TANTE FACCE NELLA MEMORIA @Teatro India: Un coro moltiplicato per sei.

Con la regia di Francesca Comencini e Mia Benedetta, torna di nuovo protagonista, dal 14/03/2018 al 18/03/2018, sulle scene del Teatro India, TANTE FACCE NELLA MEMORIA testimonianza di sei vite diverse nell’arco di sole ventiquattr’ore. Nel silenzio della sala buia si possono scorgere distintamente sei sedie diverse, poste sul palcoscenico, quasi sul confine tra ciò che sembra reale e ciò che in realtà non lo è. E' infatti proprio un confine quello spazio che permette allo spettatore di osservare appollaiato sulla sua comoda poltroncina di finto velluto rosso, spiando, senza mezzi termini, la vita di altre persone.

Il “velo invisibile” che di solito divide la platea dal palco con la stessa pesantezza di un muro di mattoni, in questo caso sparisce, lasciando spazio a qualcosa di sorprendente. Non esiste più il gradino che erge a mito gli attori o i personaggi sulla scena, ma esiste un piano condiviso che presuppone un dialogo con lo spettatore, senza mai oltrepassare di un solo passo il proscenio. Grazie alla semplicità dei costumi, della scenografia e alla neutralità delle attrici, il pubblico è in grado di concentrarsi essenzialmente sul racconto delle sei donne, portatrici ognuna del proprio punto di vista ma protagoniste della stessa vicenda.

Parliamo della memoria e testimonianza di coloro che rimasero disarmate di fronte al feroce e spietato eccidio delle fosse ardeatine, consumatosi il 23 marzo 1944 e portato in scena da Francesca Comencini e Mia Benedetta grazie al lavoro del professor Alessandro Portelli. Ciò che spiazza lo spettatore e lo tiene in una costante e continua tensione emotiva, sono proprio i racconti della terribile vicenda ricordata semplicemente attraverso una memoria orale, tratta da centinaia di testimonianze diverse e che si fa largo tra tante altre ormai dimenticate e sbiadite dal passare del tempo.

Tutte donne coloro che sopravvissero e tramandarono fino a noi la storia dell’eccidio. Tutti uomini coloro che persero la vita senza nemmeno avere il tempo di averne la consapevolezza. In scena, però, ci sono tutti anche gli assenti.

Sul palco sono in tre le gappiste che ebbero il coraggio di lottare per la loro libertà e quella altrui, fianco a fianco dei loro fedeli compagni e amici, spesso lottando anche a costo della loro etica e del loro profondo rispetto nei confronti della vita in generale. Costrette a compiere azioni e gesti che uccisero decine di uomini nonostante questi uomini fossero categorizzati sotto l’appellativo di “tedeschi” e, nonostante fossero in quel momento e in quel frangente storico un nemico terribilmente feroce e spietato, ancora oggi alcune di loro si domandano in che modo abbiano potuto compiere e attuare realmente agguati e strategie di guerra/guerriglia che a quel tempo, a Roma, erano all’ordine del giorno. Altre tre sono le donne sul palco che hanno partecipato alla “resistenza” di tutti i giorni, che hanno visto morire fratelli, genitori o mariti in una manciata di minuti. Proprio per questo il fine ultimo della rappresentazione ha come scopo l’atto del ricordare (inteso come vera e propria azione) e quindi del meditare sul nostro passato, riflettere sull’importanza di poter esprimere il proprio pensiero senza filtri e senza paura, cosa che invece, nemmeno un secolo fa, non era possibile fare se non firmato e controfirmato da un saluto fascista.

La violenza ricordata dalle donne superstiti sul palco, non va a suffragio di un semplice e straziante ricordo di orrore e paura, anzi, ha lo scopo di evidenziare lo scempio ingiustificato di quell’attentato di via Rasella a Roma nell’apparentemente lontano 23 marzo 1944. Tante vite spezzate e ingiustamente nascoste, hanno il diritto di essere ricordate anche semplicemente per insegnare che la libertà non è gratis o scontata, ma faticosa da conquistare e spesso, ha bisogno di conti salati da dover estinguere nel minor tempo possibile. Anche a costo di una o più vite.

Il tema del ricordo è evidentemente il protagonista. Ogni voce sulla scena si staglia a turno senza mai sovrapporsi l’una sull’altra. C’è però un ricordo nel ricordo dello spettacolo che ci permette stranamente di riportare alla luce una sorta di memoria emotiva della scena. Infatti ogni voce, seppur a turno solista all’interno dell’ora e dieci di spettacolo, funge da coro unanime. Un tappeto sonoro è il ricordo che si ha della rappresentazione. Un tappeto di tante e troppe voci, che furono protagoniste della tragedia, si racchiudono all’interno di questi sei corpi e sei testimonianze riportate ad arte dalla strepitosa regia di Francesca Comencini e Mia Benedetta.

Le sei donne parlano della tensione e preoccupazione riguardo la scomparsa dei loro cari e amati parenti, amici, fratelli e compagni. Girano all’impazzata senza tregua per circa 3 mesi tutta Roma, alla ricerca dei loro trecentotrentacinque uomini scomparsi improvvisamente e chiaramente rappresentati dalle giacche appese in aria, poco dietro le sedute delle sei attrici. Gli sguardi di ogni protagonista tra cui Maria Musu con la sua presenza d’animo, lo spirito genuino e profondo di Ada Pignotti, il coraggio e la tempra di Carla Capponi e la passione di Gabriella Polli, della Simoni e della Ottobrini, agiscono singolarmente ma allo stesso tempo insieme; agiscono singolarmente ma nel coro di tante altre voci che con loro, hanno vissuto la resistenza dell’occupazione a Roma in quegli anni. Improvvisamente la scena si riempie di presenze e di testimonianze che non hanno corpo ma hanno lasciato un esempio e un valore prezioso in grado di trascendere le parole e che forse, vale anche di più di tutte le vite sacrificate in quegli anni.

In una cascata di applausi e tra le note di “sempre” intonata dalla voce di una struggente Gabriella Ferri, si conclude il ricordo. Con la speranza che non si tramuti in un “Vecchio ritornello” ma in un’occasione catartica di condivisione e compassione.

Fornirsi del "mezzo" teatro e creare una drammaturgia per amplificare un simile tema apporta sacralità e appunto, memoria, a qualcosa su cui vale la pena soffermarsi. Che sia nel tempo di una rappresentazione, nel tempo di un libro o ancora nel tempo di un fugace pensiero, tutto questo è necessario. Potrebbe apparentemente sembrare poco coscienzioso, specialmente per chi il teatro lo respira quotidianamente, utilizzare uno spazio tanto evocativo e vibrante per un simile tema. Ma osservando più da vicino la regia e il taglio che contraddistingue la rappresentazione, improvvisamente tutto ha più senso. Cosa sarebbe il teatro se non esperienza umana? Ma soprattutto, cosa sarebbe il teatro se evitasse di farci porre la domanda del: “come mi adopero per far sì che il mio messaggio arrivi proprio dove e come voglio che arrivi?”.  

 

Visto il 17/03/2018

Info:

TANTE FACCE NELLA MEMORIA
Drammaturgia a cura di:

Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli

Luci: Gianni Starapoli

Costumi: Paola Comencini

Produzione: Teatro Stabile d’Abruzzo

In collaborazione con: Associazione InArte

durata: 1 h e 10 minuti

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