Dal 23 al 25 gennaio, al Teatro Hamlet, la “Compagnia delle Origini” va in scena con UCCELLI DEL PARADISO, scritto e diretto da Riccardo Merlini. Il regista ci aveva già rilasciato un’intervista in cui presentava questo ultimo spettacolo e le prospettive del suo lavoro di ricerca.
Nella piovosa serata di lunedì 23 gennaio, il pubblico si reca inumidito al Teatro Hamlet per assistere allo spettacolo UCCELLI DEL PARADISO, scritto e diretto da Riccardo Merlini, suo ultimo lavoro. Lungo lo strettissimo corridoio che conduce all’enorme sala, talmente tanto dilatata da sembrare cinematografica, si apre, sulla destra una finestra, il botteghino. Gli spettatori si accalcano, bagnaticci, nel piccolo antro immediatamente precedente la porta di ingresso, in fondo al corridoio, pendente e acquoso, scivoloso, costretti, ormai, a sgomitare per giungere al botteghino, versare la quota e compilare i burocratici moduli identificativi per l’assegnazione della tessera. Le porte si schiudono alle 21.15. Che lo spettacolo ritardi a cominciare è vezzo solito, abitudine. L’apertura della sala, almeno quella, considerando le condizioni degli spettatori, sarebbe dovuta avvenire a tempo debito, cinque minuti prima dell’orario d’inizio dichiarato in locandina. Un altro vezzo solito, un’altra abitudine. In più a questa critica è stato chiesto il pedaggio: non il biglietto s’intende, ma il tesseramento.
Coloro che avevano già letto l’intervista rilasciata dal regista a Gufetto giovedì 19 gennaio, hanno potuto rintracciare la storia. G. traditrice, tradita a sua volta dal marito, dopo averlo colto a letto con la sua amante, decapita entrambi. L’amante di G., direttore di un manicomio, decide di evitarle la galera accogliendola nella struttura psichiatrica e attribuendole una malattia psicotica. Non riesce però a proteggerla perché nel manicomio il suo effettivo potere risulta essere irrisorio rispetto a quello esercitato dalle infermiere: due sadiche donne torturatrici che prendono di mira la protagonista perché volontariamente muta.
In scena oltre a questi personaggi altre due pazienti, una delle quali gorgheggia di continuo, fastidiosamente, per tutto lo spettacolo, almeno quando è in scena bagnata dalla luce (troppo spesso); l’ispettore, deputato al controllo e alla supervisione del manicomio, entra in scena ogni volta con una cravatta diversa ad indicare il tempo che passa; una creatura mascherata che compare in scena come visione di G., vorrebbe rappresentare una sorta di alter-ego, quell’ “istintualità” riemersa dopo tanto tempo di negazione, a causa della quale G. ha compiuto il crimine. Quest’ultimo personaggio indossa maschere di diverso colore ogni volta che entra in scena e un perizoma color carne, mostrando la nudità intera del suo corpo. L’ultimo ingresso la vede semi avvolta da una striscia di tessuto bianco che le copre solo uno dei due seni. La scena è divisa in due ambienti: uno in fondo stretto dove sono presenti un tavolino e una sedia coperti di panno nero, l’ufficio del direttore; davanti la camerata: tre materassi buttati a terra di cui G. occupa quello centrale.
Il cuore dello spettacolo, individuabile alla pronuncia del titolo: “UCCELLI DEL PARADISO”, prevede la lettura di una missiva per voce prima del direttore, poi di G., scritta da quest’ultima. Precedentemente, G. l’aveva appuntata su della carta igienica con una penna estratta faticosamente e penosamente dalla sua vagina in semioscurità mentre sul fondo, nell’ufficio del direttore-psichiatra-suo amante, era stata spostata l’azione, la luce e l’attenzione del pubblico. La lettura della lettera avviene sul “Chiaro di luna" di Beethoven.
Il livello d’amatorialità degli attori è evidente. Probabilmente la definizione stessa di “amatori” può essere rischiosa, offensiva nei riguardi di quelle compagnie amatoriali che il teatro dimostrano d’amarlo davvero! Niente ritmo, pause troppo lunghe, sguardi intensi e interminabili propri delle peggiori telenovelas, nenie vocali sempre uguali, incapacità fisica…persino nell’atto di camminare o di stare, semplicemente! Voci ingolate, personaggi ridotti a penose macchiette.
Il peggio però deve ancora arrivare: nell’intervista il regista ha accennato ad una tragedia nella tragedia…che volontariamente non è stata indagata dall’intervistatrice. Qual è questa tragedia nella tragedia? Considerando che la vicenda stessa di G. non è stata per nulla esplicitata e sono stati capaci di comprenderla solo coloro che si erano informati preventivamente, parlando lo spettacolo unicamente della violenza inflitta dalle infermiere alle pazienti, dov’è questa meta-tragedia? Si è scelto di procedere all’identificazione attraverso il classico metodo ad esclusione: quali sono gli elementi dello spettacolo che non sono stati rivelati nell’intervista? Sono due: la presenza della creatura misteriosa e nuda, probabile alter-ego di G. e la rivolta delle pazienti nel manicomio, parallela alle manifestazioni dei “civili” fuori dalla struttura.
Per quanto riguarda il primo elemento, non si può parlare di tragedia nella tragedia: piuttosto di un barocchismo gratuito, più propriamente ghirigoro rococò, ingiustificato, di cui si ignora la potenza visiva e che sfugge dalle mani del regista, presentandosi banalizzato. La nudità. Se basta un minimo di storia per comprendere la situazione dei malati nei manicomi, come ha detto il regista nell’intervista, non è sufficiente una laurea in arti visive e performative per cogliere appieno la carica di significazione e le multiple modulazioni storiche ruotanti attorno all’immagine esposta del corpo svestito.
Per quanto riguarda il secondo elemento, la rivolta ( più probabilmente è questa la metatragedia) è stata resa scenicamente con lanci dalle quinte di cuscini e rotoli di carta igienica che volando srotolavano la loro lunghezza. Indubbiamente la carta igienica è stata usata in questa regia come oggetto privilegiato di significazione. L’autore-regista ha scelto di trattare una tematica chiave e articolatissima della nostra storia: le lotte per il riconoscimento dei diritti e dignità ai pazienti psichiatrici rinchiusi nei manicomi, strutture disumane di morte, che hanno portato alla legge Basaglia del 1978.
La storia del teatro di quegli anni insegna che numerose sono state le personalità artistiche impegnate in questa battaglia, feroce e difficile. Primo da ricordare Giuliano Scabia: risale al 1973 la collaborazione con Franco Basaglia nel manicomio di Trieste. Non guasterebbe una “ricerchina” in merito all’elaborazione di “Marco Cavallo”, per capire come il teatro può essere strumento efficacie socialmente e politicamente. Per capire come il teatro si è fatto, trattando tali situazioni. Ma anche per capire, più in generale, quello che il teatro è.
Per quanto riguarda Carmelo Bene, tirato fuori nell’intervista dal regista stesso, pur prendendone egli le distanze, sia da un punto di vista esperienziale sia da un punto di vista personale, non esita a dichiararsi di formazione beniana, istruito da un maestro a sua volta beniano: “Sono cresciuto con un maestro, beniano convinto. Anche io lo sono diventato. Tra me e Carmelo Bene c’è una differenza che non solo riguarda l’esperienza, si tratta di una distanza personale. Non voglio né posso essere Carmelo Bene, però rimane sempre nella mia testa. Mi ero posto, ingenuamente, come Carmelo Bene, poi ho iniziato a smussare.” (Sic!) beh, c’è da dire che Carmelo Bene appariva alla Madonna, l’augurio è che a Riccardo Merlini la Madonna appaia!
Info
UCCELLI DEL PARADISO
uno spettacolo della "Compagnia delle origini"
scritto e diretto da Riccardo Merlini
con Domizia D’Amico Alessia Sala Carlotta Sfolgori Antonella Petrone Valerio Macellari Francesca La Scala Lorenzo D’Agata
assistente alla regia Domizia D’Amico
foto di scena Andrea Mercanti
ufficio stampa Thèatron 2.0
Visto il 23 gennaio 2017