C’è qualcosa di profondamente amaro e cinico, in questo T’AMO ED è UN CONTINUO SCHIANTO, una drammaturgia di Rosalinda Conti per la regia di Matteo Ziglio e aiuto regia di Chiara Bencivenga, la cui messa in scena sorprende e disorienta al tempo stesso per il suo essere, solo apparentemente, leggera e ironica.
Il titolo richiama un verso della poesia di Ungaretti: “Giorno per giorno” (che parla di un bambino morente) e mai scelta fu più felice per narrare l’infelicità di fondo di due giovani d’oggi (rappresentati da una splendida Giordana Morandini e un ispirato Stefano Patti), emblemi del consueto sentimento di precarietà moderno di fronte alla mutevole e crudele realtà del mondo (“Ci hanno lasciato un brutto mondo” si afferma,) che ben conosciamo. Un mondo in cui non sembra esserci spazio (lavorativo e umano) per nessuno, o dove, più precisamente, nessuno riesce a trovare un vero e proprio spazio di autodefinizione e realizzazione personale (“Non c’è spazio per me”, si conferma).
I due giovani, consapevoli di essere un cumulo di attese e insicurezze, di gioie e amarezze, di istanze e imperativi morali autoimposti (“Resisti” e “Comprendimi”), in un flusso di coscienza inarrestabile confidano al pubblico riflessioni, ricordi di vita e ineffabili verità che il pubblico ben conosce o immagina e nelle quali, irreparabilmente, finisce per riconoscersi.
La regia, nient’affatto minima, ha posto i due nel contesto più ameno possibile: su di un’altalena (elemento cardine dell’infanzia e della prima adolescenza) posta al centro (ed è importante questo essere “al centro”) di un prato pieno di girasoli, scelta felice perché spiazzante e talmente giocosa da risaltare per contrasto sul testo messo in bocca ai due, che invece è più maturo di quanto si pensi. Ed è più sprezzante di quanto voglia apparire almeno nel primo “atto”, quando sfrutta una leggera comicità narrativa che sembra, solo apparentemente, portare il testo verso una direzione più banale, agganciandosi alla narrazione di aspetti di vita banali e superflui (il rapporto con gli animali domestici, i modi per fare colpo, etc).
Recitato velocemente e con grande maestria soprattutto dalla Morandini (Patti da il suo meglio nei momenti drammatici: buona comunque l'intesa dei due sulla scena) il testo è dunque denso e corposo, caratterizzato da continue ripetizioni e sottolineature, in un ripetersi ossessivo di certe convinzioni, quasi si risolvesse in un dialogo con sé stessi in cui sembra necessario convincersi delle proprie verità che non ammettono contraddittorio.
Il continuo riferimento alla “catastrofe” porta con sé un’aspettativa fosca, quasi un presagio dominante, lo stesso che amaramente (e qui rintracciamo l’amarezza di fondo che trasuda dalla drammaturgia) domina e corrobora le nostre vite, sempre in attesa di una cattiva notizia (lavorativa soprattutto) che minacci la nostra stabilità, che spezzi l’idillio di vita personale così faticosamente costruito, un idillio rappresentato dal paradossale prato fiorito. Un idillio da cui uscire con un sollevarsi fastidioso di luci, perché di tanta precarietà personale, e non solo lavorativa, si può morire.
Il testo e la sua complessità domina dunque tutto, domina anche sulla perfomance attoriale che non ha grandi spazi d’azione (se si eccettua l’ondeggiare sull’altalena ed il muovervisi intorno): ma questa scelta si rivela in realtà corretta, perché lo scopo (almeno questo è quanto ci sentiamo di ricostruire) è mettere tutto il contenuto dello spettacolo al centro della scena, piazzarlo al centro dell’attenzione dello spettatore e sotto gli occhi di tutti.
L’altalena è al centro, i due giovani sono sopra di essi restano quasi sempre in posizione centrale e sempre dal centro raccontano le proprie verità, quasi le scagliassero contro il pubblico, come a dire: “Ti ci riconosci no no?” (e la verità è un sostenuto sì!). Peccato, ci viene da pensare, che gli spazi di contraddittorio tra i due siano così pochi, che non ci sia possibilità per i due di sfogarsi (e un motivo c’è) e di trovare nel confronto reciproco, una chiave di lettura diversa.
In questa drammatica assenza di contradditorio riscontriamo però, tutta l’amarezza di T’AMO ED è UN CONTINUO SCHIANTO.
Ed in questo delicato equilibrio di scambio fra attore e pubblico -e non fra attore e attrice- che si consuma la regia di questo spettacolo che parla direttamente al pubblico, non senza qualche venatura spiritosa, mentre la fisarmonica di Marco Russo suggerisce la malinconia imminente di una generazione che si sente senza futuro e forse, non può più concedersi una replica.
Info:
Foto di Federico Giusti
T’AMO ED È CONTINUO SCHIANTO
testo di Rosalinda Conti
con Giordana Morandini e Stefano Patti
musiche dal vivo Marco Russo
scene Morena Nastasi
disegno luci Marco Maione
costumi Fabio Mureddu
assistente alla regia Chiara Bencivenga
foto di scena Federico Giusti
si ringraziano per la collaborazione
regia Matteo Ziglio
Emigliano Tanzillo | Roma Teatri | Andrea Appel
SALA ORFEO
dal 17 al 22 maggio 2016
dal martedì al sabato ore 21:00 | domenica ore 18:00