Nipote di servi della gleba (antica e desolante figura giuridica in vigore in Russia fino al 1861) da parte di padre, uomo religioso, violento e aduso a picchiare i figli credendo di educarli com’era abituale in quei secoli, e di madre, donna dolce e affettuosa e comunque bistrattata dal coniuge, Anton ÄŒechov (Taganrog 1860 – Badenweiler/Germania 1904) medico, scrittore e drammaturgo russo è l’autore di “Tre sorelle” in scena fino al 19 marzo 2017.
Durante il triste e misero periodo della crescita in cui il rendimento scolastico è mediocre, ma le letture di classici numerose, ÄŒechov scopre il teatro e la vena di scrittore creando canovacci ed esibendosi con i fratelli di fronte ai familiari. Terminati gli studi superiori, raggiunge la famiglia a Mosca dove prima erano arrivati due fratelli per studiare e sfuggire al padre che poi è costretto a rifugiarsi in tale città per il fallimento del suo esercizio commerciale. Grazie a una borsa di studio si iscrive alla facoltà di Medicina: felice di vivere nella città dei suoi sogni, si dedica allo studio e allo scrivere in cui si afferma, consapevole della necessità di dovere guadagnare per la sua famiglia sempre più indigente.
Nel 1884 è ormai medico e garantisce alla famiglia una vita più agiata. Pur manifestandosi i primi segni della tubercolosi che trascura, collabora con giornali famosi firmando con lo pseudonimo Antoša ÄŒechontè racconti, recensioni e articoli e soprattutto riceve il riconoscimento delle sue qualità da parte di Dimitrij GrigoroviÄ, il maggiore critico letterario dell’epoca, che gli consiglia di produrre senza fretta per migliorare la qualità (esattamente come succede oggi a molti che scrivono…), fatto che realizza con il racconto La steppa e altre narrazioni che lo fanno sempre più conoscere anche se non mancano critiche pur mantenendosi politicamente super partes. Nel 1890 visita l’isola di Sahalin con i suoi detenuti ed esiliati su cui realizza un famoso libro-inchiesta.
Scrive opere teatrali (in genere non apprezzate alla prima, ma poi stimate) e gode di un miglioramento delle condizioni di vita, ma la salute peggiora e i continui viaggi e il trasferimento da Mosca a Jalta non giovano al nostro che tuttavia trova il coraggio, superando gli stretti legami con la madre e la sorella Marija, di sposare Olga Knipper (fatto che determina contrasti e gelosie tra le donne). Non solo non migliora, ma un viaggio in terra tedesca dove con la moglie è andato alla ricerca di una speranza gli è fatale.
Si può comprendere come viste le condizioni di salute ÄŒechov si mostri, diversamente dai letterati contemporanei, distaccato e privo di illusioni destinate a realizzarsi ancorché capace di cogliere senza toni drammatici gli aspetti più tristi e reconditi dell’animo umano riducendo la vita a un lento e monotono fluire di un tempo inconcludente: un’esistenza senza senso connotata da silenzio, attesa e noia come quella che conducono le Tre sorelle che vivono nella tediosa campagna russa, ma che sognano di tornare nell’agognata Mosca, vivace nei ricordi dell’infanzia.
Si sbaglia se si pensa che in ciascuno dei personaggi non ci sia una pur esile fiammella di vita ben messa in luce dall’abile regia di Emiliano Bronzino come in Andrej, l’amatissimo e un po’ indolente fratello vezzeggiato e punzecchiato da tanta simpatica femminilità, che finirà con lo sposare una donna giustamente giudicata poco adatta, ma peggiore di quanto tutti potessero pensare tanto da portare il marito a spegnersi completamente e alla rovina.
Bisogna dare atto al regista di avere dato vita a una rappresentazione corale che diversamente da tante altre ha il dono di non stancare né annoiare malgrado abbia il tedio tra i protagonisti che tuttavia vivono con convincente veridicità il loro pur mediocre e insignificante quotidiano.
Colpisce la scenografia così bianca, quasi un lenzuolo o un foglio che tenta di richiudersi, ma non ci riesce: petali di vite che pian piano sfioriscono o nembo esistenziale che condensa le illusioni di questo piccolo mondo antico eppure così attuale?