A due anni esatti dal debutto a Trento, SORRY, BOYS di Marta Cuscunà arriva finalmente a Firenze, grazie al Teatro di Rifredi: l’ultimo capitolo del progetto artistico Resistenze Femminili, prodotto da Centrale Fies. Questo “disturbante” spettacolo prende spunto dal patto segreto di un gruppo di ragazze adolescenti di Gloucester, in Massachusetts, di restare incinta insieme e creare una comune femminile dove allevare i propri figli, in risposta alla violenza contro le donne, di cui erano passive spettatrici, fino a questo atto loro rivoluzionario.
Marta Cuscunà è un’artista straordinaria, di quelle che ce ne sono poche, capace di comunicare con autenticità, portatrice senza spocchia di un impegno genuino, una giovane donna minuta con una forza inaspettata e grandi capacità performative, sincera e coerente con sè, con i propri ideali e la propria arte.
SORRY, BOYS, premio Rete Critica 2017, entra all’interno della sua produzione, come uno dei capitoli della trilogia RESISTENZE FEMMINILI, dopo È bello vivere liberi, narrazione della lotta per la libertà e per i suoi ideali della staffetta partigiana Ondina Peteani deportata ad Auschwitz, e La semplicità ingannata, sulla monacazione forzata e il potere dell’alleanza femminile delle Clarisse di Udine: un percorso attraverso le storie di donne che hanno contribuito, con le proprie scelte di vita, a dare un senso nuovo al concetto di femminismo, storie inusuali, studiate con passione dalla Cuscunà e raccontate in scena con intelligenza, ironia ed una particolare originalità rappresentativa.
Protagonisti, come per i precedenti spettacoli, anche in SORRY, BOYS, i pupazzi, stavolta 12 teste mozze, maschere animatroniche, particolarmente realistiche, realizzate dalla scenografa Paola Villani e manovrate con un sistema di leve dall’attrice dietro un telaio che le vede appese al muro come trofei. L’idea nasce da We Are Beautiful, di Antoine Barbot, raccolta di fotografie iperrealiste di teste umane incastonate in trofei di caccia. Gli adulti, il preside, l’infermiera scolastica, i genitori, da una parte e i giovani inconsapevoli padri, dall’altra, sono infatti con le spalle al muro, di fronte al fatto compiuto, alla decisione presa e realizzata, delle ragazze di restare incinte insieme e di fare a meno di loro, di tutti: gli adulti, che non assolvono al dovere di esempi maturi e di guide, e i propri compagni, infantili ed ingenui.
La storia narrata è un fatto di cronaca americana del 2008, di cui parla il reportage The Gloucester 18, dove le stesse protagoniste adolescenti raccontano il patto segreto che le ha unite, deluse dalla società in-civile colpevole, vittima o artefice, di una violenza di genere, particolamente acuta nella cittadina americana, di cui un altro documentario Breaking our silence, denuncia l’esistenza.
Speranza, follia o utopia? La consapevolezza della loro forza generatrice, intrinseca nella femminilità delle giovani ragazze, diventa un atto rivuzionario potente e senza possibilità di scampo per nessuno. L’utero è mio e me lo gestisco io, sembrano gridare, come nelle manifestazioni degli anni settanta, sanno che se vogliono, possono. Eppure non appaiono in scena le giovani donne creatrici, sono su uno smartphone in chat, informano i loro compagni e genitori con la semplicità della modernità, fotografia dell’impotenza dell’interlocutore nella comunicazione di oggi; seguono la crescita delle loro pance sull’app iMamma, dove il feto cresce dalla dimensione di un mirtillo fino a quella di un cocomero, con lo scorrere delle settimane di gravidanza.
SORRY, BOYS raccoglie, in modo ironico ma anche spietato, le reazioni scomposte dei protagonisti della vicenda a qualcosa di già accaduto, spettatori della decisione delle precoci mamme. E questa stessa sensazione si traferisce al pubblico, che, allo stesso modo, non può distogliere lo sguardo, non ha via di scampo, non può negare l’impatto che la vicenda ha su di sè.
I pupazzi sono incredibilmente convincenti, sembrano oltre che parlare con le diverse voci dell’attrice, anche respirare o deglutire, cambiare espressione , tanto che l’adesione del pubblico alla finzione teatrale è totale: si crea un coinvolgimento più forte rispetto a un attore che cerca l’immedesimazione o l’effetto realistico. La performance della Cuscunà è così notevole da distrarre lo spettatore con la domanda: davvero è da sola a fare tutto? Muove tutte le maschere contemporaneamente, caratterizza i personaggi con tanta precisione e fa tutte le voci così diverse?
L’origine antica del teatro di figura, di maschere, pupazzi e burattini è reinventata e reinterpretata in modo totalemente contemporaneo e moderno, dando alle maschere in scena un significato nuovo ed attuale. Non solo una scelta di forma teatrale, nel lavoro della Cuscunà questi potenti oggetti scenici hanno un ruolo drammaturgico importante: permettono di varcare una soglia.
La rappresentazione, mediata dai pupazzi, dei personaggi con le spalle al muro e quella, mediata dalla comunicazione virtuale, delle giovani donne, permette al pubblico di identificarsi sia con una parte che con l’altra; potendo così comprendere l’universo delle sensazioni, l’umanità presente in ogni reazione. Quella degli adulti, arresi di fronte alla notizia del fatto compiuto, infantili, nel fare a gara a cercare il colpevole, chi è stata la prima? purchè non si tratti della propria figlia; quella meschina del preside, preoccupato dello scandalo; oppure le ingenue reazioni dei ragazzi, inconsapevoli donatori di sperma, che si domandano, con enorme tenerezza, perchè non ci vogliono?; ma anche le ragioni di una generazione di donne che hanno conosciuto nelle proprie famiglie, nei propri rapporti con gli uomini, la discriminazione di genere, la violenza, la condizione che ha creato il patto per fare da sole.
Il percorso teatrale sul femminile della Cuscunà cerca di smontare gli stereotipi di genere, anche con sottile ironia, come nelle battute dei giovani adolescenti, i cui punti di riferimento maschili sono i divi del porno o Schwarzenegger, per poi compiere un viaggio di maturazione ponendosi domande che i padri non sono stati in grado di fare, in un cambiamento del maschile anche grazie alla rivoluzione femminile. Solo cambiando la cultura maschile dominante, le generazioni future di donne e di uomini, possono aprire nuovi spazi di libertà per entrambi.
Oggi sono alla ribalta delle cronache, dalle statistiche sulle violenze domestiche ai femminicidi, dal caso Weinstein alla campagna #MeToo, da #quellavoltache fino al recente manifesto delle attrici italiane Dissenso comune: perchè la disuguaglianza di genere rende le donne sottoposte sempre a un implicito ricatto. Succede alla segretaria, all’operaia, all’immigrata, alla studentessa, alla specializzanda, alla collaboratrice domestica. Succede a tutte.
Non si può fare finta di nulla. Questo significa la parola IMPEGNO. E Marta Cuscunà la conosce dal profondo, riesce a dirla con umiltà e forza, semplicemente raccontando una storia. Verità per Regeni, ci ricorda al termine dello spettacolo, il cui corpo fu ritrovato proprio il giorno del debutto dei SORRY, BOYS, il 3 febbraio di due anni fa. Impegno appunto. Una parola.
Info:
SORRY, BOYS dialoghi su un patto segreto per 12 teste mozze
di e con Marta Cuscunà
progettazione e realizzazione teste mozze Paola Villani
assistenza alla regia Marco Rogante, disegno luci Claudio “Poldo” Parrino
Produzione Centrale Fies
Teatro di Rifredi, Firenze
3 febbraio 2018