SONO PARTITA DI SERA @ OFF/OFF THEATRE: quella partenza che sa di ritorno

L'OFF/OFF Theatre è incastonato come una perla nella storica via Giulia appena sotto il fragore di motori del veloce lungotevere. Ad ogni prima, il pubblico deborda fuori e invade di un elegante brusio la via che porta il nome del papa che la volle e costruì.

 

Il 4 marzo ha debuttato “Sono partita di sera”. La pièce è un omaggio dell'autrice Betta Cianchini a Gabriella Ferri. Non è una lettura (o reading) e per fortuna, ma uno spettacolo autentico dove la cantante, qua personaggio, ripercorre la sua intensa vita. L'interpretazione sincera di Valentina De Giovanni ci offre da subito, senza indugi, una cartolina in bianco e nero di piazza Testaccio con la sua fontana, le strade, il mercato e il mattatoio.

 

Lo spettacolo è un vivido affresco dell'artista. Della sua anima. E' una sequela di pensieri colorati. Le tinte sono forti e inversamente proporzionali alla forza dell'artista. Impaurita. Ma non si vede. Ostenta sicurezza (pur non avendone) già da piccola da dietro quel banco di lamette al mercato. «Ma più crescevo e più mi sentivo piccola». Quel mondo le sembrava troppo grande mentre intanto si nascondeva e insieme scorazzava per le vie del quartiere. A tutti rispondeva con un gran sorriso e spesso con una gran risata. E con una grande risata De Giovanni apre la commedia accompagnata da Gabriele Elliot Parrini alla chitarra.

 

L'odore del sole entra dalle fessure del Teatro, rimane in bocca all'attrice e rimbalza sino in platea quando racconta di quella pallina che cola giù e diventa arancione prima di spegnersi. Ma sino all'indomani. Un po' come l'umore di Gabriella: c'è la luce e il buio. L'alba e il tramonto raccontati senza pause nelle sue canzoni. Intense. E intenso e il rapporto con la sua Roma che non dimentica nelle strofe e onora con il romanesco più verace. La paura dell'artista è un'ombra che l'ha seguita per tutta l'esistenza tanto che si è creduto, quando morì, al suicidio. Ipotesi smentita dalla famiglia. La Cianchini descrive le gioie ma non tralascia le ombre e le paure di Gabriella: la regia di Camilla Piccioni e l'interpretazione danno forza al racconto tanto che non se ne avverte la gravità della condizione com'è nell'indole dei romani da sempre. Molto è risolto o alleggerito da uno stornello, una canzone e un un bicchiere di vino dei castelli. Non a caso in sinossi si dichiara che si tratta di una storia “lieve, lieve”. E intanto prosegue quel cammino per i vicoli a piedi stanchi a cercare le orme del padre e rincorrere quell'esistenza vissuta sempre a metà. Ma c'è urgenza tuttavia: urgenza di vivere. Anche il tempo non può starle dietro. E' stanco. Ma lei intanto passa e vive.

 

Valentina De Giovanni è incantevole. E' brava e forte. E' una sincronia buffa e mirabile di voce, espressioni, movimenti. Non risparmia nulla e si offre al pubblico genuina. Si muove leggera tra i teli dove hanno inciso i pensieri della Ferri. Usa ammiccare al pubblico ma rimanendo dentro la quarta parete, poi si nasconde dietro uno dei teli ma solo per svelare la sua immagine d'ombra e artista. Dunque il telo come un velatino inciso di parole. Interpreta Gabriella quando recita e anche quando canta. Ci dispiace solo che la regia ci abbia negato quel delizioso caschetto dorato che ha accompagnato l'artista: qui non si sarebbe trattato del comune stereotipo dal quale rifuggono tanti ma dell'evocazione doverosa di un personaggio reale oltre che vero…

 

Le luci sono ben dosate. Misurate.

 

Il costume della protagonista completa la commedia buffa e la vita sregolata di Gabriella.

 

Spettacolo da vedere in occasione di future repliche.

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