Sanghenapule@Piccolo Teatro Grassi Milano

San Gennaro è il protagonista di una pièce (in scena fino al 17 aprile 2016) che – grazie al testo di Saviano e Borrelli e alla regia di quest’ultimo – fonde passato e presente, realtà e favola, dolore e allegria, onestà e delinquenza, genio e sregolatezza cioè gli opposti di cui Napoli è sommatoria e che l’hanno resa un unicum inimitabile. Lo stesso San Gennaro nella fede del popolo è un Santo quasi privato: come Santo dovrebbe ascoltare ed esaudire tutti, invece sembra sia disponibile solo per i Napoletani e per gli emigranti. Anche il miracolo dello scioglimento del sangue abbina l’aspetto cristiano con la ritualità pagana del sacrificio-offerta benaugurale. E poi qual è il Santo cui si affidano ladri e mariuoli per essere protetti durante le loro ‘imprese’? San Gennaro ovviamente che tutto vede e perdona ai suoi figli prediletti.

La pièce è scandita da sei momenti (“atti di sangue” nella terminologia degli autori) che focalizzano altrettanti episodi cruciali della più che millenaria storia della città: per molti è un’occasione per conoscere eventi e figure di cui forse hanno sentito parlare, ma della cui portata non si sono mai resi conto. Un’ora e mezza circa di spettacolo lascia nella mente molte più nozioni (e voglia di approfondimenti) di un noioso studio scolastico.

Interessantissima la parte dedicata alla Repubblica Napoletana del 1799 e ai suoi protagonisti, figli di una stagione che aveva visto Napoli fulcro del pensiero liberale e fucina di rivoluzionarie idee di emancipazione in una visione non localistica, ma universale: gli intellettuali napoletani si rendono conto che per la loro città non serve lottare per migliorare governi sempre espressione di potenze straniere e quindi caratterizzati da spirito coloniale, ma creare nuove idee per governare in un modo diverso.
Il racconto di Saviano e Borrelli è imperniato su Domenico Cirillo, rivoluzionario giacobino, che evoca quelle gloriose e cruente giornate in cui la speranza/illusione di costruire un mondo migliore franò sotto i colpi di un esercito straniero e degli errori giacobini che – come avverrà poi nell’Ottocento per i moti carbonari – non seppero coinvolgere il popolo né sotto l’aspetto ideologico né fornendo concrete alternative al quieto sopravvivere.

Saviano ricorda le stragi compiute dai Sanfedisti nel rioccupare la città, comportamenti che per becera crudeltà somigliano a quelli di odierni estremismi religiosi.
Il parallelo tra storia e attualità è un amaro gioco che mostra come cambiano i costumi, ma le dinamiche di fanatismi e fondamentalismi restano simili.
Cirillo è un martire come nel 305 d.c. è stato Ianuario portato al patibolo durante la persecuzione di Diocleziano: oggi come allora chi si batte per idee diverse da quelle del Potere rischia grosso, anche la vita.

L’esecuzione di Ianuario dà vita al potente e travolgente incipit di Sanghenapule con un Mimmo Borrelli nei panni di un Boia barbaro che intonando una nenia processionale tutto falcia. L’immagine e i suoni fanno da cornice al linguaggio onomatopeico della cantilena (creato da Borelli basandosi su dialetti arcaici e reminiscenze etimologiche di derivazione latina e del primo italiano. Come stile ricorda la lingua inventata da Dario Fo per il Mistero Buffo) e fanno percepire quell’atmosfera cupa e crudele che convive in modo dicotomico (e nascosto) con l’allegria chiassosa che si respira nelle strade di Napoli.

È un Ianuario molto umano quello che si avvicina al patibolo e che si lamenta con il Dio per il quale sta per morire con i suoi compagni di fede: quell’umanità che ne fa da subito un Santo non ieratico, non felice di sublimare la sua fede nel martirio, ma un uomo-santo in mezzo ad altri uomini che salverà – secondo la leggenda – dalle ire del Vesuvio prima ancora di essere Santo.
Qui s’innesta la leggenda del Vesuvio, prima pagana e poi cristiana, per cui il vulcano è il risultato della caduta dall’Olimpo del dio Vulcano sostituito da Lucifero nel Cristianesimo. Vulcano dispensatore del bene (per la fertilità della terra) e del male e che è regolato e contenuto da San Gennaro: lo scioglimento del sangue diviene quindi oracolo (altro connubio tra fede cristiana e superstizione pagana).

Saviano e Borrelli alternano sapientemente leggenda e realtà raggiungendo momenti di profonda drammaticità come nei racconti dei bambini venduti per disperazione e povertà e del commovente e simbolico filo di lana che legava l’emigrante sulla nave ai familiari rimasti a terra, filo che con l’allontanarsi della nave si spezzava e spesso non si sarebbe mai riannodato.
Come non pensare ai barconi che attraversano, spesso affondando, il Mediterraneo e a un nostro passato di miseria e disperazione molto simile a quello degli attuali migranti?

Potentissimo il finale in cui la calda voce di Borrelli – coadiuvato come durante l’intero spettacolo dalle splendide musiche (terzo attore in scena) di Gianluca Catuogno e Antonio della Ragione – narra l’atmosfera (irripetibile al di fuori di Napoli) che precede il ‘miracolo’ dello scioglimento del sangue, atmosfera in cui si fondono Cristianesimo, paganesimo, superstizione, paura, speranza, fede, attesa…

I due autori-narratori riescono a integrare le loro profonde diversità (asciutto uomo di cronaca Saviano, barocco affabulatore Borrelli) in uno spettacolo – stupefacente per intensità e ricchezza di sensazioni e sentimenti – che riesce a far capire Napoli anche ai non napoletani.
Sanghenapule è un’altra splendida pagina prodotta dal Piccolo in cui il Teatro svolge la sua funzione primaria di far capire la vita e fare riflettere senza pregiudizi e ottusità su quanto succede intorno a noi.

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