Sebastiano Somma in UNO SGUARDO DAL PONTE, di Arthur Miller

Nel centenario della nascita del grande drammaturgo newyorkese Arthur Miller, va in scena fino al 13 dicembre al Teatro Parioli Peppino De Filippo la sua pièce UNO SGUARDO DAL PONTE, tradotta da Masolino D’Amico, per la regia di Enrico Maria Lamanna.

Tratto da un fatto di cronaca che nella sua primitiva tragicità aveva fortemente colpito l’autore, Uno sguardo dal ponte rappresenta il culmine della fase sociale del teatro di Arthur Miller, un’opera fortemente legata ai canoni del realismo e dell’espressionismo, un  dramma umano e familiare che mette in scena il conflitto insanabile tra pubblico e privato, generato tanto dal misero fallire del cosiddetto sogno americano, quanto da una traboccante e insana passione.

Siamo a Brooklyn, nell’ambiente familiare, culturalmente e sociologicamente determinato dalla migrazione, dello scaricatore Eddy Carbone: un italoamericano che negli Stati Uniti ha trovato il modo di sostentare se stesso, la moglie Beatrice e la nipote Catherine, ma non certo la realizzazione del sogno di felicità che, certamente irraggiungibile, aleggia tra i personaggi più come una cartaccia spinta dal vento che come il nobile e necessario diritto sancito dalla Costituzione americana. L’amore illegittimo di Eddy per Catherine, l’ossessione in cui si trasforma la sua volontà di proteggerne la purezza infantile, proprio mentre la bambina si trasforma in donna, l’arrivo clandestino di due parenti, Marco e Rodolfo, fanno precipitare gli eventi fino al suo esito funesto.

La messa in scena di Enrico Maria Lamanna, avvalendosi di tutti gli strumenti a disposizione – dal cast eccellente alle scenografie, dalle musiche agli audiovisivi, dai costumi alle coreografie – esprime il giusto e necessario equilibrio, appunto, tra la sfera sociale e intima, tra il contesto storico e socioeconomico in cui si muovono i personaggi e i sentimenti da cui essi sono travolti. In modo credibile e coerente (tanto con il testo quanto con l’idea che sottende lo svolgersi della rappresentazione), grazie all’accuratezza dei dettagli scenici, la regia ha il merito di restituire dell’opera tutta la sua espressività, e della sequenza di eventi la forza che ne scardina l’ordinarietà per deflagrare con la potenza di una tragedia greca.

La compiutezza estetica della rappresentazione deriva quindi, e in egual misura, sia dall’abilità degli attori che dalla funzionalità e bellezza dell’impianto figurativo e sonoro. I primi hanno il merito di interpretare i diversi personaggi senza sbavature, calandosi nella loro parte: soffermandoci solo sui ruoli principali, Sebastiano Somma è un Eddy Carbone imbolsito, sciatto nel vestire se non proprio sporco, amareggiato dalla vita, incapace di capire la legge che ostacola i progetti dei poveri diavoli come lui, ma in grado di provare amore, tenerezza, gelosia, fino a perdere la ragione; Sara Ricci incarna una moglie fedele e buona, ma abbastanza scaltra e forte da intuire e poi voler frenare i sentimenti del marito, di cui rappresenta anche l’alter ego in via di imborghesimento; Cecilia Guzzardi riesce invece, con abilità e leggerezza, a restituire l’immagine e i conflitti di una adolescente, Catherine, che dolorosamente si stacca dal nucleo familiare per vivere la propria vita senza sdegnare lo stile di vita del paese in cui è nata.

I movimenti e le voci dei personaggi si collocano entro uno spazio scenico complesso, ben strutturato e significativo in ogni sua parte, accompagnati o scanditi di volta in volta dalle belle musiche di Pino Donaggio e dal ticchettio di un orologio. Un quadrato centrale, rialzato rispetto al suolo del palcoscenico dove sta la voce narrante di Alfieri (Roberto Negri) e delimitato da balaustre in metallo – apparentemente un pontile nella scena iniziale, quando vari personaggi in abiti cittadini si muovono in una coreografia fortemente ritmica, quasi frenetica – diventa poi una sorta i ring (dove lottano fra loro i desideri contrastanti dei personaggi?) che solo grazie al gioco di luci e ombre che proietta una scacchiera sul “tappeto” si trasforma finalmente nell’appartamento del sobborgo newyorkese in cui è ambientata la vicenda. Sullo sfondo, l’immagine in bianco e nero della città non fa altro che sottolineare la distanza che separa i migranti dalla civiltà dei grattaceli, mentre la struttura in metallo alla quale è anteposta partecipa delle vicende dei protagonisti. Che sia la balaustra del ponte da cui si guardano le proprie illusioni, o la rampa di scale che accelera il dramma finale, attraverso di essa i vari personaggi si inseriscono nello skyline dando l’impressione di uno schermo cinematografico dall'effetto straniante.

L’originalità della lettura registica dell’opera si scorge proprio nell’uso degli audiovisivi: uno schermo collocato alla base del quadrato reca per la durata della rappresentazione l’immagine delle fasi della Luna. Dalla Luna nera alla Luna piena, da destra a sinistra, il crescere del corpo celeste sembra segnare di mistero e fatalità la successione degli eventi. La stessa funzione pare essere assolta dal ticchettio di lancette che interviene in alcuni momenti di snodo, ma non si può non pensare a un’altra opera di Arthur Miller: L’orologio americano, ovvero la Grande Depressione, la miseria delle masse, il grido “fino a quando sopporteremo tutto questo?”. Ancora una volta, dunque, pare si possa sottolineare la coerenza e la significatività dell'intera messinscena, che non tradisce e anzi esalta il lavoro di Miller.


Note di stampa

Gufetto quest'anno segue con particolare interesse opere che approfondiscono i temi della GUERRA e opere affini ai mondi della LETTERATURA e dell'ARTE. Al Teatro paioli va in scena un'opera del grande drammaturgo Arthur Miller, con "UNO SGUARDO DAL PONTE” scritto  nel 1955, considerato tra i più importanti testi della drammaturgia americana del Novecento. Lo spettacolo riprende la vera storia di una delle pagine più drammatiche del sogno americano vissuto da milioni di italiani, volati in America, nella splendida New York degli anni 50, alla ricerca di un futuro migliore.

Miller racconta la miseria degli immigrati italiani, la loro difficoltà di adattarsi al nuovo mondo, l´incapacità di comprendere un sistema di leggi che ritengono differente dall´ordine naturale delle cose e, soprattutto, la vacuità del sogno americano: questo porta ad una tragedia annunciata fin dall´inizio, perché quelle condizioni sommate a quei sentimenti, a quelle passioni, non possono portare che ad un unico risultato, un risultato tragico. Lo spettacolo messo in scena da Enrico Lamanna riprende il dramma interiore di Eddy Carbone (interpretato da Sebastiano Somma), della sua famiglia e del suo sogno americano: la vita com’era negli anni 50 per gli emigrati italiani a New York  con i loro sogni e le loro illusioni.

L'amore di Eddy verso la giovane nipote, in realtà è una voglia di proteggere la sua purezza, Eddy la ama e la mette al riparo come una ceramica preziosa da non scalfire. Un sogno da coccolare al di là del ponte, sotto un cielo di stelle misto ad un mare dove si naufraga in una voglia di tenerezza.

Sebastiano Somma, protagonista della commedia, ritorna in teatro interpretando il ruolo di Eddy Carbone. La sua carriera d’attore ormai consolidata, lo ha visto protagonista di fiction di successo per la televisione; è stato inoltre protagonista di numerose produzione teatrali, in ultimo nella stagione 2013/14 ha interpretato il professor Laurana, in “A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia.

Quest'anno, tra l’altro, si festeggia il centenario della nascita di Arthur Miller, sicuramente uno dei più amati drammaturghi americani.

Info:

DAL 26 NOVEMBRE AL 13 DICEMBRE 2015

I DUE DELLA CITTA’ DEL SOLE presentano UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller

Traduzione di Masolino D’Amico

Regia di Enrico Lamanna

Musiche Pino Donaggio

con: SEBASTIANO SOMMA (Eddie); SARA RICCI (beatrice); ROBERTO NEGRI (alfieri); MATTEO MAURIELLO (louis); CECILIA GUZZARDI (catherine); EDOARDO COE (rodolfo); ANDREA GALATA’ (marco); ANTONIO TALLURA (poliziotto)

Ingresso: platea 27 euro ; galleria  22  euro

Teatro Parioli Peppino De Filippo  Via Giosuè Borsi 20, 00197 – Roma

tel . 06 8073040

 

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