In occasione delle ultime repliche a Firenze de La Bisbetica Domata abbiamo fatto una piacevole chiacchierata con gli attori che interpretano rispettivamente Caterina e Petruccio, Tindaro Granata e Angelo Di Genio. Negli spazi del Teatro di Rifredi, dove è andato in scena lo spettacolo il 4 e 5 aprile scorsi, ci siamo confrontati con loro per cercare di comprendere come sono nate certe scelte registiche e di allestimento e soprattutto cosa può dire ancora questo testo in un’epoca di rinascita del femminismo sotto gli hashtag #MeToo e #nonunadimeno.
a cura di Leonardo Favilli e Alice Capozza
Leonardo Favilli: Per iniziare, qual è stato il processo di genesi di questo allestimento della Bisbetica che potremmo definire “modernamente elisabettiano”?
Tindaro Granata: L’idea è stata di Carmelo (Rifici, NdR) che stava lavorando sulla condizione femminile oggi attraverso figure di grandi donne: da Nina de Il Gabbiano a Ifigenia Liberata. Caterina è per antonomasia il personaggio femminile che subisce il maschile. Insieme ad Andrea Chiodi hanno scelto di far interpretare Caterina ad un uomo, non solo rispettando la tradizione shakespeariana, ma dando anche un sapore più politico.
Angelo Di Genio: L’allestimento scenico curato da Patrucco è insieme classico e contemporaneo: lo spazio neutro dal colore tenue richiama l’amor cortese dell’epoca, ma è anche moderno perchè essenziale; come le scale, oggetto e arredamento di scena, richiamano il mondo elisabettiano con più livelli scenici. Il mondo maschile è pensato come una squadra di calcio col cameratismo da spogliatoio, dovela conquista del femminile è un gioco, una sfida: una visione stupida e provinciale dell’amore, come succede con quei ragazzotti che sentono l’urgenza di sposarsi e fare una famiglia non appena raggiunti i 30 anni. L’amore però è un’altra cosa.
Alice Capozza: Come si è formata la compagnia?
T.: Siamo stati scelti per le caratteristiche di ognuno. Io per fare Caterina, secondo Carmelo e Andrea Chiodi, avrei potuto dare qualcosa di particolare in quanto outsider, un self-made man del teatro. Angelo nell’intepretare Petruccio gioca col suo carisma e talento: si smarca dall’idea uomo tutto muscoli e niente cervello, mostra la fragilità di un maschio che cerca di dominare ma al contempo prova a capire. Andrea Chiodi ci ha dato la libertà di lavorare sulle nostre qualità, sul nostro essere, sul nostro stare in scena. E’ stato il grande punto di forza del lavoro.
A.C.: Angelo, come ti sei trovato a rappresentare questo personaggio così violento con il femminile?
A.D.G.: Certo mi dà fastidio ma sarebbe stato peggio se fossimo andati nella direzione di un Petruccio maschio Alfa, che non deve chiedere niente a nessuno. Nel mio personaggio c’è invece un dubbio vero: è un ragazzo di provincia, in cerca di soldi, che non si è mai realmente rapportato al mondo femminile. Ciò lo rende fragile e contemporaneo, credendo stupidamente di essere stato lui ad aver domato lei, in quella sua ignoranza diventa più cattivo, quasi nazista, maschilista e misogino, ma fragile e ingenuo. Ci sono momenti in cui nei loro scontri stravince lei e dei momenti in cui recupera lui, creando per entrambi un percorso interessante.
A.C.: Tindaro, come ti sei sentito a fare un personaggio che vive tutte le fasi della violenza? Dall’incontro rocambolesco tra i due, alla dominazione, alla privazione dei bisogni elementari, come il cibo, fino ad arrivare alla mistificazione della realtà, dove il sole è luna e la luna è sole. Caterina è un personaggio che subisce la violenza su tutti i piani.
T.: Questa è la classica violenza domestica che non si vede ed è accettata dalla società. Per interpretare Caterina ho fatto in modo che le donne che mi vedono non si sentano offese dal mio essere un maschio che fa una femmina. Cerco di avere un grande rispetto per la donna perché devo fare questo personaggio per essere la loro voce e non una scimmietta.
A.C.: Si, tant‘è vero che non è nascosta la tua mascolinità. Non hai trucchi o parrucche che ti conferiscono fattezze femminili.
T.: Andrea ci ha dato la libertà di essere noi stessi e su quello ho lavorato. Ho portato un’essenza del femminile che sento dentro di me e che ho cercato di portare fuori rispecchiandomi in un‘ipotetica donna che vive quella condizione. Vorrei che una donna si indignasse per quello che vede in Caterina. E’ stato difficile accettare la violenza subita: quanto sei capace di sopportare per sopravvivere a te stessa, alle relazioni? Di questa sottomissione ho cercato di portare in scena la disperazione e la rassegnazione ma anche la speranza di una via d‘uscita.
A.C.: Petruccio appare divertente e affascinante in questa esplosione dominatrice, finché non si comprende il gioco violento e ci si chiede ”di cosa sto ridendo?”. C’è una frattura quando Caterina dimostra di essere rifiutata da tutti: dal padre, dalla sorella, sola, esclusa, senza sponde e approdi di alcun tipo. E’ quello che accade alle donne che si trovano nelle condizioni di accettare la violenza. L.: E’ come se Caterina, in Petruccio, riuscisse a trovare qualcuno che comunque la considera.
A.D.G.: Si Leo. E’ come dici tu. Perché la donna arriva a suggestionarsi nonostante la tratti male. Quando le donne si sentono dire queste cose è perché c’è un bisogno sotto. Non avere sponde, ti porta a dire “Bene è così. Però almeno c’è!”.
T.: C’è un’evoluzione tra i due, come nel pubblico. Nell’incontro io credo di subire il fascino del gioco, penso: ‘’Questo ha i coglioni di affrontarmi, mentre gli altri si spaventano perché faccio i versi degli animali’’. Metto in atto una sorta di seduzione divertita e divertente. Quando capisco che Petruccio è più forte di me, mi spavento e faccio uscire tutta la parte aggressiva. Non è più un gioco, ma ormai ci sono dentro perché lui ha deciso che deve sposarmi per la dote. Caterina si abbandona ma non c’è amore.
A.C.: Nella messa in scena avete trasformato La Bisbetica Domata in un testo contro la violenza sulle donne?
T.: Noi cerchiamo di fare l’ultimo monologo di Caterina che non lasci alcun dubbio. In tutte le versioni precedenti della Bisbetica sembra che lei per amore diventi docile, sembra che loro si amino. Il pubblico ha l’immaginario zeffirelliano da cui ci siamo voluti distaccare il più possibile. Tant’è che in moltissime piazze, sul finale, la gente freme, non solo le donne: “l’uomo è tuo signore e padrone, tu sei fatta per questo: mentre lui rischia la sua vita, tu sei a casa salva e sicura. Da te invoca solo amore e obbedienza sincera. Tu devi aspettarlo e amarlo.”
L.: Mi pare che a Verona ultimamente si siano sentite frasi del genere… Quindi i partecipanti al congresso di Verona non sono venuti a vedervi?
T.: Un aneddoto: nei giorni del congresso a Verona noi eravamo a Ferrara. Quando Petruccio pretende un bacio minacciando di andarsene, io ho risposto: ”No aspetta. Nonostante la marcia di oggi a Verona ti darò il bacio” Il pubblico ha apprezzato! Nel monologo finale cambia il rapporto col pubblico, perché ti respinge ed è faticoso mantenere un contatto. Il dovere dell’attore è però arrivare fino in fondo, senza lasciarsi spaventare dalla mancanza di sostegno dello spettatore.
A.D.G.: Il pubblico si aspetta che ci sia un risvolto positivo nella parte finale. E invece no. Il testo non racconta questo, e noi dobbiamo prenderci la responsabilità di portarlo in scena. C’è un affascinante rapporto molto erotico tra i due che arriva diretto al pubblico. Ed è proprio scritto da Shakespeare. I personaggi utilizzano la parola, ma in questo gioco comunicano come animali. Noi cerchiamo di dare tutto, anche questa istintività che sfocia in erotismo, in lotta, fino al rifiuto. Ci sono donne che a fine spettacolo sono venute a dirmi “Quanto avrei voluto essere Caterina”
T.: Questo lo dicono perché Di Genio è un bonazzo… (ilarità generale!)
L.: Ormai siete a fine tournée. Come si è evoluto lo spettacolo nel tempo? Come è cambiato per voi dopo averlo portato in scena così tante volte?
T.: E’ diventato più colorato, ma tutti questi colori hanno sotto un velo di scuro. Il messaggio del regista è sempre stato: divertitevi ma fate sempre arrivare il messaggio da commedia nera. L’esperienza è stata molto bella e formante nel rapporto con tutti i colleghi: senza gli altri Caterina non avrebbe potuto andare in scena. Nel rapporto tra Caterina e Petruccio ho capito che è necessario accettare ciò che avviene, guardando il prorpio riflesso nel compagno: se stai nella relazione capisci che qualunque cosa accada, lui ti aiuterà sempre.
A.D.G.: Esatto. Sottoscrivo ogni cosa che dice Tindaro. Anch’io ho capito tantissimo del tipo di Petruccio che stavo costruendo grazie al rapporto con Tindaro direttamente in scena. Per questo ci vogliono grande fiducia e rispetto reciproco. A noi è capitato di tutto e abbiamo sempre rischiato, ma con la consapevolezza che se stai per cadere dal palco c’è sempre l’altra persona che ti tira su. Tra Caterina e Petruccio c’è un match, tra noi attori, una corsa a staffetta.
L.: Avete progetti nuovi, magari insieme?
T.: Con Carmelo Rifici stiamo lavorando a uno studio su Macbeth e ci ritroveremo di nuovo insieme. Sarà una coproduzione col Metastasio di Prato per cui torneremo sicuramente anche in Toscana.
A.D.G.: E abbiamo almeno altri due progetti insieme: un festival, un evento più trasversale ispirato alla strage di Orlando di cui saremo direttori artistici; Tindaro deve fare lo spettacolo nuovo e abbiamo dei temi che vogliamo toccare insieme: quindi ci rivedrete presto.
LA BISBETICA DOMATA
di William Shakespeare
adattamento e traduzione Angela Demattè
regia Andrea Chiodi
con (in ordine alfabetico) Angelo Di Genio, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Igor Horvat, Christian La Rosa, Walter Rizzuto, Rocco Schira e Massimiliano Zampetti
scene Matteo Patrucco
costumi Ilaria Ariemme
musiche originali Zeno Gabaglio
disegno luci Marco Grisa
movement coach Marta Ciappina
sarta di scena Andrea Portioli
assistente regia Margherita Saltamacchia
produzione LuganoInScena
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Carcano, Centro d’Arte Contemporanea di Milano
Teatro di Rifredi
4 e 5 aprile 2019