#SALVOBUONFINE@Teatro Brancaccino: non sempre l'Amore ci salva


Al Brancaccino, un teatro che sta riscoprendo la sua vocazione di teatro di prosa all’ombra del vicino e più “luccicoso” Brancaccio, va in scena fino al 22 novembre “#SALVOBUONFINE” una produzione PlanetArts Collettivo Teatrale, un nuovo lavoro di Giancarlo Nicoletti, regista-autore di successo che abbiamo già apprezzato lo scorso anno al Teatro Trastevere, con lo spettacolo, dal sapore tutto “politico”, “Festa della Repubblica”.

“#SALVOBUONFINE” è uno spettacolo ben realizzato e interpretato che si appoggia su una drammaturgia interessante, quella di Nicoletti, già vincitore con questo testo di diversi premi, non ultimo il premio “Artigogolo 2014 – Drammaturghi in erba” e stavolta vicino a temi “sociali” e più spinosi, come, in questo caso, il colossale problema dell’accettazione di sé di un adolescente confuso, spaccone, finanche odioso, alle prese con la propria omosessualità malcelata. Un’omosessualità che non capisce, che non accetta, che rifiuta con ostentata rabbia e che gli porterà non pochi guai.
Ora, quando si parla di gay a teatro, al cinema o in tv, c’è sempre il rischio calcolato di cadere in facili cliché non solo e non tanto sui personaggi stereotipati che vengono inesorabilmente richiamati, ma anche per le tematiche di fondo, a lungo abusate e consumate. Non è il caso però di #SALVOBUONFINE, che va intelligentemente oltre il tema dell’accettazione (tema fra i più abusati di tutti), non sfrutta un lieto fine obbligato e ci parla, soprattutto, della difficoltà di Crescere, del rifiuto di accettare la propria realtà, concentrando molta attenzione sulla fuga, rabbiosa e contorta di un adolescente in lotta con se stesso e con le proprie bugie. Una metafora più generica di noi tutti, del nostro convincerci che le nostre (presunte) verità non sono in discussione, confermando l’assunto che guardarci dentro è spesso davvero difficile e comunicare agli altri quello che sentiamo è meno preferibile che restare ancorati alle nostre ostentazioni, e alle nostre più che ordinate falsità. Un sentimento che ritroviamo in Salvo così come in molti dei comprimari personaggi (la Madre, l’Amica del cuore) che accompagnano il ragazzo in questa sua istantanea di vita messa in scena, in questa esposizione amara di un cuore confuso che si dibatte sul palco, che scalcia contro chi gli fa del male, anche contro il proprio se stesso “diverso”.

Lo spettacolo, molto ben confezionato e meticolosamente realizzato in due diversi atti (molto differenti fra loro) mantiene quel bel tocco registico di Nicoletti che, come già nel suo precedente lavoro, si era concentrato su una narrazione scenica “multi prospettica”, facendo cioè coesistere sul palco due (o tre) scene diverse e indipendenti fra loro: gli attori, compresenti sul palco (con molta meno confusione rispetto a “Festa della Repubblica”), solitamente sono seduti o camminano intorno a due tavoli, posti parallelamente l’uno a all’altro e poi via via girati sul proprio asse nelle scene seguenti. Tale espediente suggerisce così allo spettatore non solo molteplici punti di vista sugli attori, ma anche sullo svolgersi degli eventi e, per estensione, sull’argomento trattato.
Una soluzione felice che nel primo atto è sfruttata pienamente, conferisce vivacità ad un testo comunque snellito rispetto alla versione drammaturgica e decisamente accattivante nella interpretazione dei protagonisti e nella evoluzione narrativa decisamente spumeggiante. Le battute sono secche e appuntite, dal lessico semplice e immediato, provocano il riso o suscitano la derisione per gli atteggiamenti del protagonista o del suo nuovo amante.

Toccante e romantico, il primo atto si chiude con una scena indimenticabile, di rottura delle pareti invisibili che separano le scene: Nicoletti permette a Salvo ed al suo nuovo amore di baciarsi sotto i tavoli appartenenti a tre diverse scene, mentre gli altri personaggi continuano a parlare come se essi non si fossero mai mossi. Una astrazione quasi cinematografica, una bellissima metafora della rottura degli schemi scenici, della realtà e, delle convenzioni, vissuta sotto i tavoli e non in piedi davanti al pubblico ed agli altri protagonisti, a sigillare l’amore nascosto agli occhi di tutti ed allo stesso tempo, sotto gli occhi di tutti.
Lo stesso tenore narrativo non può dirsi della seconda parte, dove, anche per ragione di copione, non risulta possibile sfruttare il gioco speculare dei tavoli, i tempi fra una scena e l’altra si allungano, a volte troppo, e le battute sono più lunghe, meno taglienti e decisamente più amare. Ma anche il testo, dal suo essere leggero e comico, passa quasi inaspettatamente ad un tenore riflessivo e più prezioso dal punto di vista lessicale e contenutistico.
L’affermazione "E io che pensavo bastasse l'amore" e “Alla fine ci si salva sempre” rendono bene l’amarezza, la difficoltà e la non scontatezza dei percorsi di crescita personali e delle direzioni in cui la Vita conduce i protagonisti o il modo con cui essi decidono di affrontare o fuggire dalle proprie Sfide.

Fra i punti forti dello spettacolo, a parte la drammaturgia, l’interpretazione degli attori piuttosto naturale e ironica: Riccardo Morgante dà vita ad un Salvo piuttosto sboccato e presuntuoso, la cui gestualità viene tagliata a misura su un essere dapprima inquieto, poi sempre più rabbioso. Buona la prova di Chiara Oliviero (anch’essa sfuggente rispetto allo stereotipo dell’amica segretamente innamorata del protagonista), convincente Valentina Perrella nel ruolo della Madre (decisamente migliore rispetto alla vamp di "Festa della Repubblica" sebbene interpreti un ruolo che la vedrebbe più adulta, e che invece sceglie di mutare in una Mamma moderna e sexy). Buona la sintonia fra un Luciano Guerra piuttosto sognante e un Alessandro Giova superlativo. A lui tocca la parte più difficile, quella sulla quale si gioca proprio il senso della piéce e quel suo pericoloso oscillare fra lo stereotipo e l’originalità.

Nel ruolo dell’amico gay dello Scrittore che si innamora, ricambiato, del giovane Salvo, Giova interpreta il grillo parlante saggio, l’amico gay che la sa lunga, che conosce le insidie degli amori omosessuali (cui pure aspira) e che cerca di mettere in guardia l’amico Scrittore sui rischi di un innamoramento tanto pericoloso quanto può essere quello con un ragazzo inesperto, confuso e alle prime armi.
Il personaggio viene reso da un Giova brillante che raccoglie le simpatie del pubblico per la schiettezza dei modi e per l’interpretazione solo all’apparenza frivola: l’attore trasforma questo personaggio nella spalla gay ironica, vagamente “fashion” e autocritica, incline alla vita gay mondana ma non per questo stereotipata nel ruolo dell’effemminato in cerca del riflettore. Il personaggio dell’amico sincero, della spalla su cui piangere, dell’amico con cui ridere fino a contorcersi sul pavimento senza scadere in improbabili sentimentalismi o boccaccesche battute sui soliti cliché sessuali.
Ed è proprio l’interpretazione di Giova che disegnando un personaggio indimenticabile, segna il passo di questa commedia dolce amara, dove il “buon fine” inteso come “finale”, forse non c’è, ma il “buon fine” inteso come “finalità” di guardare intelligentemente ai temi spinosi della nostra società è invece possibile e pienamente realizzato in scena, senza alcun rifugio nei soliti e scontati luoghi comuni.

Info

#salvobuonfine
Istantanee contemporanee

con Riccardo Morgante – Luciano Guerra – Valentina Perrella, Alessandro Giova – Chiara Oliviero
e la partecipazione amichevole di ANTONELLO ANGIOLILLO
DRAMMATURGIA & REGIA Giancarlo Nicoletti

Teatro Brancaccino
Via Mecenate, 2 – ROMA
dal 12 al 22 Novembre
dal Giovedì al Sabato h 20.00 / Domenica h 17.30

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