SETTANTA VOLTE SETTE @Teatro Cantiere Florida: la folle ragionevolezza del perdono

Riapre con il gruppo di artisti laziali Controcanto Collettivo la stagione teatrale al Teatro Cantiere Florida, e il loro toccante Settanta volte sette, frutto di una lunga residenza artistica e a lungo rinviato nel suo debutto a Firenze, a causa dell’emergenza sanitaria. Il Collettivo, animato da Federico Cianciaruso, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero e Clara Sancricca, insignito del Premio della Critica assegnato dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro e Vincitore di Teatri del Sacro 2019, propone un tema di scottante attualità: il perdono, dimensione quasi inaccessibile all’animo umano per la sua paradossale capacità di travalicare ogni contrapposizione istintiva tra bene e male, si rivela, nonostante tutto, l’unica via per la trasformazione del dolore che unisce, con democratica spietatezza, vittima e carnefice, aggrappati indissolubilmente allo stesso brandello di naufragio.

«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt  18,21-3): Settanta volte Sette è la risposta evangelica che rinvia alla dimensione di un tempo eterno, il tempo di una macerazione lunga ed estenuante, il tempo del lutto profondo e della guarigione dell’anima, a cui talvolta non basta una vita per sanarsi. Tema di portata universale e spaventosa che si incarna, in linea con lo spirito della rassegna Materia Prima 2020, in una storia di persone normali, una vicenda piccola ma attraversata da un dolore grande, alto e tragico. Due famiglie devastate da un gesto fatale e insensato, dalle conseguenze irreparabili: un ragazzo di borgata, in un momento di ebbrezza o di rabbia inconsulta ne uccide un altro, suo coetaneo. Lo spettacolo intreccia, in quadri alterni, il viaggio nel dolore attonito di entrambe le parti. Possiamo sbirciare nella casa del fratello della vittima, dove l’amore interrotto brutalmente si rovescia in odio, ossessione, desiderio di vendetta; nel carcere dove il giovane assassino prende atto della gravità del suo inconsapevole gesto, alla quale tenta di sfuggire per non sentirne il peso; nella casa della sorella di lui, dolcemente tenace nel restargli accanto, nel tentaivo di dare un senso a quanto accaduto.

La  recitazione è serrata, intensa, quasi cinematografica nel suo realismo quotidiano. I toni sono sommessi come se lo shock emotivo imbrigliasse parole ed emozioni e trattenesse un urlo liberatorio che no, è meglio non autorizzarsi, perché la perdita non diventi più reale di quanto già non sia. La scena si illumina e si adombra con lentezza, acuendo il senso di un tempo lunghissimo ed estenuante che ingoia i personaggi in un limbo senza uscita. Gli spazi sono definiti da strani mobili di legno, dissonanti al nostro sguardo per l’incongruo alternarsi di linee rette e curve, superfici stondate che, più che sedie e tavoli, evocano le assi di una barca smembrata: come se una tempesta avesse disperso e nuovamente intrecciato a caso il fato di estranei, uniti per sempre nel ricordo di un tragico punto di non ritorno.

Il filo per dipanare la matassa viene dalle due donne protagoniste, la sorella dell’assassino e la cognata della vittima, capaci, loro malgrado, di empatia verso l’altro. A piccoli e sofferti passi intrecciano un dialogo, si riconoscono ad un capo e all’altro dello stesso dolore e si fanno portavoce presso i loro uomini di una possibilità per trovare pace. Nessun consolatorio happy end sopraggiunge a smorzare l’enormità della proposta: solo un incontro, in carcere, tra il fratello e il ragazzo, la foto della vittima che passa di mano in mano, costringendo ad aprire i palmi l’uno verso l’altro, a guardarsi muti per intraprendere insieme la ricerca di un senso, lo sguardo sospeso e quasi insostenibile su cui si chiude l’ultima scena, costringendoci ad immaginare da soli il seguito.

Spettacolo profondamente rispettoso del dolore umano, ma anche coraggioso e fermo nell’indicare una via per il superamento del trauma, in una prospettiva completamente laica, a dispetto della citazione iniziale: l’uomo è costretto a trovare all’interno di sé le ragioni del perdono, piuttosto che nel confronto con una dimensione trascendente. Perdonare si può, sembrano suggerirci i giovani e capaci attori di Controcanto, ma al prezzo di una totale assunzione di responsabilità e della comprensione che vittima e carnefice si guardano dai frammenti opposti dello stesso specchio, accomunati, se non nel ruolo (interscambiabile?) che hanno scelto di interpretare, nella libertà di scelta dalla quale ripartire a tessere un significato. Insieme.

INFO
SETTANTA VOLTE SETTE
drammaturgia originale Controcanto Collettivo
ideazione e regia Clara Sancricca
con Federico Cianciaruso, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero, Clara Sancricca
organizzazione Gianni Parrella
una produzione Controcanto Collettivo
in coproduzione con Progetto Goldstein
con il sostegno di Verdecoprente Re.Te. 2017, ACS – Abruzzo Circuito Spettacolo, Murmuris, Straligut Teatro
foto Eugenio Spagnol
Spettacolo vincitore Teatri del Sacro 2019

Teatro Cantiere Florida, Firenze
giovedì 1° ottobre 2020

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