UBU RE @ ITC Teatro di San Lazzaro: riscrivere la tragedia usando i corpi

All’ITC Teatro di San Lazzaro è andato in scena, lo scorso 3 febbraio, uno tra i testi più rivoluzionari della storia del teatro: UBU RE di Alfred Jarry, qui proposto nella rielaborazione registica e drammaturgica di Stefano Tè e del Teatro dei Venti di Modena, con gli attori detenuti delle carceri di Modena e Castelfranco Emilia e con gli attori della Compagnia del Teatro dei Venti. Lo spettacolo nasce all’interno del progetto STANZE DI TEATRO IN CARCERE del Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna, che dal 2011 si propone di riunire in una progettualità comune le diverse realtà teatrali del territorio impegnate in attività laboratoriali presso gli Istituti Penitenziari. Nel biennio 2016-2018, il Coordinamento ha scelto come tema comune proprio l’Ubu Re e i lavori delle compagnie sono confluiti nella rassegna dal titolo “Le patafisiche: universi complementari del Teatro in Carcere”.

Padre Ubu, marionetta tra le mani di Madre Ubu, vero motore delle sue azioni, in un’irrefrenabile sete di potere uccide i regnanti di Polonia per conquistarne il trono e, nel terrore di nuovi di complotti e vendette, dà il via a una concatenazione di inganni, violenze e omicidi culminante in una sanguinosa guerra contro lo Zar di Russia, che congiura per riportare sul trono il giovane figlio del re sopravvissuto. Rappresentata per la prima volta nel 1896, l’opera di Jarry sconvolse per il suo carattere avanguardistico: considerata un’anticipazione del movimento surrealista e del teatro dell’assurdo,  è una riscrittura parodistica, provocante e grottesca del Macbeth di Shakespeare. All’opposto, l’Ubu Re del Teatro dei Venti si configura come una riscrittura del tragico, perché depura la fonte da ogni deformazione parodica e la riconduce fino al nucleo tragico dell'opera shakespeariana.

Il lavoro di ripulitura interessa e corrode la parola stessa, ridotta a poche ed essenziali battute che cedono il passo a un codice a prevalenza visivo-gestuale e acustica, tutto giocato sulla componente sonora e sulla fisicità degli attori, che rivelano una padronanza assoluta nell’uso del corpo di qualità professionistica. I nuclei di senso del testo (la bramosia di potere, il tradimento, la morte, la colpa, il destino) sono proposti in una successione di partiture gestuali che emergono dal buio, evocate dal sapiente uso di una luce dai forti contrasti che mette in risalto fisicità scultoree, tensioni muscolari e relazioni fisiche tra gli attori-performer, ricostruendo la narrazione con nuovi registri semantici. La componente sonora, una combinazione di melodie evocative dell’Est europeo e pattern acustici dai tratti duri e ipnotici, accompagna e scandisce la ritmicità visivo-gestuale, e risulta perturbante nel suo creare un’atmosfera che ammalia e a tratti improvvisi aggredisce lo spettatore, quasi a voler tradurre in suono la tragedia sconcertante del tradimento.

La scena è costituita da un trono, una gabbia-botola che fagocita i morti e da una serie di tavole di legno praticabili, che gli attori non solo percorrono ma agiscono scenicamente nel corso dello spettacolo, operando trasformazioni strutturali che costruiscono vere e proprie architetture di senso. Gli altri oggetti scenici rispondono tutti a una poetica di elementarità dei materiali: troviamo dei bacili, terra, acqua, abiti, cibo, sangue e armi, che rimandano anch’essi ai nuclei semantici più profondi del testo. Si è scelto, inoltre, di abbandonare il distaccato e rigido luogo del teatro all’italiana per una più efficace arena con gli attori che agiscono al centro circondati dagli spettatori, all’interno di un tendone da circo edificato nel piazzale antistante il teatro. Questa organizzazione spaziale, oltre ad aumentare la tensione partecipativa dello spettatore, ha anche il pregio di ricondurre simbolicamente agli antichi combattimenti nelle arene e diviene elemento drammaturgico nel creare orizzonti di significato che coinvolgono i concetti di gioco, potere, lotta e morte.

La storia dell’Ubu è quella di un movimento di ascesa e rovina, giocato in un universo distorto e dalla morale corrosa in cui tutto è possibile, e dove Padre Ubu, marionetta ma al contempo artefice del proprio destino, perché lo agisce, ci mette di fronte alla tragedia dello smarrire la nostra umanità e all’Ubu che si cela, più o meno consapevolmente, in ciascuno di noi, perché “potremmo dire che siamo tutti Ubu. Che tutti aspiriamo a qualcos’altro e che spesso non sappiamo distinguere e gestire il bene e male che preme dalle viscere” (Teatro dei Venti). Ed è proprio un monito all’autocoscienza che questa architettura di corpi sembra volerci lanciare: un monito affinché, nello scorgere la ben nota pagliuzza (Luca, 6,42) nell’altrui sguardo, ci ricordiamo di andare a controllare cosa offusca il nostro, che siano pagliuzze o travi.

Info:

UBU RE

di Alfred Jarry

Con gli attori detenuti e internati del Carcere di Castelfranco Emilia e del Carcere di Modena e con gli attori del Teatro dei Venti

 

Regia e drammaturgia Stefano Tè

Allestimento scenico Teatro dei Venti

Costumi Alessandra Faienza e Teatro dei Venti
Sound designer Domenico Pizzulo

Assistente alla regia Simone Bevilacqua

 

TEATRO DEI VENTI

in collaborazione con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

ITC LAB

Cortile ITC TEATRO DI SAN LAZZARO

via Rimembranze, 26 – San Lazzaro di Savena (BO) | 051.6270150

Domenica 3 febbraio 2019

Doppia replica ore 16.30 e ore 21.00

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