SACHERTORTE@ Teatro Trastevere: La famiglia diventa metafora del divenire storico

Dal 3 all’8 Aprile la compagnia “Teatro l’Avvelenata” è andata in scena al Teatro Trastevere di Roma con lo spettacolo SACHERTORTE, scritto e diretto da Amelia Di Corso: un testo di contenuto ed ironia intelligenti posti al servizio di due attuali e vicine tematiche: gli irrisolti familiari e il rischio di attualizzazione degli eventi storici, con le responsabilità e le colpevolizzazioni che toccano nel vivo ognuno di noi.

Non è la storia a disvelarsi allo spettatore quanto quest’ultimo a entrarvi, sedendosi in sala. Abbiamo la chiara percezione di essere tornati indietro nel tempo, a un primo impatto negli anni ’50 del Novecento, come mostra eloquentemente l’arredamento di scena con la radio, la dispensa, il lume retrò. Una mamma è intenta a preparare un dolce, una nonna siede da un lato del salotto sulla sua vecchia poltrona e la nipotina gioca silenziosa ai suoi piedi. Le luci ancora accese illuminano una vera e propria fotografia in movimento mentre il pubblico prende posto distrattamente, già assorto nell’attenta osservazione dei particolari della sceneggiatura.

La prima battuta al primo cambio di luci e siamo istantaneamente immersi nelle relazioni di queste otto persone legate tra loro da un unico e massiccio nodo comune: il rapporto difficile e controverso con la nonna Ilse, che un tempo era operativa tra le forze naziste in diversi ruoli, non ultimo tra i quali quello di essere stata partecipe agli esperimenti sui gemelli ebrei. Attraverso un contesto quotidiano, come può essere quello di un compleanno in famiglia, emergono dunque confronti, litigi, accuse e momenti d’intimità drammatica che si snodano in un unico lungo atto in grado di esplorare e fotografare una complessa questione storica per cui le dinamiche familiari sono scelte come metafora.

La cornice scenografica e la scelta dei costumi sono accurate ed eleganti e non solo conducono lo spettatore a contatto con il tempo dello svolgimento della narrazione, ma lo tengono aggiornato sull’evidenza che, nel salotto arredato in perfetto stile dopoguerra, è molto forte la compenetrazione tra diverse epoche storiche e generazioni: il momento narrato si svolge oggi, eppure il fulcro delle tensioni e delle ferite proviene dal passato, storico e relazionale: quanto c’è di personale e umano e quanto di storicamente inesorabile?

Convincente e fluida l’interpretazione del gruppo, ne emerge una forte e visibile complicità che conferisce un ritmo incalzante alla storia, senza lasciare spazi per momenti di disattenzione. La recitazione di questa compagnia ha permesso una caratterizzazione approfondita del personaggio lontana da qualunque forma di stereotipizzazione, come ci mostra sul palco la coppia Tatjana Nardone/Alessio Esposito. Spicca tra voci più flebili la forte tenacia espressiva di Leonardo Conte, capace di far indignare ed emozionare, poi di prendere le distanze e di nuovo riavvicinarsi ai punti caldi dei problemi presentati.

Mariateresa Pascale perfettamente in linea con l’intento comunicativo del personaggio, espressione curata e pulita di distacco e fredda razionalità, lucidità calma, ma anche di una umanità a rischio di essere dimenticata. Convincente l’interpretazione di Alessandro De Feo, che si muove con spontaneità e brio nei panni della classica figura familiare di colui che parla e generalizza ma che, allo stesso tempo, con una risata riesce a smorzare la tensione generale con pensieri di senso comune.

Lasciano perplessi rispetto alla coerenza interna i cambi di luce che portano a un altro tempo e ad un altro filone del complesso narrativo: sembrano rimanere slegati e non aggiungono ulteriore significato al testo già ricco di contenuti, rimandi e soluzioni espressive simboliche anche mantenendosi nel qui ed ora della narrazione. Sembra difficile volere esplorare ulteriori sfumature d’una storia, già di per sè ricca di contenuti, nel tempo d’un solo atto, come se alcune immagini fossero lanciate agli occhi del pubblico per poi essere messe tra parentesi.

 

Efficaci invece i rintocchi dell’orologio che colgono lo spettatore di sorpresa: ricordano che non esiste possibilità di assentarsi dall’incessante avanzare e ripetersi del tempo.
Altrettanto lo sono le posizioni sceniche che polarizzano simbolicamente scontri di contenuto morale e confronti generazionali, alternando momenti di narrazione della storia dei personaggi.

L’assoluta potenza comunicativa è stretta forte tra le mani del testo; intensa e scioccante la metafora iniziale insita nel racconto della nonna: quella che in un primo momento viene scambiata facilmente con una lezione di cucina si rivela invece come accurata e cruda descrizione di pratiche naziste sui bambini. Il resto è ricco di rimandi, immagini, provocazioni e battute dall’ironia brillante (e a tratti noir): che colpe abbiamo rispetto agli accadimenti del nostro tempo? Quale linea esiste tra responsabilità ed obbligo, tra la propria individualità e personalità pubblica, tra quello che siamo e quello che facciamo? Qual è il punto di vista del “colpevole”?

In una società e in un tempo dove tutti possono dire tutto (esattamente come in famiglia ognuno si sente libero di esprimere il proprio parere anche senza cognizione di causa) e ognuno è libero di credere a qualsiasi argomentazione, possiamo trovare la linea di confine e dunque una zona di compromesso che possa rappresentare un’accettabile verità per i più? Oppure il punto d’arrivo è proprio questo: non esiste un punto di vista universalmente condivisibile ma solo le motivazioni più intime e profonde di ognuno.  Possono queste, infine, essere avanzate come fertile terreno di giustificazione per il disumano? La conclusione è l’assenza di linearità; ciascun invitato accetta la sua fetta di torta tollerando con essa la totale mancanza di risoluzione.

Si resta sicuramente ancor più storditi di domande che paghi di risposte, soddisfatti comunque di avere avuto l’opportunità di potersele porre e sicuramente desiderosi che questa narrazione si sviluppasse ancor più a lungo, per più tempo possibile.

 

S A C H E R T O R T E
testo e regia: Amelia Di Corso
dal 3 al 8 aprile 2018

con:
Mariateresa Pascale, Agnese Fois, Alessio Esposito, Leonardo Conte, Laura Pannia, Alessandro De Feo, Tatjana Nardone, Emma Ruggin

"Sachertorte" è stato selezionato tra i finalisti in tutta Italia del
premio "Scintille 2016", portando lo spettacolo – come corto – per
quattro date a Milano e Asti.

Il progetto è entrato a far parte del volume "Lazio Creativo" 2018
contenente i migliori progetti di giovani eccellenze under 35 della
Regione Lazio.

Il testo è inoltre finalista della VI ed. del premio "Teatro, Musica e Shoah".

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