Diretto da Roberto Latini, SEI. E DUNQUE, PERCHÉ SI FA MERAVIGLIA DI NOI?, capolavoro selezionato da Murmuris per il secondo appuntamento con il Festival di Teatro Materia Prima presso il Teatro Cantiere Florida, vede impegnato in una grande prova d’attore PierGiuseppe Di Tanno, interprete solista dell’eccellente rivisitazione dell’opera pirandelliana “Sei personaggi in cerca d’autore”.
a cura di Serena Solpasso, in stage redazione Gufetto Firenze
Quando nel 1921 Pirandello portò in scena Sei personaggi in cerca d’autore il pubblico lo accolse con le grida “Manicomio! Manicomio!”. La pièce ha inaugurato la terza fase del teatro pirandelliano, ovvero del metateatro. Secondo le cronache del tempo, la messinscena causò lo sconquassamento degli spettatori, perché sorpresi da un nuovo modo di fare teatro. Pirandello, contro il dilagante teatro verista, mostrò il labile confine tra realtà e finzione, mandando in frantumi la quarta parete per mezzo di un espediente inconsueto all’epoca, sorprendente: gli interpreti dei personaggi salirono sul palcoscenico dalla platea, ad evidenziare il loro essere reali in opposizione all’artificio proprio degli attori, incapaci di immedesimarsi e di restituire vita ai primi.
Nel 2019, al Teatro Florida, la quarta parete è ben salda quando, all’entrata in sala degli spettatori, Di Tanno siede su di un parallelepipedo posto in verticale, simbolo del palcoscenico sul palcoscenico, dando le spalle al pubblico e muovendosi come fosse impegnato in una sorta di training. Latini compie una scelta semplicissima, ma tutt’altro che banale: la decisione di Pirandello di far entrare gli attori dalla platea si traduce nella presenza di un telo nero velato e mobile che – alto prima dell’inizio dello spettacolo – crolla quando vivono i personaggi, per poi risollevarsi quando si realizza la rappresentazione della finzione all’entrata in scena degli attori.
Il regista pare aver voluto fornire una chiave di lettura del linguaggio scenico per mezzo del performer. Nella prima parte, Di Tanno con una maschera interpreta tutti i personaggi che affollano il dramma davanti ad un telo bianco, forse metafora della pagina stampata. L’attore nel buio urla “scena” e si alzano le luci; tace per qualche secondo; si aziona il ventilatore alle sue spalle che muove il telo bianco – rimandando all’atto del voltare pagina. Proprio la pagina rende reali i personaggi, molto più di quanto non siano gli attori stessi, come spiega Pirandello: “un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre qualcuno. Mentre un uomo – non dico lei adesso – un uomo così in genere, può non essere nessuno”.
L’espediente drammaturgico di Latini fa marcare all’attore verbalmente il passaggio dalla rappresentazione dei personaggi (realtà) alla messinscena degli attori della compagnia (finzione). “Attori” grida Di Tanno e la quarta parete si rialza; cala il buio in sala, interrotto da luci blu ritmate; sul telo appaiono parole “finzione vera e vergognosa”; inizia la seconda parte. Piacevole tensione e sgomento, sensazioni generate dalle musiche di Gianluca Misti e dalle luci di Max Mugnai, accentuate dalla corsa frenetica del performer. Cambia il costume, il parallelepipedo è ora steso in orizzontale. La finzione ha inizio e aumenta la frustrazione generata dall’impossibilità di rappresentare il dramma reale dei personaggi nell’ambito artificioso del teatro: “abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci, non ci intendiamo mai!”.
Di Tanno si spoglia della maschera, indossata unicamente quando si mostravano i personaggi. Una scelta filologicamente corretta? Questo è difficile da dire, ma sicuramente è un ulteriore elemento a favore della comprensione della rappresentazione. “Maschera dell’attore” e “personaggio rappresentato”, infatti, nell’antichità era indicata con il termine latino persona (dal greco prósôpon). È, dunque, questo un tentativo di sottolineare l’essere reale del personaggio in quanto tale?
Dal momento dell’entrata in scena degli attori lo spettacolo è più accattivante; sorprende e inquieta grazie all’attento impiego delle luci blu e poi rosse e ancor di più per il preciso lavoro sul corpo e sulla voce solista per mezzo di un microfono pendente dall’alto. La performance rimanda sempre più alla dimensione demoniaca. Il solo volto di Di Tanno fuoriesce dal telo nero, illuminato da una luce rossa: un diavolo angosciante e folle, tanto quanto affascinante. Muove verso un finale dedicato ad Amleto – del resto forse inevitabile perché l’opera di Shakespeare, altro grande autore del metateatro, ha in comune con quella pirandelliana una profonda riflessione sul rapporto tra realtà e menzogna, tra l’essere e il non essere.
Colpisce questa sorta di lezione sul teatro stesso, affine anche in questo all’opera pirandelliana. Se si rilegge il tutto sotto questa luce, non è un caso il rimando all’Amleto in lingua inglese, con la quale Di Tanno si rivolge al pubblico, gli va incontro chiedendo: “capite l’inglese?” e cioè “avete capito il senso di questa lezione?”
Di Tanno non impersonifica, piuttosto mostra i personaggi alla ricerca di un autore che scriva la loro storia. La recitazione è straniata, come si addice al testo pirandelliano, e non priva di prelievi dalla cultura cinematografica contemporanea: i gesti e le modalità espressive sembrano rifarsi alla cultura cinematografica popolare, allo “spumeggiante” Jim Carrey di The Mask e allo scheletro Jack di A Nightmare before Christmas. Di Tanno instaura con il pubblico una relazione ambivalente: attira e allontana, incuriosisce e confonde.
La reazione del pubblico a questo remake, gli espedienti scenici e le modalità di rappresentazione inducono a pensare che miglior riproposizione dell’opera pirandelliana non sarebbe stata possibile nel 2019. Latini e Di Tanno danno vita ad un’opera che conserva gli elementi chiave del teatro pirandelliano regalando al pubblico contemporaneo un assaggio di quella che poteva essere la sensazione e la reazione dei loro predecessori nel 1921, pregno d’angoscia e sconquassamento – che tuttavia ha lasciato un segno nella storia del teatro – che genera nello spettatore una confusione in merito a ciò a cui ha appena assistito: è un gioco? È realtà o finzione?
SEI. E DUNQUE, PERCHÉ SI FA MERAVIGLIA DI NOI?
da Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello
drammaturgia e regia Roberto Latini
musica e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
assistente alla regia Alessandro Porcu
consulenza tecnica Luca Baldini
collaborazione tecnica Daria Grispino
con PierGiuseppe Di Tanno
produzione Fortebraccio Teatro
con il sostegno di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il contributo di MiBAC, Regione Emilia-Romagna
Teatro Cantiere Florida
14 marzo 2019