Il Teatro di Rifredi, fresco di Premio Ubu, è casa per molti artisti e spettatori, nella sua capacità di accogliere sia l’anima popolare del teatro, sia il suo afflato internazionale e contemporaneo. A quale di queste due forze appartenga Antonella Questa non è facile dirlo: lontana dalle categorie è drammaturga in grado di parlare a tutti dell’umano vivere, attrice poliedrica che campeggia sulla scena, sinuosa nei movimenti, espressiva, divertente e commovente, arriva al cuore del pubblico con la semplicità di chi racconta la vita. Con Giancarlo Mordini direttore del Teatro di Rifredi, Antonella presenta il suo libro “Questa sono io” per la collana Teatro di Carta di Caracò Editore, che raccoglie i suoi testi Vecchia sarai tu! e Svergognata. La incontriamo dopo lo spettacolo nel suo camerino, informale, allegra, piena di energia, un vulcano di parole e idee.
Alice Capozza: Spesso parlano del tuo teatro come ‘teatro al femminile’. Questa etichetta di teatro di genere ti sta stretta?
Antonella Questa: È una diatriba vecchia come il mondo, al mio amico e collega Mario Perrotta non dicono che fa teatro ‘al maschile’. Nonostante le mie protagoniste siano spesso donne, le tematiche che affronto sono universalmente umane, della società; poi nei miei spettacoli ci sono anche personaggi maschili. In Vecchia sarai tu! la paura di invecchiare, il credere di non averne diritto, lo scorrere del tempo sul nostro corpo, non è un problema solo femminile, tocca gli uomini come le donne: i maschi oggi si tingono i capelli, vanno dall’estetista, vanno in palestra, vecchio non si può dire a nessuno. Anche Stasera Ovulo di Carlotta Clerici non è uno spettacolo solo sulla maternità; è di undici anni fa e ancora gira.
AC: Ti vanno strette un po’ tutte le definizioni: la tua drammaturgia, pur avendo le caratteristiche del monologo con una scena pressoché vuota, non è classificabile nel teatro di narrazione…
AQ: In effetti io racconto la storia ma attraverso le azioni dei personaggi che la vivono. La mia drammaturgia potrebbe essere messa in scena benissimo da più attori; poi io sono malata, li ho tutti ‘qua dentro’ e voglio fare tutto. Il teatro per me è gioco, play, immaginazione. La scelta della scena è dettata dalla mia predilezione per l’essenziale, come i bambini che giocano: “facciamo che…” e non c’è bisogno di niente. In Vecchia sarai tu! c’è solo una poltrona e uno scialle; per Infanzia Felice – l’ultima produzione in scena al Teatro di Rifredi nella scorsa stagione – ho voluto la lavagna e il trono rialzato della maestra, simboli della pedagogia nera che ci portiamo dietro fin dall’infanzia. A dire il vero anche per dare un po’ di soddisfazione allo scenografo Daniele Passeri!
AC: I temi che affronti toccano la vita di tutti, nei tuoi spettacoli ne evidenzi la drammaticità ma anche la comicità, quasi i due punti vanno a combaciare…
AQ: Nei miei spettacoli si ride, questo mi piace, ma nascono da riflessioni a volte crude sulla vita. I miei personaggi sono veri, autentici. Un sacchetto d’amore nasce dalla riflessione reale sulla dipendenza comportamentale da shopping compulsivo, una delle tante malattie dei nostri tempi, difficili da capire e da combattere. Il personaggio della cassiera che ripete ossessivamente le stesse parole e gesti, come anche la giovane Monica che lavora in gelateria, fanno ridere, ma evidenziano un rapporto con il lavoro alienante, non vedono chi hanno davanti e procedono per inerzia. È delirante, non ci pensiamo quando arriviamo alla cassa di supermercato o al banco del gelato, entriamo nello stesso automatismo. Messo in uno spettacolo, estremizzato – ma neanche poi tanto – è divertente, ma dietro c’è una tagliente realtà.
AC: Hai citato Monica che distribuisce gelati come fosse Chaplin alla catena di montaggio di Tempi Moderni. Oltre alla parola, in scena usi il corpo che è parte integrante della narrazione, con precisione e capacità di realizzare una vera e propria drammaturgia visiva del gesto. In che fase della produzione introduci questo aspetto?
AQ: Da subito. I miei spettacoli nascono fin dall’inizio con Magali, amica e coreografa, che cura la messa in scena, attraverso il disegno della meccanica fisica e dei movimenti nello spazio. Da quasi dieci anni lavoriamo insieme. Il corpo parla in modo più immediato della parola, che invece rischia di diventare didascalica. La partitura fisica nasce attraverso delle improvvisazioni sul tema che ho in mente, a volte anche prima della stesura del testo. In questo modo per esempio è nata la scena delle creme di Sabine, la francese di Vecchia, che per l’ossessione di conservare il proprio corpo in perfetta forma estetica, metodicamente provvede a spalmare tutte le mattine le creme adatte e fare gli esercizi fisici per tonificarsi: pettorali, glutei. Il pubblico si riconosce e ne coglie l’aspetto ridicolo, ride con me di se stesso, riconoscendo il proprio corpo.
AC: Come scegli i tuoi temi? Nascono da ciò che osservi intorno a te, da ciò che ti colpisce?
AQ: Colpire è la parola giusta. I miei spettacoli nascono dalle mie esperienze dirette, rielaborate, drammatizzate, rese nella parola e nell’allestimento scenico. I temi si intrecciano con me, quello che vivo e molto di quello che osservo. Io spio, origlio continuamente, l’umanità è una fonte inesauribile di ispirazione, mi appassiona, è il mio Netflix! Ad esempio quando scrissi Vecchia sarai tu! mia nonna era stata ricoverata da poco in un ospizio: ho vissuto la difficoltà, il dolore, la famiglia e il personale. Nessuno era preparato ad affrontare la situazione. Inoltre in quel periodo stavo per compiere quarant’anni e mi ha colpito la crisi di molti amici di fronte all’età che avanza, che invece è una fortuna: significa che siamo vivi. Addirittura un’amica pur di non essere fisicamente presente al proprio compleanno è partita, come se in questo modo potesse esorcizzare la paura dell’invecchiamento. L’età è un valore e questa cosa l’abbiamo persa: “ci vuole rispetto per parlare con le persone anziane” dice Armida. Lei, la protagonista abbandonata inerte in un luogo che la costringe a perdere la propria indipendenza, ho voluto che avesse un riscatto: non perde il cuore, l’amore, la capacità di vivere il proprio tempo con gioia. “Se il tempo non c’è bisogna cercarlo”. Oggi di fronte alla vecchiaia e alla malattia, rischiamo di non capire la differenza tra autonomia e indipendenza: si può essere perfettamente autonomi nelle proprie scelte – non mi piacciono gli gnocchi, voglio votare questo o quello, ecc. – ma allo stesso tempo si può essere completamente dipendenti dagli altri per spostarsi, muoversi, addirittura mangiare e provvedere ai propri bisogni.
AC: La tua produzione nasce da un lungo percorso di approfondimento del tema che scegli. Come lavori?
AQ: Affronto una lunga fase di studio di almeno un anno e mezzo per ogni produzione. Ci metto molto a scrivere. Per me è molto importante che quello che porto in scena sia qualitativamente a posto, non voglio prendere in giro gli spettatori, poi può piacere o no, ma non è questo l’importante. Vengo da una formazione scientifica, all’università ho studiato Farmacia e quello che mi piaceva erano il corpo umano, l’anatomia, la fisiologia. La mia curiosità nasce da voler capire come funzioniamo, ed estendendo il discorso, come funzionano l’umanità, la relazione, la coppia, la famiglia, noi stessi, il tempo che passa. Ricerco, leggo, studio, elaboro. Per tutti i miei spettacoli inoltre intervisto le persone, che ho scoperto hanno una gran voglia di raccontarsi. Tutto credo che nasca dal bisogno di essere ascoltati, visti, accettati. In realtà non sappiamo neanche ascoltare perché nessuno ce lo ha insegnato. Questa è una grande sofferenza della nostra società. Quando stavo facendo la promozione di Vecchia sarai tu! nove anni fa Instagram aveva appena aperto e si pubblicava di tutto, anche foto discinte, senza blocchi, uomini e donne, molto trash. Sono una persona curiosa e per capire come funzionava ho conosciuto e intervistato una iscritta che pubblicava delle sue foto – adesso è una mia fan, una groupie. Per Svergognata mi sono ispirata a lei. Ma non erano tanto le foto ad incuriosirmi, quanto i commenti: “mmm, sposami, ti amo, buongiorno amore”. Palesemente era gente che non la conosceva. Ho cercato di conoscere questo fenomeno di amore virtuale, di evasione dalla realtà, che nasconde una grande ipocrisia.
AC: Hai citato Instagram, dove sei molto attiva. In tanti ti seguono. Il tuo rapporto coi social è intelligente e ironico: hai creato il personaggio della “BiutinfluenZer di bulbi piliferi” che ride di questo mondo dell’apparire e si prende in giro per prima. Come nasce?
AQ: Instagram mi diverte molto, Facebook ormai è una ‘roba da vecchi’. La #biutinfluenzer è nata un giorno che per gioco ho messo una storia sui miei capelli, che sono ribelli e non stanno mai come dovrebbero: ho deciso di ribaltare la situazione e vantarmi dei miei desiderabili bulbi piliferi. Un successo incredibile! I social sono un altro modo di raccontare e raccontarmi, mi piace la condivisione, esattamente come faccio a teatro. Sono una grande fonte di ispirazione: il mondo oggi passa attraverso questo nuovo schermo e si possono cogliere aspetti inattesi. Le persone poi mi scrivono, mi contattano, guardano le mie storie e mi ringraziano perché mettono allegria. Pubblico le tappe del mio lavoro con l’hashtag #attriciklife che mostrano tutto quello che sta dietro la produzione di uno spettacolo, la stesura di un testo, le residenze artistiche. C’è un grande bisogno di essere ascoltati e visti, Instagram, e poi ci sarà qualcos’altro, in questo è uno strumento potente.
AC: Come ti senti a tornare a Firenze e al Teatro di Rifredi?
AQ: Firenze è casa: sono venuta a diciotto anni da Torino per i provini alla Bottega Teatrale di Gassman, ma quell’anno si è ammalato; nel frattempo per vie traverse arrivai al Laboratorio Nove di Barbara Nativi, che è stata la mia formazione. Ho iniziato a lavorare subito sia con la scuola, sia con progetti esterni. Tante esperienze, tanti legami che sono poi rimasti negli anni. Insieme al Teatro di Rifredi da anni co-produco i miei spettacoli. Su questo palco ho fatto il saggio del secondo anno trent’anni fa. Sono legata a questo luogo e sono legata alle persone di qui che stimo, a cui voglio bene. Ogni volta mi sento accolta.
AC: Quali sono i nuovi progetti?
AQ: Stanno traducendo tutte le mie pièce per metterle in scena in Libano, cosa di cui sono molto orgogliosa e lusingata. Inoltre ho iniziato a lavorare alla prossima produzione, stavolta non da sola ma con Francesca Turrini, che ha lavorato con Carrozzeria Orfeo. Il tema sarà la famiglia, partendo dalla gestione di una azienda familiare. La famiglia, allargata, creata, immaginata, è il primo nucleo dove nascono le relazioni, è il punto di partenza e di arrivo per tutti, dove creiamo il nostro sistema di valori, di bugie e di ipocrisie, di amore e intimità.
di e con Antonella Questa
regia Francesco Brandi
coreografie Magali B. “Compagnie Madeleine&Alfred”
disegno luci Carolina Agostini
produzione La Q-Prod – Pupi e Fresedde Teatro di Rifredi
Teatro di Rifredi
14 dicembre 2019