UBU RE, UBU CHI? @ Teatro Quaranthana: del potere, dell’ingordigia e del riso crudele

UBU RE, UBU CHI? di KanterStrasse al Quaranthana Teatro Comunale di San Miniato (regia e drammaturgia Simone Martini, anche interprete insieme a Luca Avagliano e Alessio Martinoli) va in scena grazie alla intensa attività artistica del Teatrino dei Fondi. Tra politica, colpi di stato e guerre, un testo sempre attuale che parla di noi e a noi, perché oggi come ieri le regole del gioco sono sempre le stesse: il potere, la ricchezza e l’ingordigia che portano a consumare e consumarsi. Madre e Padre Ubu sono le maschere eterne dell’infinita commedia del potere e della sua gestione, sulla quale tutti noi ancora ci interroghiamo.

La prima sequenza dello spettacolo di KanterStrasse è davvero la chiave di lettura dell’intero lavoro. Fermi, accanto a una natura morta caravaggesca, incorniciati in oro, Padre e Madre Ubu riassumono benissimo il senso di uno spettacolo ormai pienamente classico – ovvero, parafrasando Calvino, uno spettacolo che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire.
Il capolavoro di Alfred Jarry, testo di rottura al suo esordio nel 1896, è diventato appunto un grande classico, e la parola chiave, merdre, che allibì il pubblico della prima replica, avvisa subito gli spettatori contemporanei di quale sarà il tema trattato: i meccanismi del potere, l’appetito sempre rinnovato di acquisirne di più, e sempre di più, crudeltà e follia nel reiterato spargimento di sangue che ne è fondamento, ironia mordace e nonsenso. Della funzione rappresentativa di Ubu si era accorto anche Dario Fo, che lo usò nel monologo Ubu Bas, per celebrare, nel decennale di Mani Pulite, un personaggio che del potere e dei meccanismi di esso aveva contezza, Silvio Berlusconi.
Di questa funzione sono perfettamente consapevoli i KanterStrasse, che con meccanismi comici e tempi scenici impeccabili restituiscono le avventure di Padre Ubu, un ennesimo Macbeth, che aiutato, sospinto e sostenuto dalla moglie, Madre Ubu, arriva a prendersi la corona di Polonia sterminando re Venceslao e tutta la famiglia. Eccetto un giovane erede che, il dramma scozzese ci insegna, sarà sempre la sua minaccia. Ma in realtà il crollo del suo potere verrà dall’interno, dalla strage di ogni oppositore, magistrato, aristocratico, militare che sia, con un monotono, insieme comico e terribile, uso della ghigliottina.

Si parla di potere: di come prenderlo, di come gestirlo, dell’incapacità di tenerselo. Lo spettacolo restituisce gli sprazzi di un discorso pericoloso, concentrando, però, i propri segnali nella direzione inequivocabile del divertimento. Non a caso, viene usato in scena il linguaggio inconfondibile creato da Mario Monicelli per la picaresca armata di Brancaleone: nessuno che senta la citazione diretta, “lo cavalcone”, ad esempio, il ponte cioè, può evitare di ricordare e sorridere di nuovo.

La scelta di utilizzare il gramelot è fondamentale (almeno quanto il fermo immagine iniziale) per chiarire gli scopi dello spettacolo. Vedremo avventure terribili e crudeli, e ne rideremo. Vedremo un meccanismo che, per non ricevere nessuna contestualizzazione, non ci preoccuperà. Potremo ridere di un gioco terribile che non è assolutamente qui, ma là. Lontano nel tempo e nello spazio, completamente altrove, incorniciato, restituito come una citazione, che non avrà le carte in regola per farci tremare, ma le avrà, tutte, per divertirci e farci apprezzare la resa stilistica e la tecnica inattaccabile. Se sapessimo Ubu chi, forse tremeremmo. Così, il ritratto rimane in cornice, Ubu Re indossa un magnifico costume, non è nudo. Siamo tutti ancora al sicuro.

 

Info:
UBU RE, UBU CHI?
da Ubu Roi di Alfred Jarry
drammaturgia e regia Simone Martini
con Luca Avagliano, Simone Martini, Alessio Martinoli
scene Eva Sgrò
luci Marco Santambrogio
produzione KanterStrasse

Teatro Quaranthana, San Miniato
1 marzo 2019

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