Dal 14 al 19 maggio è andato in scena all’Arena del Sole Settimo Cielo, diretto dalla regista Giorgina Pi della formazione Bluemotion dell’Angelo Mai (Premio Ubu Franco Quadri 2016). Una messa in scena brillante e irriverente tratta da Cloud Nine (1979) di Caryl Churchill, testo-capolavoro di innovazione drammaturgica e rivoluzione sociale femminista, di ancora forte attualità. Lo spettacolo nasce all’interno di “Non Normale, non rassicurante – Progetto Caryl Churchill”, a cura di Paola Bono e Angelo Mai, che ha per scopo far conoscere al grande pubblico il genio drammaturgico dell’autrice, ancora poco nota in Italia.
Prosegue, dopo Caffetteria blu, l’incontro tra la scrittura della drammaturga e femminista inglese Caryl Churchill e gli artisti di Bluemotion, formazione attiva dal 2008, all’interno degli spazi dell’Angelo Mai di Roma, nel campo della pluridisciplinarietà delle arti e dei diritti umani. Una scrittura, quella della Churchill, che pure fa del teatro un luogo in innovazione formale e profonda riflessione politica, esplorando alcune tra le tematiche sociali più controverse della contemporaneità: le conflittualità familiari e i rapporti dei suoi membri con le aspettative di genere, ritratti di ancora forte attualità sulle politiche di potere perpetrate dalla cultura patriarcale e dei tentativi di emancipazione da essa.
In Settimo Cielo, le dinamiche di potere e repressione sessuale si intrecciano con quelle della dominazione coloniale. Il I Atto, ci dice un’insegna rossastra che campeggia sulla scena, è ambientato in “Africa 1879”, scenicamente evocata da un mappamondo gigante con i luoghi della colonizzazione britannica. Protagonista un nucleo familiare immerso nel conflitto tra desideri e aspettative sociali, tra matrimoni senza amore, donne oppresse e incastrate nei ruoli di mogli e madri, uomini altrettanto intrappolati nella doppia retorica di dominazione del colonizzatore bianco e del pater familias, figli cresciuti all’insegna della negazione emotiva (la figlia Victoria è interpretata addirittura da una bambola), personaggi omosessuali costretti alla repressione della loro natura. Intrecci di passioni clandestine e sentimenti di colpa emergono sotto la facciata di famiglia perbene, in un intenso gioco di smascheramento delle contraddizioni della morale imposta, accentuato dal ricorso al cross-casting (uomini interpretati da donne, donne interpretate da uomini, neri interpretati da bianchi), che finisce per far interpretare le relazioni eterosessuali da attori dello stesso sesso e quelle omosessuali da attori di sesso opposto, in un ribaltamento di fatto della “norma”.
Dopo un breve intervallo, nel II Atto ci ritroviamo a compiere un salto in avanti di 100 anni: una nuova insegna dai toni violacei ci avverte che siamo a “Londra 1979”, anno di scrittura di Cloud Nine e nel pieno delle rivendicazioni femministe e omosessuali. Per la famiglia, però, sono passati solo 25 anni e ciascuno dei personaggi, stavolta interpretati da attori del genere corrispondente, cerca di ridefinire il proprio ruolo e la propria vita sullo sfondo della liberazione sessuale. Una ridefinizione che appare, però, problematica fin dal primo momento: le donne, emancipate, dopo millenni di costrizione patriarcale abitano con impaccio la loro nuova libertà; i personaggi omosessuali vivono la propria natura in conflitto tra la riproposizione di modelli familiari tradizionali e relazioni sessuali allargate. La cifra di questo atto sono il cambiamento e le contraddizioni di una libertà fortemente voluta e ora vissuta tra gioia e sensi di colpa, sottolineati dall’incursione in scena dei personaggi del primo atto, a rappresentanza dei fantasmi di un passato che ritorna.
Le conflittualità che attraversano la pièce sono sottolineate anche dalle scelte di regia. Nel I Atto, lo smascheramento dei cortocircuiti dell’oppressione morale e sessuale è affidato all’ironia di costumi di natura contraddittoria, come stretti corsetti che rimandano all’oppressione dei corpi e contemporaneamente all’intimo sexy; oppure, le lunghe gonne coprenti che si alzano a mostrare una bandiera inglese disegnata su culottes femminili spudoratamente ostentate, il tutto sulle note di Rule, Britannia!, riarrangiata dal Collettivo Angelo Mai, e che finisce per rimandare all’oppressione della norma che si esercita sull’intimità dei corpi. Nel II Atto, la conflittualità tra presente e passato accosta, alle atmosfere e musiche del punk anni Settanta, una grottesca gigantografia sputa-ghiaccioli di Margaret Thatcher, eletta proprio nel 1979 e rappresentante di istanze resistenti al cambiamento.
La volontà dell’opera è quella di creare nell’oggi lo stesso dialogo problematico tra passato e presente: di gettare un ulteriore ponte temporale tra i due ieri e una più generica contemporaneità. “Il rapporto tra sesso e potere”, scrive Giorgina Pi, “attraversa ancora i nostri giorni, e questo ci rende autori di quest’opera: del terzo atto, quello mai scritto”. La proiezione nel presente è realizzata anche attraverso lo sfondamento della quarta parete: gli attori rompono la distanza dal pubblico, muovendosi fuori dal palco a ridosso della platea; allo stesso modo, non ci sono quinte, ma ciascun attore ha una propria seduta ai lati del palco, dalla quale si alza per recitare la parte e poi ritornare a sedere, alternandosi così nei ruoli di attore e spettatore. Una scelta registica che sottolinea il ruolo dell’attore come essere umano tra umani, che prende la parola per svelare dinamiche che riguardano tutti. Ma anche una modalità che rimanda fortemente, come già l’uso del cross-casting, alle più moderne acquisizioni teoriche su costruzione sociale e performatività dei generi, e che pure riguardano tutti, che ne siamo consapevoli oppure no.
Settimo Cielo chiede allo spettatore di riflettere sul proprio genere e sul proprio essere nel presente, grazie al finale aperto che pone domande e non dà risposte: in che misura, nel 2019, le istanze repressive del passato continuano a influenzare le nostre vite? Quanto ne siamo consapevoli? In che modo la dominazione bianca, eteronormativa e patriarcale esercitano ancora oggi la loro oppressione sui corpi, e sui corpi delle donne in particolare? Un testo profondamente politico e quanto mai attuale, soprattutto in un’epoca in cui i diritti umani dati per acquisiti sembrano di nuovo, e a livello globale, terribilmente a rischio. Perché, come ebbe a dire Simone de Beauvoir, “Non dimenticate mai che basterà una crisi politica, economica o religiosa affinché i diritti delle donne siano messi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovete stare attente alla vostra vita”. E, così come alla vita delle donne, a quella di ogni minoranza.
Sullo spettacolo suggeriamo anche la lettura della recensione di Antonio Mazzuca sulle pagine di Gufetto.
INFO:
Settimo Cielo di Caryl Churchill
traduzione Riccardo Duranti
regia Giorgina Pi
con Marco Cavalcoli, Sylvia De Fanti, Tania Garribba, Aurora Peres, Xhulio Petushi, Alessandro Riceci, Marco Spiga
scene Giorgina Pi
costumi Gianluca Falaschi
luci Andrea Gallo
ambiente sonoro e dimensione musicale Collettivo Angelo Mai
tecnico del suono Lorenzo Danesin
nell’ambito di Non Normale, Non Rassicurante. Progetto Caryl Churchill a cura di Paola Bono
con Angelo Mai
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in collaborazione con Sardegna Teatro, Angelo Mai/Bluemotion
Teatro Arena del Sole – Sala Thierry Salmon
da martedì 14 a domenica 19 maggio 2019
da martedì a venerdì ore 20:30, sabato ore 20, domenica ore 16:30
Durata: 2 ore (con intervallo)