“Quelli che pensano troppo prima di muovere un passo, trascorrono la vita su un piede solo” è una delle frasi che don Pino Puglisi amava ripetere ai giovani ai quali aveva dedicato vita e insegnamento come parroco e docente. È una frase che ognuno dovrebbe tenere in evidenza nel proprio studio e nella mente spesso occupata da troppe futilità facendone la stella polare dell’agire quotidiano. Il messaggio è semplice e banale (come quello delle parabole evangeliche): è l’invito a decidere e operare senza cercare di fuggire le proprie responsabilità nascondendosi dietro la ‘foglia di fico’ della riflessione e della ricerca del meglio.
Ma chi era don Pino Puglisi, quest’eroe e martire della nostra epoca che il 25 settembre 2013, a vent’anni dalla sua morte o più precisamente dal suo assassinio, è stato beatificato?
Chi ha qualche ‘primavera’ certamente ricorda l’impego civile e sociale di questo minuto prete siciliano che ha avuto il coraggio di opporsi quasi da solo al potere e alla violenza del fenomeno mafioso, che è riduttivo definire criminalità organizzata. E gli altri, i giovani che oggi siedono sui banchi di scuola e sono costantemente connessi con il mondo, cosa sanno di don Pino se non hanno avuto la fortuna di vedere lo spettacolo di Christian Di Domenico (fortunatamente giunto qui a Milano alla 260ª replica) o leggere qualcosa su questo sacerdote eccezionale, missionario nel proprio Paese?
U Parrinu è uno spettacolo da vedere e rivedere poiché ogni volta si scoprono nuovi aspetti interessanti: Christian non urla, ma con tono tranquillo e sommesso dice cose importanti su cui occorrerebbe riflettere essendo problemi vivi nella nostra società.
Don Pino – nato e cresciuto in quel quartiere Brancaccio di Palermo (lo stesso in cui è stato ucciso dalla mafia il giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993) conosciuto per avere un’alta concentrazione mafiosa – aveva capito che per vincere (non solo qualche battaglia) l’illegalità cultura e lavoro educativo sui bambini e i ragazzi sono fondamentali in quanto formano giovani che sanno resistere alle sirene della cultura mafiosa. Naturalmente lo Stato deve assicurare le possibilità di lavorare per evitare che la mafia resti l’unica ‘azienda’ che assume e assicura assistenza ai propri ‘lavoratori’.
Mafia e organizzazioni similari in altre regioni italiane affondano le proprie radici probabilmente nella ‘guerra del brigantaggio’ (se non prima) in cui i soldati italiani hanno sconfitto le bande di briganti dedite a rapine, rapimenti, omicidi… ma non i ‘colletti bianchi’ – che le manovravano e gestivano almeno in parte il potere locale coinvolgendo anche molti politici – con i quali spesso il potere centrale raggiungeva accordi di fatto barattando voti con la rinuncia (al di là delle parole) a incidere sul territorio.
Per questo don Puglisi puntava sull’aggregazione intelligente e sulla scuola per togliere i giovani dalla strada sottraendoli all’influsso mafioso come avvenuto con il Centro Padre Nostro realizzato strappando le strutture alla mafia e – benché bisognoso di soldi – respingendo qualsiasi aiuto equivoco e per questo chiedeva una scuola media (non un liceo) nel quartiere.
Questo ‘parrinu’ un po’ strano (già in quegli anni portava i pantaloni e non l’abito talare) obbligava chi sbagliava a chiedere scusa (contrariamente all’educazione mafiosa) perché scusandosi, anche se solo formalmente, si ammette di aver sbagliato e chi lo fa merita sempre rispetto aprendo la via al più alto valore cristiano: il perdono (i due episodi raccontati sono tra le pagine più belle del testo).
Molto resta ancora da dire su questa bellissima pièce che recupera al Teatro i suoi valori più alti, ma non si possono chiudere queste note senza rimarcare la delicatezza e il pudore con cui l’autore/attore ricorda le incresciose avance di un prete pedofilo e le dolorose conseguenze psicologiche di chi le ha subite. Quanti sono stati i ragazzi se non i bambini segnati per la vita da simili episodi e quanto è grave la colpa della Chiesa che (prima dell’attuale eccezionale Pontefice) ha coperto e insabbiato questi comportamenti, spesso criticando, invece, se non condannando sacerdoti che si battevano per la gente contro le degenerazioni del potere?
Un altro passaggio su cui meditare è quello in cui l’autore fa notare che dopo l’assassinio del giudice Borsellino seimila soldati furono inviati a Palermo: a proteggere chi se non i soliti noti se al quartiere Brancaccio sembra non ve ne fossero?
Il più grande omaggio che Christian fa al suo Maestro spirituale è il tono sommesso, a volte gioioso, mai urlato o iracondo di tutto lo spettacolo, lo stesso tono e la stessa serenità con cui don Pino Puglisi guardò i suoi assassini, gettando un seme nei loro cuori.
Per onorare questo martire del novecento è sufficiente seguirne l’insegnamento che puntava sulla ragione e la cultura e metteva al bando ira e violenza sia fisica sia verbale: solo così si può rendere più vivibile questo nostro mondo.