Tra gli spettacoli di provenienza internazionale della nona edizione del NapoliTeatroFestival 2016, "St/ll" di Shiro Takatani è una proposta sorprendente e innovativa.
Lo spettacolo non si basa su una storia: quadri audiovisivi tematicamente slegati tra loro, ma di grandissimo impatto sensoriale, si succedono su un palcoscenico animato dai quattro danzatori Yuko Hirai, Maya Tsuruta, Misako Yabuuchi, Oliver Balzarini, da una serie di effetti luminosi calcolati al millesimo e alcuni testi pronunciati sia in giapponese che in italiano.
Ecco alcuni quadri che compongono lo spettacolo. Una lunga tavola nera apparecchiata al centro della scena, orientata in profondità, al cui vertice posteriore è quasi attaccato uno schermo verticale sul quale vengono proiettate le immagini della tavola stessa, riprese dall'alto da una camera sospesa e mossa come un uccello da quattro cavi. La danza degli uomini intorno alla tavola nasce dai gesti quotidiani del mangiare, tagliare, gestire le posate e i bicchieri.
Poi la danza si dilata lentamente e anche i tavoli si distanziano, i danzatori ci si stendono e la camera, complice l'illuminazione trasversale che bagna i corpi ma non le superfici degli appoggi, li trasferisce sullo schermo come se fluttuassero nello spazio: tavoli neri e pavimento nero compongono lo sfondo infinito nel quale illusoriamente la ripresa sospende quei corpi che pure restano sul palco soggetti all'azione della gravità.
Giochi di ombre trasformano lo schermo di proiezione in un fondale per teatro d'ombra dove le ombre dei danzatori posti al di là dialogano con i corpi dei danzatori posti al di qua, corpi che pure sono quasi trasformati in ombre dall'illuminazione in controluce che bagna lo schermo.
Ancora, la proiezione della caduta in moviola di vari oggetti di uso quotidiano restituisce quegli oggetti in forma straniata, sorprendente, come li vedessimo per la prima volta: si torcono o si rompono al contatto col suolo, danzano una specie di danza gravitazionale, che non avevamo avuto modo di immaginare prima d'ora e che ci fa gustare al meglio la forma e i materiali di cui sono fatti. La lentezza di questa caduta fa eco alla lentezza delle coreografie o della dizione dei pochi testi non narrativi, come se tutto tendesse all'immobilità, al silenzio.
La parola inglese "still", già nel suo aspetto visivo e sonoro straniata dal titolo mediante la sostituzione dello slash alla 'i', significa 'silenzioso, immobile, ancora'. Questi significati paiono costituire una fonte di ispirazione, un territorio da esplorare, una dimensione semantica e una sfera sensoriale da straniare, per il regista Shiro Takatani.
Il silenzio, ad esempio, in molte scene è presente e riconoscibile come tale, ma in molte altre è più qualcosa di desiderato o evocato per contrasto dall'invasiva partitura sonora costruita a partire da musiche di Ryuichi Sakamoto, Marihiko Hara, Takuya Minami. Questa partitura si compone paradossalmente di suoni-rumori elettronicamente sintetizzati, che danno sensazioni di artificialità, tecnologicità, qualcosa di molto lontano da un certo immaginario naturalistico del silenzio, specie se l'aspettativa dello spettatore aveva richiamato la cultura zen dei silenziosissimi monasteri giapponesi extraurbani, tutti meditazione e raccoglimento interiore. Il silenzio, questa partitura lo fa piuttosto esplodere dopo lunghi bordoni assordanti, o lo limita nello spazio intercorrente tra diversi 'bip' acutissimi, discreti o continui, che a volte costringono lo spettatore a difendersene tappandosi le orecchie.
Notevole è la creazione multimediale di Ken Furudate, la quale lega in sincronie strettissime l'audizione alla visione, creando una partitura audiovisiva che ha la precisione delle più alte installazioni di arte contemporanea. Le luci curate da Yukiko Yoshimoto alternano effetti di atmosfera soffusa ad effetti di vera e propria violenza visiva sullo spettatore, come quando, verso il finale, si accende un intensissimo riflettore a vista che, oltre e più che simboleggiare una luna (con altri effetti luminosi, è stata appena evocata un'eclissi sullo schermo), ha piuttosto la funzione di abbagliare. In ogni caso, si tratta di effetti calibrati al millesimo e, se lo spettatore non è in grado di sostenerne l'intensità, è certamente perchè gli autori l'hanno voluto.
Uno spettacolo graffiante, dunque, pure nella sua discrezione. Non ci sono infatti improvvisi impulsi sensoriali: anche gli effetti più impattanti sono introdotti mediante dissolvenze graduali. In questo modo lo spettatore viene indotto in un'ipnosi che, pure nell'altissima elaborazione artificiale dello spettacolo, ha ancora qualcosa della meditazione.
D'altra parte, lo spettatore non è al riparo dalla noia e dal sonno, ma da buon videoartista contemporaneo, Shiro Takatani non sembra curarsi della cosa. Alla fine di uno spettacolo certamente non popolare, il pubblico in sala, composto non soltanto da napoletani e da molti artisti, applaude senza riserve dopo aver assistito nel rispetto di un non religioso silenzio.
REGIA/DIRECTED BY SHIRO TAKATANI
CON/WITH YUKO HIRAI, MAYU TSURUTA, MISAKO YABUUCHI, OLIVIER BALZARINI
MUSICHE/MUSIC RYUICHI SAKAMOTO, MARIHIKO HARA, TAKUYA MINAMI
LUCI/LIGHT DESIGN YUKIKO YOSHIMOTO
CREAZIONE MULTIMEDIALE/MULTIMEDIAL CREATION KEN FURUDATE
TESTO/TEXT ALFRED BIRNBAUM
VOICE/VOICE MARIO VATTANI
CANZONE/SONG 60 CRADLES – REHOTNE SINTA
VOCE/VOICE YOKO KAWAKAMI ©THE FOUNDATION FOR RESEARCH AND PROMOTION OF AINU CULTURE PRODUCTION TOURNÉE RICHARD CASTELLI – EPIDEMIC
PRODUZIONE/PRODUCTION DUMB TYPE OFFICE
IN COPRODUZIONE CON/IN CO-PRODUCTION WITH LE VOLCAN – SCÈNE NATIONALE DU HAVRE (FRANCIA), BIWAKO HALL – CENTER FOR THE PERFORMING ARTS SHIGA (GIAPPONE), FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA
date/dates 20 giugno/june h 21.00
21 giugno/june h 19.00
luogo/venue teatro politeama
durata/running time 1h 10min
lingua/language italiano/italian
paese/country giappone/japan
«Come Spinoza lucidava una lente per vedere meglio il mondo, così oggi le nuove tecnologie ci permettono di catturare ogni più breve momento e di osservare ogni più piccolo dettaglio». Con queste parole Shiro Takatani – uno dei più visionari (video)artisti del panorama mondiale – descrive ST/LL, il suo ultimo lavoro nel quale indaga tutte le possibili declinazioni della parola inglese “still” – silenzioso, immobile, ancora – arrivando a concepire uno spettacolo che dispiega il tempo in un meraviglioso poema visivo, certamente contemplativo ma mai noioso.
Nato a Kyoto nel 1963, Takatani si diploma all’Università delle Arti nella sua città natale. Membro fondatore del Dumb Type, nel 1984, s’interessa particolarmente agli aspetti visivi e tecnici fino ad assumerne il ruolo di direttore artistico. Parallelamente alle attività svolte all’interno del gruppo, partecipa a numerosi progetti individuali in tutto il mondo.
È un mondo strano quello di Shiro Takatani: le cose reali sotto ai nostri occhi si nascondono per meglio invaderci attraverso uno schermo gigante che amplifica le loro dimensioni e i loro movimenti, in maniera lenta eppure ossessiva. La scena – di cui si perdono i contorni e le misure – è occupata da una lunga tavola nera su cui sono disposti dei grandi piatti e alcune mele. I danzatori, con i piedi nell’acqua, compiono piccoli e lenti gesti che vediamo in gigantografia proiettati sullo sfondo. La regia offre dei frammenti magistralmente orchestrati portando a mettere in discussione le coordinate spazio-temporali. Ma non si tratta dell’ormai banale gioco tra simultaneità della presenza fisica e della proiezione video: l’obiettivo qui è rompere la pigrizia dell’occhio attraverso dei trucchi visivi che producono uno sfalsamento della percezione. Non esiste una storia in ST/LL: vero protagonista è la sorpresa del nostro sguardo che, scena dopo scena, partecipa alla costruzione dello spettacolo nello spazio.