Emiliano Migliorucci

Venti di guerra di ieri e di oggi

Protagonista dell’Autodramma è un telefono, nero ed in bachelite, che dalla sezione PCI del paese mantiene i contatti tra questo sperduto angolo di mondo e la grande storia che riesce sempre a ripercuotersi sulle vite dei singoli. Sono i venti di guerra del 1956 con l’invasione sovietica dell’Ungheria che scompigliano e sconvolgono i monticchiellesi, combattuti tra la fedeltà ad un Partito, simbolo del sistema e incarnazione di un’ideologia, e il bisogno pacifico di terra e di lavoro. Da qui e dalla incompiuta marcia della pace, spazzata via da quei torbidi e minacciosi venti, si giunge alla contemporaneità attraverso un passaggio di testimone, efficacemente rappresentato in scena con uno scambio d’abito e di sguardi, tra Rosa, convinta e combattiva pacifista, e sua nipote Giada, idealista dell’oggi. Purtroppo i venti di guerra sono gli stessi e le conseguenze per l’umanità sono ugualmente disastrose: in una società del benessere la rinuncia a certi privilegi e soprattutto a certi diritti, accettata da molti con convinzione, in nome di una chimerica decrescita felice, rischia di riportare i paesani ad un isolamento che il telefono, in quel lontano 1956, aveva potuto invece spezzare. Ma c’è ancora spazio per una ULTIMA CHIAMATA che potrebbe illuminare il fondo del tunnel.

ULTIMA CHIAMATA: ribellione al femminile

Le donne di Monticchiello vogliono la terra e non la guerra”. Quella bandiera che settant’anni fa avrebbe potuto sfilare in corteo, cucita con dedizione e con tenacia dalle donne monticchiellesi, chiude sullo sfondo lo spazio scenico in conclusione di spettacolo a sancire un messaggio che ancora oggi risuona con urgenza. Non a caso la presenza femminile nel cast e nella drammaturgia è il primo tratto distintivo che emerge preponderante agli occhi del pubblico: donna è il trait d’union tra passato e presente, donne coloro che si battono contro l’ideologia e donna colei che ha il coraggio di sfidare il sistema Partito, rispondendo per le rime alla tanto attesa chiamata da Roma. Una ribellione che si era espressa a gran voce in passato e che invece oggi, nel tempo dell’iper-comunicazione, dell’opinione ad ogni costo e della demagogia gridata, assume la forma del silenzio, come quello mantenuto da Giada, gelosa della sua valigia e di quella bandiera al suo interno che ha pazientemente realizzato. Perché quando una bandiera si strappa, servono pazienza e tempo per ricomporla. Cucire e ricostruire – la bandiera, il tessuto sociale, la sensibilità umana – sono le parole d’ordine di ieri come di oggi.

ULTIMA CHIAMATA – foto di Emiliano Migliorucci

ULTIMA CHIAMATA: dal telefono al dilagare dei media

Le donne restano protagoniste anche quando, nel consesso comunitario del paese, a causa delle minacce internazionali di violenza e di dissesto socio-economico, si attende con apprensione il discorso del Direttore che ha preso il posto del Presidente, perché presiedere è “roba vecchia” oramai. C’è bisogno dell’uomo che con la sua presenza mediatica – immediato il richiamo alle ripetute conferenze stampa del Capo del Governo trasmesse in periodo pandemico – dirige e motiva i suoi tifosi con carichi di superlativi e nomi alterati (“super-complesso”, “giga-fantastico”, “modernissimo”,…”). Solo in questo modo possono convincerci che il Medioevo d’avanguardia che ci aspetta sia il futuro che vogliamo, fatto di un auspicato ritorno al passato che ricorrentemente popola l’opinionismo dilagante. Non più acqua corrente, non più elettricità, non più telecomunicazioni: ecco che la tanto agognata transizione – leggasi ecologica – è compiuta.

La gente di Monticchiello risponde all’ULTIMA CHIAMATA

In una vita legata alla memoria dei telefoni cellulari ma priva di ricordi, si prefigura un ritorno distopico al baratto – esilarante la scena in cui il Troccolone-Babbo Natale arriva col suo sacco – e all’isolamento. Ma l’interruzione di ogni contatto col resto del mondo e la negazione della globalizzazione non possono essere la soluzione: servono fili che uniscono e non fili che dividono perché a fronte di una distruzione rapida e devastante, la ricostruzione è lenta e faticosa. E allora, prima di dispiegare la bandiera della pace, c’è ancora tempo per la maledizione finale. Non c’è spazio per la violenza, per l’indifferenza e per la sopraffazione nella gente di Monticchiello. Un messaggio che da 56 edizioni continua a risuonare sui declivi dolci di questa valle ineguagliata ed ineguagliabile dove è sopravvissuto un ultimo filo all’insaputa di tutti, nella speranza di un’ULTIMA CHIAMATA alla quale dobbiamo rispondere se teniamo ancora alla nostra umanità.     

ULTIMA CHIAMATA – foto di Emiliano Migliorucci

ULTIMA CHIAMATA: molte luci e poche ombre

In un impianto scenico complessivamente semplice ma efficace, senza speciali giochi di luci e con elementi fissi funzionali ma meno evocativi degli ultimi anni, il rito dell’Autodramma è tornato a compiersi con nuovi elementi e un nuovo sguardo, al passato e al presente. In ULTIMA CHIAMATA è l’umanità a trionfare, superando velleità ideologiche che sono talvolta ridotte perlopiù a ironico pretesto narrativo. Le porte del palcoscenico si sono spalancate alla modernità che a partire da alcuni punti cardinali – sensibilità ecologica, rispetto per la diversità, convivenza pacifica tra i popoli – si è squadernata davanti ai nostri occhi grazie al testo e alle proiezioni di epocali momenti della storia moderna sulle facciate degli edifici attigui. Confermando la tradizione, ieri e oggi si sono legati indissolubilmente con uno sguardo attento al domani, con la consapevolezza che ciò che è stato non è sempre meglio di ciò che ci aspetta. Abbiamo notato una malinconia meno rassegnata nei confronti di un futuro non certo roseo ma convintamente legato ad un profondo senso di comunità e di umanità che, come sempre, si è espresso efficacemente in una drammaturgia estremamente corale, forse più che in altre edizioni recenti.

A nostro parere, dunque, lo spirito dell’Autodramma non è stato tradito in un testo che ha visto in scena tanti volti nuovi, dai più piccoli ai più grandi attraversando diverse fasce d’età, con un coinvolgimento che ci fa ben sperare per il futuro della tradizione. A tratti un lieve sbilanciamento si è fatto sentire tra la vecchia guardia e le nuove generazioni ma senza ripercussioni per l’omogeneità del testo e il tessuto drammaturgico. Pur avendo a tratti rimpianto la visionarietà di alcuni testi passati, riteniamo che la tradizione sia in buone mani. Siamo contenti di poter ben sperare per il domani, sempre pronti ad affrontarlo con occhi capaci di rinnovarsi.      

Visto il 31 luglio 2022

ULTIMA CHIAMATA

Autodramma della gente di Monticchiello

Approfondimento: il “nuovo” teatro intitolato ad Andrea Cresti

In omaggio ai suoi 30 anni di attività drammaturgica e registica, ad Andrea Cresti è stato intitolato, con un’essenziale cerimonia, il teatrino che è ospitato dal 1986 negli spazi della chiesetta sconsacrata al centro del borgo di Monticchiello. E’ stato uno dei figli a scoprire la targa apposta sulla facciata che ricorderà il contributo decisivo di un uomo che ha traghettato il Teatro Povero attraverso anni molto difficili, fatti di continuo spopolamento della campagna, verso la modernità. Non a caso la targa recita “animatore della tradizione teatrale”, definizione che si addice più di altre ad Andrea ed al suo instancabile lavoro. Grazie pertanto alla gente di Monticchiello per aver sapientemente compiuto questa scelta. E ad Andrea, perché se siamo qui oggi è anche, forse soprattutto, merito suo.

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