SIAMO TUTTI BUONI@Teatro Orologio: un intreccio di vite di borgata

In scena dal 1 al 13 marzo al Teatro dell'Orologio di Roma la commedia "SIAMO TUTTI BUONI", diretta da Andrea Bizzarri, della Compagnia RedArto.
In una non meglio specificata periferia romana, in un garage disordinato, usato come abitazione abusiva, si svolge l'intreccio di uno spettacolo che mira a rappresentare uno spaccato di vita moderna, e in particolare il degrado che stanno vivendo le nostre periferie, e non solo.

Elèna, immigrata rumena senza permesso di soggiorno (che nella realtà non serve in quanto la Romania è nell'UE dal 2007; che sia un errore voluto?), ha preso in affitto il garage del sig. Vincenzo, adibito ad abitazione abusiva. Quest'ultimo è un padrone molto dispotico, rozzo e criminale, poco rispettoso delle regole civili, xenofobo, devoto alla Madonna e decisamente non consapevole di cosa sia la legalità. La ragazza lavora presso una sarta, e intrattiene una relazione clandestina con Walter, il figlio del proprietario, uomo poco incline al lavoro, molto pigro e viziato, che finisce per farle perdere il lavoro per via di troppi ritardi.

Il cast è formato da attori molto convincenti: Antonio Conte, già volto noto e artista molto efficace, caratterizza il suo personaggio, il signor Vincenzo – il padrone di "casa" – con un tipico accento pugliese, personaggio che è costruito intorno all'immaginario collettivo di un piccolo boss della criminalità.
L’eccezionale Alida Sacoor, interpreta la giovane ragazza rumena, Elèna, alla quale dà un accento “simil-rumeno” molto divertente e davvero riuscito; Guido Goitre, simpatico attore romano sceglie la parlata romanesca tipica delle periferie di oggi. Fra gli altri interpreti, Matteo Montaperto, molto azzeccato nei panni di un ragazzo rumeno, Valerio Tella che interpreta l'aiutante napoletano del signor Vincenzo e Riccardo Giacomini, anche lui romano nei panni del figlio del proprietario/boss.

Sembra che l'autore, creando i personaggi di Walter ed Elèna, abbia voluto costruire una sorta di chiasmo semantico per capovolgere un pregiudizio: la rumena lavoratrice e l'italiano truffaldino e fannullone. La loro storia d'amore si intreccia con quella di lei e del suo vero fidanzato che, a un certo punto della rappresentazione, arriva dalla Romania. La trama ne risulta un po’ ingarbugliata e si conclude con la scoperta della verità da parte di tutti i personaggi. Un garbuglio che si riflette anche nella scenografia, la quale deve essere obbligatoriamente caotica: un garage usato da accampamento, nel quale le sedie sono costruite con i sedili di un'auto, il bagno è posto dietro un telone di plastica trasparente, un luogo nel quale si cucina su un fornelletto elettrico da campeggio (Elèna vi cucina i broccoletti che mangia a tarda mattinata, altro elemento stereotipato usato per la caratterizzazione del suo personaggio).
Ma quello che colpisce di più, e che forse risulta anche più riuscito, è quella sorta di pastiche linguistico. I personaggi sono caratterizzati dalle loro parlate regionali, dialettali o straniere. Gli attori recitano persino perfettamente in rumeno con dialoghi nella lingua straniera molto ben riusciti. Mai si usa l'italiano standard, senza accento. Questo riflette la multiforme realtà delle borgate che sono ormai un melting pot linguistico e culturale, ma che in realtà lo sono sempre state.

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