THE BLACK’S TALES TOUR @ Teatro Argot Studio: Le favole tradizionali generano l’insonnia, non la curano

Dal 2 al 4 Febbraio 2018, Licia Lanera (premio UBU miglior attrice under 35 nel 2014) al teatro Argot, ci ha raccontato le favole di Andersen e dei fratelli Grimm senza edulcorante, per sovrapporle alla realtà con lo spirito di un concerto punk-rock.

In un buio totale che avvolge lo spettacolo e gli spettatori irrompe una voce che lamenta l’insonnia. Dice che è un tormento, che è un vagare in un mondo di pensieri inquietanti e che non vuole stare sola stavolta, vuole che qualcuno stia con lei: «Io la notte non dormo… io invece di dormire penso alle persone… e stanotte voglio che con me ci sia tu» e subito un ruggito di musica elettronica che squarcia il buio e accende un fascio di luce bianca mista alla nebbia dei fumogeni sul palco che rimanda ai draghi e alle streghe della fantasia più recondita. Appare in scena Licia Lanera in latex e stivali neri, con un microfono da rock star. Racconta di Cenerentola con la voce graffiata, poi dolce e stridula e poi geme, grida e graffia di nuovo. Sottolinea l’atrocità della competizione con le sorellastre, che si mutilano i piedi pur di conquistare il posto da regine; l’incongruenza e l’inettitudine del principe che sceglie chi capita, basta che ha un piede del numero giusto per calzare la scarpetta; il paradosso del lieto fine che la vede coniugata proprio con quel principe.

Poi è la volta di Biancaneve, con l’assurdità della rincorsa alla bellezza della regina cattiva e poi della Sirenetta, che preferisce morire piuttosto che fare del male al suo amore che l’ha rinnegata; e ancora Scarpette Rosse e La Regina delle Nevi, fino a parlare di una sua storia, quella dell’orata nel suo surgelatore che con l’occhio fisso la guarda e l’ascolta senza contrasti, quando Licia ha bisogno di parlare con qualcuno. È il punto di riferimento per parlare con se stessa e mettere in verbo la sua storia, anagrammando le parole fino al punto di scrivere Eternità.

La scenografia di Giorgio Calabrese, essenziale e completamente nera, sorprende quando, nel pezzo finale della rappresentazione, permette all’attrice di scomporre la piccola pedana centrale che le ha fatto da podio/cubo, in tante grandi lettere di legno e le consente, con un grande effetto scenico, di produrre parole sul proscenio e di anagrammarle. Anche il disegno delle luci di Martin Emanuel Palma è sapiente e perfettamente adattato alle scariche emotive delle parole della Lanera: ora in ombra, ora in luce, così come le paure e le interrogazioni della notte, così come pure alla musica techno-elettronica di Tommaso Qzerty Danisi, che rispetta e esalta il battito del cuore e delle pulsazioni del sangue agitato.

Licia Lanera è coinvolgente, drammatica, comica, intelligente. Si muove estremamente disinibita con tutte le sue energie e fragilità incandescenti. Rende quasi splatterpunk una smielata narrazione che ci inganna tutti, quella tradizionale delle favole più conosciute e diffuse, che crea macigni che insegnano a competere, a ricercare la bellezza effimera, a conquistare obiettivi che non rispettano le nostre inclinazioni e la Lanera sbrana e ricuce queste esegèsi e le performa con un contagioso vibrante ed illuminante delirio.

scritto, diretto e interpretato da
Licia Lanera
sound designer Tommaso Qzerty Danisi
scenografia Giorgio Calabrese
costumi Sara Cantarone
light designer Martin Emanuel Palma
regista assistente Danilo Giuva

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