“Si può essere giovani senza soldi, ma non si può essere vecchi senza averli”. E sono proprio gli scomodi compromessi per ottenerli e la capacità di rimanere unite a legare le due SORELLE, in scena dal 12 al 15 maggio al Teatro Studio Uno, secondo dei 6 spettacoli di NON È UN TEATRO PER GIOVANI – SCENE UNDER 25, un progetto dedicato al confronto tra generazioni di artisti (dal 12 maggio al 5 giugno).
Si tratta del primo spettacolo della Compagnia Manufacta Teatro composta da Lucia Rea e Marta Salandi, due giovani attrici diplomate alla Civica Accademia D’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine.
Fuori schema. E’ questo il primo commento che viene da fare entrando in sala. Sono proprio le due anziane sorelle, Alva (Lucia Rea) e Bertha (Marta Salandi), ad accogliere il pubblico con il “famoso tè dell’Himalaya”, da sorseggiare con calma durante lo spettacolo. Ci appaiono sorridenti, allegre, ci coccolano. Poi prendono posto in scena e, sedute l’una accanto all’altra, iniziano a raccontare la loro storia in un passaggio temporale scandito da un cambio di abiti a scena aperta e da una parallela drammaturgia musicale che va da John Steel a Elvis Presley fino ad arrivare alle Spice Girls. Piccole, adolescenti, giovani donne, vecchie.
Cresciute da sole ma sempre insieme: è questo il tema centrale di Sorelle, la capacità di rimanere unite, nonostante il susseguirsi incessante di vicende amare nella loro vita.
Il posizionamento degli oggetti in scena è funzionale allo scopo. I due stand appendiabiti sul fondo della scena creano una sorta di cornice e rendono l’ambiente intimo, informale, caldo, e focalizzano l’attenzione in due spazi ben precisi: sulla sinistra un tavolinetto bianco con le chincaglierie di Bertha, i suoi piccoli amici immaginari che diventano anche un po’ i nostri; sulla destra un tavolo tondo, nero, intorno al quale gravita il rogo interiore di Alva: la scoperta della lettera di licenziamento, le manie di persecuzione, la decisione di prostituirsi.
Due voci off, come sottofondo ai suoi numerosi incontri, provano a motivare quella scelta, quella di Alva come quella di chiunque altro al suo posto: “Ho paura del futuro. Anzi, non lo vedo affatto”.
Un’istantanea che ci cattura tutti e ci costringe senza alcun sorriso a fare i conti con una realtà scomoda, che in qualche modo ci appartiene.
A sottolineare la cupezza del momento sono le luci, che si spostano dietro gli stand appendiabiti, scavalcando quella cornice che ci aveva protetto fino ad un istante prima, per proiettarsi al centro di una zona d’ombra dalla quale si esce per ritrovare le protagoniste ormai ottantenni.
Fin qui tutto fila. Da qui in poi inizia ad insinuarsi la confusione. I riferimenti a “Lo zoo di vetro”, “Saluti da Bertha” e “Lettera d’amore di Lord Byron” di Tennessee Williams sono chiari ma è una riscrittura drammaturgica dal finale un po’ forzato. La lettera di Lord Byron chiusa in un diario della loro bisnonna e letta al pubblico, il racconto del loro incontro amoroso, la declamazione di poesie. Si perde il senso della storia, ci si chiede: perché? Cosa mai c’entri il racconto della loro bisnonna.
Si ricerca un finale, che non arriva, e lo si trova nelle parole di Rossella ÒHara in “Via col vento”. Ironico sì, anche molto cinematografico, ma non basta a confondere lo spettatore sulla sostanza della messa in scena.
"Peccato" è il commento che ci verrebbe da dire in uscita, ma l’intesa tra le due sorelle è forte come quella tra le due attrici, che si fanno apprezzare, padroneggiando con buone capacità attoriali la scena. E ci piacciono, ci convincono, ci rapiscono con le loro trovate che riempiono ogni pausa, ogni vuoto. E alla fine riescono anche a farsi perdonare le loro piccole gaffe; “Dopotutto domani è un altro giorno”.
SORELLE –
di e con Lucia Rea e Marta Salandi
Prossimamente al TEATRO STUDIO UNO per NON È UN TEATRO PER GIOVANI
BIGLIETTO RIDOTTO A 8 EURO per i LETTORI DI GUFETTO
19-22 maggio | Sala Teatro
Le Beatrici
di Stefano Benni
con Luisa Banfi, Clara Morlino, Giuditta Pascucci, Giulia Sucapane
Assistente alla regia: Alfonso Carfora
Voce fuori campo: Simone Bobini
Scene e costumi: Adelaide Stazi
Installazione pittorica: Beatrice Banfi
Grafica: Giulia Sucapane
Produzione Associazione Culturale Ingranaggi
Lo spettacolo "Le Beatrici" mette in scena cinque monologhi di donne scritti da Stefano Benni nell'omonimo testo teatrale. La messinscena propone un viaggio, scevro da ogni giudizio, nella mente di cinque personalità femminili che divengono così paradigma della vulnerabilità della psiche umana in tutte le sue sfaccettature. Linguaggio e gesti della loro quotidianità diventeranno strumento per narrare, tra tragico e comico, sfumature dell'essere più che mai universali.
"Io non voglio far altro che vivere
Tra una corda e l’altra saltando
Dentro la cassa di una viola da gamba
Voglio ascoltare le voci di fuori
Ringhio di porco voce di dama
Tamburo indio amore che chiama
E voci spezzate di cento popoli
Che dalla mia terra non voglio scacciare
Io voglio vivere, non ho altro da fare"
Le Beatrici – Stefano Benni
19-22 maggio | Sala Specchi
Opzione Smart
di Carlo Galiero
con Piero Calcanti, Carlo Galiero, Chiarastella Sorrentino
scenografia e costumi Rosita Vallefuoco, musica Alessio Pignorio
assistente scenografie e costumi Vincenzo Fiorillo
Opzione Smart è il racconto paradossale di una compravendita. Protagonisti sono un cliente e un venditore, e il bene da acquisire è la donna dei sogni del consumatore, prefabbricata in modo corrispondente alle esigenze del fruitore. É una commedia che ironizza e denuncia la retorica del linguaggio pubblicitario, e che apre degli squarci inquietanti sulla società contemporanea. Se la nostra è una società dello spettacolo come sostenne Guy Debord il consumo non è consumo materiale, ma ideale. Il cittadino è un consumatore solitario di illusioni. Il mondo di Opzione Smart è un mondo in cui la donna si fa oggetto, non fisico, ma ideale al servizio dell’uomo alienato in solitudine, un individuo che è ridotto a terminale di informazione, e non pretende altro dalla vita se non un prodotto che sia conforme alle proprie esigenze. Un passivo nell’appiattirsi sulle esigenze che una fabbrica di illusioni promette di poter soddisfare.