Si è spento ieri nella sua casa di Firenze, alle soglie degli 86 anni, Giuliano Scabia, il fanciullo divino del teatro, il daimon della leggerezza profonda.
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Giuliano Scabia, dalla poesia alla musica al Teatro
Nato a Padova nel 1935, aveva dapprima sciolto la sua creatività in poesia, con Padrone &servo (1964), per immergersi poi nella musica, creando per Luigi Nono i testi per Fabbrica illuminata.
Più tardi l’incontro trionfante col teatro, prima ‘vagante’, come chiamava i suoi testi canovaccio, ‘schemi vuoti’ da riempire improvvisando: più avanti, negli anni 70, un teatro dilatato, un laboratorio itinerante per la periferia, nella Torino di allora, ‘nello spazio degli scontri’, per parafrasare il titolo del volume di Bulzoni che ne rende ragione. E poi, gli animali: Marco Cavallo, icona della libertà, della rottura degli schemi e delle catene: e il Gorilla Quadrumano, nato nella fase del suo insegnamento al DAMS di Bologna e portato nei boschi dell’Appennino fino al festival di Nancy.
La narrazione di Giuliano Scabia che cavalca i generi
E poi la narrazione, e i grandi cicli, primo fra tutti quello di Nane Oca, che cavalca i generi, perché la scrittura poetica di Giuliano Scabia sapeva volare nella voce e incarnarsi in azione teatrale, e anche superare lingue e barriere, conoscere nuovi sensi e nuovo senso e nuove frontiere, senza arrestarsi davanti a nulla.
C’è chi ha visto in lui Orfeo, incantatore di animali e capace di lasciarsene incantare, e certo un testo come Teatro con bosco e animali è abissalmente anticipatore, nel dare spazio e lingua all’altro di specie, anzi nel lasciarsene attraversare per creare un nuovo linguaggio, un divino gramelot, un sublime balbettio che forse si innesta proprio nel momento aurorale in cui la comunicazione non si era ancora divisa in linguaggi, e la comprensione era totale e senza equivoci.
C’è chi ha intravisto in lui Dioniso e il suo infinito poetare, un mondo diviso in ritmo di ballo, un embodiment che unisce microcosmo e macrocosmo con risultati di gioia divina e divina, crudele intensità.
Giuliano Scabia e un balzo nell’altrove
Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo non può dimenticarne la luce gioiosa, la leggerezza sovrumana di infante divino che con un solo battito di ciglia riusciva a compiere, e a far compiere, quel balzo nell’altrove che cancella la nostra incarnazione umana. Se il Marsia di Dante ringrazia Apollo di averlo liberato ‘dalla vagina delle membra sue’, confine limitante, oggi, giorno successivo a quello nel quale Giuliano Scabia ha cambiato dimensione, ci accorgiamo nel profondo dell’apollinea incarnazione che ci ha fatto compagnia segretamente, luminosamente, a noi fortunati di essergli stati limitrofi: camminandoci vicino, lui, magico viandante che sapeva la strada.
Possiamo scrivere la storia di un cavallo, maestro? Gli chiesero gli allievi affascinati. Ci voglio anche una chiocciola, disse lui – creatore di vite e di mondi.
Giuliano Scabia, il ricordo, gli incontri, l’emozione
Chiara Guarducci: Scrivendo incontri poeti.
Sono passati 20 anni dal giorno in cui, grazie a Tiziano Fratus, lo conobbi, senza avere la minima idea di chi fosse. Tempo pochi minuti mi scese dentro la sua grazia struggente, l’impertinenza allegra, la cura sensitiva di quella sua anima di bosco odoroso, brulicante di creature, in continua semina poetica. Così presente. Il cavallo liberamatti e il cavallino che trottava tra gli alberi, il diavolo e il suo angelo, erano affacciati dietro lo sguardo vivissimo.
Fu un vero incontro. Stupore e incredulità, come davanti all’ apparizione imprevista di un cervo che si sofferma a guardarti. È stato il maestro, proprio perchè non si poneva come tale, il potere e la seduzione non lo riguardavano. Pronto ad ascoltare le mie vicende e a raccontarmi le sue. Ci siamo visti molte volte, sapeva tenere insieme autorevolezza e intimità, era un uomo colto e un bambino irrefrenabile. Quando come autrice mi vendevo per sentirmi più reale dissentiva e mi diceva ‘ricordati che tu hai scritto Lucifero, hai scritto la Carogna.’ Chi ha avuto la fortuna di farci amicizia o di lavorarci insieme sa di cosa parlo, ma lo sanno tutti, tutti coloro che conoscono la sua opera così generosa e rivoluzionaria, seduti intorno al fuoco della sua voce.
Sonia Coppoli: lavorare con lui è stato un sogno
E’ stata la realizzazione di un sogno lavorare nella compagnia di Giuliano per La commedia della fine del mondo. lo avevo incrociato per qualche giorno di prove all’Antella nella Commedia di matti assassini e da lì avevo desiderato di lavorare con lui. Appena mi ha vista nel primo giorno di prove mi ha guardato profondamente negli occhi e mi ha detto: vorrei essere questa donna. Tu farai il meteorite.
Il lavoro sul testo, la messa in scena, i costumi, le scene, tutto cresceva in modo semplice e profondo: sapeva trovare le capacità di un attore in pochi minuti. La capacità di ascolto era enorme e ci trasportava in un attimo nel suo mondo immaginifico, nel suo gioco teatrale che è il suo testamento e lasciapassare. Ci ha voluto lasciare con il dirci di non dimenticare che siamo solo animali vaganti in un mondo che non sia appartiene e che è nostro compito conservare.
Giuliano Scabia: i dinosauri ed il teatrino di marionette
Nell’ultima sua fatica “La commedia della fine del mondo” inserita nel romanzo” Il lato oscuro di Nane Oca” Scabia crea un teatrino di marionette nel quale come capocomico fa accomodare i suoi dinosauri, creature di un mondo immaginario, dell’infanzia, che, giocando, vanno a fondo su importanti tematiche politiche quali la cementificazione globale, la distruzione degli equilibri naturali, cosa sia e quali siano le conseguenze della tecnologia. E’ presentato un mondo dinosaurico, abitato da dinosauri con i colori sgargianti e le smorfie imbelli di un mondo di cartone.
Queste creature enormi e preoccupate per la loro imminente fine a opera di un meteorite, che non per cattiveria punta verso la terra, ma perché quella è la sua natura, non fanno paura, fanno sorridere, ridere, a volte di un riso amaro e attraverso di loro si percepisce la nostalgia per la madre nella ricerca di un ritorno alle origini.
Giuliano Scabia ed il pastiche linguistico
Le origini vengono evocate attraverso un pastiche linguistico ironico e musicale che sintetizza il diletto materno, lingue vicine e lontane, e musica in una lingua nuova, “dinosaurica”, che torna alle origini, alle fantasticherie del mondo infantile, incantato, ma non imbambolato. I dinosauri stessi fanno il tappeto musicale della commedia attraverso cori fatti da giochi di suono con le loro voci e i loro corpi: tutto nasce e muore all’interno della scena, non c’è niente che provenga dall’esterno.
La pièce è la metafora dell’essere umano e della sua grandezza impotente che attraverso un gioco apparentemente innocuo di bambini-dinosauri sovverte il mondo, in una scena che ricorda i teatrini infantili e delle marionette.
Per me Giuliano sarà sempre in groppa al suo Marco Cavallo alla ricerca delle Foreste Sorelle. Ormai il suo vero viaggio è cominciato. Giuliano, dove ti porterà il viaggio? Il tuo augurio è che, per il breve tempo che ci separerà, potremo anche noi inforcare la strada e metterci in cammino alla ricerca.
“Chi sono le foreste sorelle?
Dove sono? Forse sui monti?
Forse nelle persone?”
G. S.
Per approfondire ancora su Giuliano Scabia:
- la pagina Wikipedia
- Il documentario: La Venezia di Giuliano Scabia
- Da Raiplay: il Corpo secondo Giuliano Scabia