Quattro cubi dalla strana forma concava sono l’unico elemento sul palco di Santa Cultura in Vincoli per lo spettacolo di Lorenzo Bartoli, SALVO BUON FINE. I cubi si uniranno in un unica superficie ad un certo punto dello spettacolo, per ospitare uno strano viaggo.
Il mologo di Bartoli si rivolge direttamente al pubblico, che coinvolge, a volte direttamente, chiamando ad esempio in causa un possibile Padre e un plasubile Figlio, o semplicemente rivolgendosi a lui.
Il monologo è un ibrido, una via di mezzo tra lo one man show di un comico e un racconto, una storia ricomposta tra stralci, epistole colloqui e documenti, che va dal rapporto tra un padre e il figlio che lascia la casa per gli studi, fino alle conseguenze di in un assurdo muto trentennale stipulato dal genitore circuito e che proprio sul figlio ricadrà alla momento dalla sua dipartita.
Bartoli è un buon interprete e il testo ha diversi momenti molto brillanti, come il racconto iniziale, il commiato davanti al treno, raccontato con un fraseggio che fa il verso al testo biblico. Eppure qualcosa nello spettacolo non decolla. Non funziona a pieno la relazione con il pubblico, che molto spesso invece di trovarsi coinvolto si sente leggermente spaesato, a distanza. C'è una carenza di mordente in queste fasi, e i momenti in cui membri del pubblico sono direttamente chiamati in causa, sul palco, finiscono per essere completamente scollati dal resto della performance, che perde in ritmo e coerenza.
Il monologo si rincorre, si fa incalzante, ma a volte sembra di assistere più che altro ad un esercizio di stile, una deriva il cui scopo è solo il mero inseguimento di fraseggi uno dopo l’altro. Anche il senso, il bersaglio verso il quale lo spettacolo si dirige, a tratti lascia un poco perplessi. L’intenzione di accusa a tratti finisce filippica, alternando momenti in cui suona come un’attacco forse un po’ semplificato, a tratti in cui appare fin troppo specifico, quasi uno sfogo troppo privato e personale.
Le sfaccettature surreali del racconto poi, invece di enfatizzare le assurdità a cui lo spettacolo sembra voler puntare il dito, finisco per conferire al tutto un tocco meno solido e ficcante.
In definitiva si esce perplessi, come capita quando è chiaro come i singoli elementi che compongo la piece appiaono come interessanti (testo, performance, idee sceniche) mentre il risultato della loro amalgama invece non riesce a raggiungere l’efficacia voluta. Simbolico è il fatto che si sorride, si sorride spesso, ma alla fine non si ride mai, mentre è chiaro come ci siano diversi passaggi in cui la risata è li, appena poco fuori dalla portata.