Il 10 ottobre al Teatro Avamposto di Napoli è andata in scena una rappresentazione per la stampa di Stoccolma, spettacolo su un recente testo di Antonio Mocciola, che sta già riscuotendo successo.
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Stoccolma: finalista al Premio Annoni 2021.
Sempre felice di vedere qualcosa che già si preannuncia originale, il 10 ottobre scorso ho visto la messa in scena per la stampa di Stoccolma con grande curiosità. Ho seguito da lontano anche il suo percorso con il primo pubblico (è andato in scena dal 19 al 21 novembre al Centro Culturale Artemia di Roma) e so che è stato accolto con l’interesse che immaginavo.
Si tratta di un testo di Antonio Mocciola, ormai più che stimato autore lucano di adozione napoletana, finalista per i corti italiani al Premio Annoni 2021, riservato a testi teatrali a tematica LGBT+ e sulle diversità nella sfera dell’amore, della società, della politica e della cultura.
Stoccolma: perfetto stile Mocciola
La sala dell’anteprima è piccola e raccolta e il palco all’inizio prevalentemente buio, a parte un angolo in cui si svolge chiaramente un esame universitario. L’esame è finito ma non sembra affatto andato bene, e tra il giovane esaminato e il professore i toni si scaldano, lasciando prevedere che non finirà certo lì. Confesso che da ricercatore universitario è una scena piuttosto inquietante da vedere, ma la cosa non fa che aumentare la mia curiosità.
Si può dire che solo a questo punto lo spettacolo inizia davvero, quando lo spettatore viene catapultato nel clou dell’azione senza tanti preamboli, senza girarci intorno e soprattutto senza censure, ovvero in perfetto stile Mocciola: tempo di un buio e in scena ritroviamo un uomo (Antonio de Rosa), nudo, legato e bendato che viene nutrito come un cane ed umiliato dal giovane esaminando visto poco fa, Gianluca (Michele Capone). L’uomo legato è il suo professore.
Stoccolma, la sindrome
Tra i due comincia una lunga conversazione in cui l’aguzzino ci fa comprendere con non risparmiata crudeltà qual è il rapporto tra i due, che ovviamente (e fortunatamente per i docenti universitari in ascolto) non si limita a quello di insegnante-studente. Infatti, tra di loro c’è Marcello, figlio del professore e amante del ragazzo, e questo complica moltissimo la situazione, oltre che i significati di ciò a cui stiamo assistendo.
Nella dialettica tra questi due personaggi si svolge una interpretazione tutta originale della sindrome di Stoccolma, nome noto per un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza. In parole povere, viene descritta spesso come la malattia in cui la vittima si “innamora” del carnefice. Ma ora qui, su questo palco, chi è la vittima? E chi è il carnefice? E dov’è l’amore?
Stoccolma di Antonio Mocciola, una storia di padri e figli e di vendetta.
Molteplici sono i piani su cui possiamo riconoscere la stessa dinamica. C’è un rapporto padre-figlio in primo piano, anzi due, anzi tre. C’è la relazione del Professore con Marcello – grande assente sempre presente – c’è la relazione di Gianluca con suo padre, spesso dolorosamente nominato e, non ultima, c’è la relazione tra Gianluca e il professore stesso, che incarna agli occhi del ragazzo suo padre e insieme il suo contrario.
In Gianluca, per tutto il tempo in cui si dedica all’umiliazione fisica e morale dell’altro uomo, percepiamo l’intenzione di vendetta. Ma di cosa si sta vendicando? Delle cinque volte in cui è stato bocciato all’esame? No, non è così semplice. Il ragazzo ha esigenze di vendetta molto più ampie. La vera giustizia che avrebbe voluto avere non è solo personale ma sicuramente sociale.
Stoccolma, cercare per tutta la vita la propria malattia senza riuscire a trovarla
Nel rapporto di Gianluca con gli uomini della sua vita c’è l’instancabile bisogno di approvazione, di affetto, di riconoscimento, di dignità, che in un modo o nell’altro gli vengono negati. Si parla di padri che ignorano, e di padri che guardano troppo e male, ma sempre di giudizio e denigrazione. Si parla essenzialmente di inadeguatezza nei confronti di una persona e di una società che si aspettano da te qualcosa di diverso da ciò che sei e che puoi dare.
Il personaggio di Gianluca è scritto per incarnare questo e sfogarlo poi sul professore in una sorta di lucido delirio personale.
Riuscite a immaginare le sensazioni del giovane? Mocciola e gli attori riusciranno a farvele immaginare: essere considerato malato e cercare per tutta la vita in se stesso la propria malattia senza mai riuscire a trovarla, diventare folli perché tanto qualcun altro già ti considera tale. Roba brividi e pelle d’oca.
Stoccolma: chi è davvero la vittima e chi il carnefice?
Come complicati sono i risvolti sociali di tanto rifiuto, anche tra i due uomini le cose appaiono presto molto più complicate di come sembravano inizialmente. Repulsione o attrazione? Si comprendono o si stanno mentendo? Chi è davvero il più forte tra i due? Chi è davvero la vittima e chi il carnefice? L’unica certezza che ho io è che entrambi sono in qualche modo vittima di una cultura chiusa e di un mondo che vuole incasellare la realtà in troppo poche possibilità.
Qualcun altro vedrà più approfonditamente di me i risvolti psichiatrici e sentimentali tra i personaggi sul palco, io mi concentro dove la mia attenzione è stata attirata: una sindrome di Stoccolma sociale, senza scampo, che coinvolge molte più persone di quante lo ammettano e di cui è difficilissimo, forse impossibile, liberarsi.
Stoccolma: amore che imprigiona, amore che salva.
La chiave di volta dello spettacolo è senza dubbio Marcello, l’amore della vita di entrambi, che li accomuna e li unisce, l’amore salvifico che anche le luci di Garofalo sanno sottolineare quasi come un deus ex machina. Sapranno cogliere i nostri “eroi” l’occasione che l’amore dà loro per trovare, se non giustizia, almeno un po’ di pace? Quando vedrete la fine vi farete la vostra idea.
Stoccolma: crescendo di tensione ed emozioni.
Un testo impegnativo e un’interpretazione molto faticosa per i due bravissimi attori che ne escono senz’altro come dopo la scalata di una montagna, ma l’esperienza non è leggera neanche per lo spettatore, che vive un continuo crescendo di tensione e di emozioni per sentirsi, al riaccendersi delle luci, come schiaffeggiato a piene mani e poi accarezzato con comprensione: è quello che dentro di sé ha fatto a se stesso nell’ultima ora, guidato dalle parole di Mocciola e dalla sapiente regia di Maria Verde.
Introspettivo ma non didattico, un’operazione a cuore aperto per guarire dalla frustrazione, una radiografia più che un semplice nudo. Uno spettacolo non per i deboli di cuore né per i deboli di spirito, giustamente apprezzato dalla giuria del Premio Annoni e che mi auguro vedrà molte altre messe in scena (per le quali gli attori dovranno certamente mantenere una certa preparazione fisica di resistenza).
STOCCOLMA
Drammaturgia di Antonio Mocciola
regia Maria Verde
con Antonio De Rosa, Michele Capone
aiuto regia Katia Girasole
musiche originali Antonio Grillo
collaborazione all’allestimento Bruno Garofalo
Produzione Ass. Cultu. T.A.O.