In scena fino al 22 gennaio, al Teatro dell’Orologio: TESTO TOSSICO, drammaturgia di Francesca Manieri, liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Paul B. Preciado.
Federica Rosellini, unica interprete, ne ha anche curato magistralmente la regia.
Un corridoio corto e strettissimo. In fondo, un palco piccolo, abitato solo da un microfono, su un’asta; un cavo che lo collega ad una loop station; un bidone-aspiratutto, al centro, su cui è scritto, tautologicamente, “BIDONE ASPIRATUTTO”. Il pubblico, destinato a sedersi su sedie scomodissime, ravvicinate, deve spostarle per potersi accomodare. L’angusto spazio della sala Gassman del teatro dell’Orologio, crea un’atmosfera claustrofobica, un acquario buio, un microcosmo sigillato, pronto ad accogliere il disperato lutto di una donna, interpretata da Federica Rosellini, che, perso il suo migliore amico, il poeta Guillaime Dustan, decide di diventare lui assumendo testosterone “lo prendo per vendicare la tua morte”. La disperazione per la perdita, per la mancanza, essenziale al desiderio, è una disperazione uterina. L’assenza è conditio sine qua non del desiderio. Ecco che la trasformazione del proprio corpo nel corpo dell’amico morto, questa volontaria e chimica metamorfizzazione, si presenta come pericoloso tentativo di soddisfare il proprio desiderio: avere o riavere l’amico perduto.
Francesca Manieri scrive l’insidioso testo rintracciando e ritracciando i pensieri che Paul B. Preciado (nata Beatriz Preciado) ha elaborato nel suo romanzo: “TESTO TOSSICO” appunto. Ad un primo livello viene raccontata la storia della donna, la Preciado stessa, del lutto, del testosterone, del suo lesbismo e del suo rapporto con la compagna, Vi.
Su questo tracciato si innestano discorsi filosofici e politici direttamente provenienti dalle teorie femministe e post-strutturaliste. Preciado è uno dei maggiori esponenti del Postporno, corrente filosofica che partendo dalle posizioni di Michelle Focault e Judith Butler, ne costituisce una possibile deriva. Nega non solo i concetti di genere – identità – soggettività – sessualità – desiderio, costruiti nel linguaggio, strumento di controllo per l’autolegittimazione e il rafforzamento del potere eterosessista dominante, ma lo stesso concetto di sesso naturale o naturalità del sesso utilizzando il proprio corpo come cavia per esperimenti di autotrasformazione, resi possibili dallo stesso sistema tecnocratico capitalista fallocentrico, trasformando la propria carne in “piattaforma politica”, luogo di resistenza, proponendo la pansessualità come dimensione inclusiva ma non omologante di tutti i tipi di differenza.
Il potere, definito fallologocentrico, perché si manifesta nel discorso basandosi sul rigido binomio maschile/femminile, desiderante/oggetto del desiderio, avere/essere il fallo per dirla con Lacan, nell’era post-moderna o, meglio, post-umana, sta conoscendo nuovi strumenti di dominio. Oltre a quelli tradizionalmente di cultura-pop (pornografia, dildo vaginali e anali, protesi di vario tipo,..), quelli scientifico-tecnologici, ormai anch’essi pop: “vi credete bio-donne ma prendete la pillola, bio-uomini ma prendete Viagra, siete normali e prendete Prozac o Seroxat nella speranza che qualcosa vi liberi dal tedio della vita; vi fate di cortisone, di coca, di Ritalin, di codeina…” Il controllo esercitato dal sistema sulla quotidianità dei viventi interviene a livello molecolare, domina biologicamente i corpi. Lo Stato autorizza il cambiamento del sesso seguendo un particolare e preciso protocollo. La protagonista decide di farlo fuori da questa procedura, autonomamente e alle stesse persone che ingurgitano eccitanti o calmanti dice: “Voi, anche voi, siete il mostro che il testosterone risveglia in me”, cercando di far cadere il muro dell’ipocrisia in nome di un' equivalenza tossica di cui tutti, ugualmente, siamo schiavi e che ci rende prossimi, tutti mostruosamente tecno-umani.
La possibilità di modificare il proprio corpo attraverso strumenti di diverso tipo, dalle protesi al Testogel, viene metaforizzata in scena dal bidone aspiratutto, smontabile. L’attrice, sempre sola sul palco, fa il suo ingresso in scena ostentando sul retro della sua t-shirt una scritta che riecheggia alla rivolta, alla resistenza “ON THE WATERFRONT”. Comincia ad aspirare tutto ciò che nello spazio, sulle pareti, non c’è. Arriva al microfono. Accende la loop station nominando elettrodomestici, macchinari, evocando fenomeni e situazioni della metropoli contemporanea, rumoreggiandoli onomatopeicamente uno dopo l’altro. Il lutto. La metamorfosi. L’attrice fa a pezzi l’aspirapolvere, smonta le sue componenti e le appiccica alla parete di fondo con dello scotch bianco, lasciando in mezzo giusto lo spazio per inserire la sua sagoma: i luoghi si raddoppiano, duplici come doppia, lei, sta per diventare. Occupando, verticale, di fronte al pubblico, lo spazio tra i pezzi di aspirapolvere appesi, schiacciata di schiena al muro, circondata da tubi e spazzola, dà avvio alla sua metamorfosi e con essa ad un processo di risignificazione degli oggetti. Calatasi i pantaloni ecco che i tubi diventano peni, con cui si penetra o che si attacca, possedendo colui che l’ha lasciata, incarnandolo. Altri oggetti emergono, invisibili agli occhi dello spettatore, evocati unicamente dal suo racconto, ma concretamente portati in presenza. L’attrice ci conduce nell’interno del suo salotto e assistiamo all’intima elaborazione del lutto: tanto quanto il corpo in putrefazione del suo amico poeta è materia in transito, così lei rimodella la sua carne.
Su questo desiderio di trasformazione, di cambiamento, che definisce “mutazione d’un epoca”, si innesta il discorso sul controllo socio-politico di matrice pop: “in quest’era farmacopornografica il corpo ingoia pure il potere”, legge il foglietto illustrativo di “Testogel”, che le consente di concretizzare e dunque di dimostrare l’ “implosione di soggetto e oggetto, di naturale e artificiale”, appartenente alla società in cui vive. I volti degli spettatori sorridono, i cuori restano sgomenti. La donna torna all’autobiografia: la compagna, l’infanzia, prima di rilanciarsi in un altro momento di ironia dissacrante: una voce preregistrata elenca tutta una serie di codici semiotico-tecnici, comunemente usati e universalmente accettati, riguardanti prima la femminilità e poi la mascolinità. Di nuovo sorrisi. Di nuovo lo sgomento per l’ovvio mai notato. Trasformazione avvenuta. Si sfila la maglietta, sostituendola con una canottiera bianca. Tira forte i suoi capelli legati in un nodo strettissimo. Rimonta l’aspirapolvere. Ricomincia ad aspirare. Durante tutte queste azioni, si ascolta, in loop, la traccia registrata all’inizio. Al microfono una voce certa, sicura, porta a termine la storia “il problema è nella gestione della propria identità”: il funerale, a cui assiste anche Vi. “Vengo a dirti addio. (…) Il tuo funerale è il nostro matrimonio”.
Una riscrittura non facile, per il tema trattato e per le discipline teorico-filosofiche che vi permeano, le quali richiedono un linguaggio tecnico e scientifico ostico, quasi incompatibile col teatro, che essendo etimologicamente "luogo in cui si guarda", necessita di immagini, suggestioni visive. La traduzione scenica di “TESTO TOSSICO”, è una sfida eccellentemente superata dall’autrice Francesca Manieri, abilissima nel perturbare l’immaginazione e l’udito dello spettatore. La regia e l’interpretazione di Federica Rosellini, sono all’altezza della scrittura, strutturate in modo impeccabile, ingranaggi perfetti ed efficaci.
La collocazione e la legittimazione all’interno della società di tutta quell’umanità marginale, deprivata di identità in quanto alterità rispetto all’ordine costituito, in quanto irriconoscibile rispetto alle categorie di significazione dominanti, oltre ad essere una questione attualissima è anche un terreno franoso, ispido, sul quale è rischioso muoversi. Questa coppia d’artiste, compagnia "Ariel dei Merli", riesce a non scivolare, ponendo lo spettatore al centro di un moto di resistenza che, dal margine in cui tali diversità sono state collocate, si insinua all’interno del sistema dominante evidenziandone fallacia e contraddizione, facendolo traballare.
“Dove tra ingorghi di desideri
Alle mie natiche un maschio s'appende
Nella mia carne tra le mie labbra
Un uomo scivola l'altro si arrende”
F. De André – Princesa – 1996
Info
Visto il 20 gennaio 2017
TESTO TOSSICO
liberamente tratto da Paul B. Preciado
drammaturgia Francesca Manieri
regia Federica Rosellini¨
con Federica Rosellini¨
produzione ARIEL dei MERLI
Ph: Manuela Giusto