In passaggio dal 17 al 20 novembre alla Fortezza Est, nella interessante Stagione dal nome Voli Pindarici, lo spettacolo STORIA DI UNO CHE MI SOMIGLIA una Produzione della stessa Fortezza Est con il collettivo Kontra Moenia, fondato nel 2020 da Arianna Di Stefano e Livio Remuzzi che ne firmano la regia.
In scena il solo Remuzzi in un misto di comicità e dramma, che racconta la rottura di un sentimento con un buon mix di abilità recitativa e stratagemmi stilistici, un flusso di coscienza joyciano che parte da considerazioni filosofiche su Voltaire e si sofferma sul nostro quotidiano con alcune considerazioni sulla fine delle relazioni e l’inizio della propria solitudine.
Storia di uno che mi somiglia: la trama
STORIA DI UNO CHE MI SOMIGLIA è una drammaturgia che si inerpica tra i sentieri dell’abbandono. Il protagonista è stato appena lasciato dalla sua donna. Senza spiegazioni. Senza scenate. Al giovane resta il vuoto dell’assenza e il peso dei perché senza risposta. Attraversando delle riflessioni critiche sul testo “Candido” di Voltaire, sui motivi che portano gli struzzi a nascondere la testa sotto la sabbia e sulla teoria del filosofo Leibniz del “migliore dei mondi possibili”, il giovane segue un flusso di coscienza articolato e psichedelico, cercando con grande tenacia non solo di riuscire a uscire dal dolore, ma di trovare una spiegazione alle domande che nascono a seguito della scelta altrui di interrompere una relazione.

Storia di uno che mi somiglia: rEMUZZI E dI STEFANO blindati nel dolore
Livio Remuzzi e Arianna di Stefano hanno creato uno spettacolo partendo da intime idee filosofiche, e dal percorso universale di chi subisce la decisione dell’altro nel porre fine ad una relazione.
Soffermandosi su una critica al cinismo e alla disillusione propria di Voltaire, la drammaturgia d’impronta joyceana divaga e affronta tematiche quotidiane, come: la frustrazione della precarietà lavorativa offerta ai giovani di oggi e la mancata promessa di felicità quando l’altro da sé decide di andarsene senza dare spiegazioni lasciandosi una scia di ricordi contro i quali scagliarsi o dentro i quali rifugiarsi.
Storia di uno che mi somiglia è il racconto del tentativo di esorcizzare l’accaduto, di voltare pagina e di riemergere dall’onda di domande che ci sovrasta quando restiamo improvvisamente soli.
Storia di uno che mi somiglia: lIVIO rEMUZZI, tecnica e sentimento
In questa pièce Livio Remuzzi mescola scientemente comicità e dramma in modo davvero equilibrato e realistico. Il suo personaggio non è un buffo individuo e neppure un’anima straziata di dolore. In realtà è l’espressione più vicina possibile a ciò che ci accade quando viviamo una rottura.
Utilizzando tre oggetti di scena (l’edizione Mondadori di Candido di Voltaire, una vecchia moka e una piantina in vaso) rievoca quel sopracitato esperimento joyceano, divagando sui vari aspetti che circondano i motivi della rottura alla deriva che ha preso il suo quotidiano.
In uno spazio praticamente vacante che va ad esaltare il senso di solitudine interiore del protagonista, parla agli oggetti di scena e al pubblico come se parlasse a sé stesso.
Non un’apertura al dialogo, ma più una ricerca per rispondere alle domande rimaste in sospeso come delitti irrisolti. Per meglio raccontare la sua storia, il giovane parla al pubblico estraniandosi e, da cui nasce il titolo, narra la “storia di uno che mi somiglia”. Usando l’escamotage del linguaggio registico usato sui set cinematografici, Remuzzi dà il via libera alla sperimentazione, prendendo poco sul serio il personaggio nell’intento di risarcirlo e salvarlo dall’essere una creatura abbattuta a ferita, ma prendendo seriamente la promessa fatta agli spettatori di assistere a qualcosa di intimo che prima o poi ognuno di noi si trova ad affrontare.

Lo stile recitativo di Livio Remuzzi
Nel dialogo (allucinato) con l’unico altro essere vivente in scena (la pianta in vaso) si trovano parallelismi di alto livello emotivo. Siamo tutti piante in vaso, desiderosi di cure, la cui sopravvivenza è determinata dall’amore e dalle cure che gli altri ci danno.
Livio Remuzzi ha ottimi stratagemmi stilistici e li usa in modo egregio. La corporatura esile, che trattiene un po’ di quell’acerba goffaggine adolescenziale, lo rendono avvicinabile, abbracciabile. La mimica, il cambio di voce, la dimestichezza con il palcoscenico, invece, dichiarano la maturità artistica che abilmente si mette al servizio per disegnare il suo personaggio in modo morbido e dotato di tridimensionalità.
Anche l’idea di chiedere a inizio spettacolo ad una delle spettatrici di alzarsi e di farsi vedere dal resto del pubblico è di grande impatto. Perché sarà l’immagine di quest’ultima che lo spettatore dovrà portare a memoria ogni volta che Livio parlerà di quella lei che se n’è andata senza dargli la possibilità di un confronto, senza un litigio, senza un perché, lasciandolo da solo a mortificarsi nei dubbi. Ed ecco dunque che per tutto lo spettacolo non avremo un’idea personale o astratta della donna, ma un’immagine concreta di un essere umano reale e pericolosamente vicino, seduta tra noi.
Storia di uno che mi somiglia: lo spettacolo scandaglia il quotidiano
Questo spettacolo si articola su due piani ben distinti. Nel primo, quello panoramico, si assiste al tentativo di ricostruire i motivi che hanno portato la donna di cui il protagonista era innamorato ad andarsene. Nel secondo, quello introspettivo, vengono scandagliate non solo le frustrazioni e le delusioni derivate, ma si cercano anche risposte a domande di livello meno fisico.
La disanima sulla pagina 229 dell’edizione Mondadori de “Candido” è un pregevole quanto simpatico spunto per riflettere sul tentativo di Voltaire di confutare le dottrine ottimiste presenti nelle opere di Leibniz. Anche la riflessione (moderna e fresca) sulla cartella SPAM presente nelle email denota come i due autori abbiano scandagliato il quotidiano alla ricerca di materiale per decorare la loro opera.
STORIA DI UNO CHE MI SOMIGLIA è uno spettacolo giovane e ben costruito, che attraverso la fine di un sentimento d’amore e l’inizio di una solitudine, inserisce una serie di considerazioni e di pensieri sull’oggi. Che, poi, non è mai tanto diverso da ieri, ma continua a sperare di essere migliore di domani.
STORIA DI UNO CHE MI SOMIGLIA – cast e info
Un progetto di Kontra Moenia
Regia e drammaturgia di Arianna Di Stefano e Livio Remuzzi
Con Livio Remuzzi
Comunicazione e foto di scena Margherita Masè
Illustrazione Martina Manna
Produzione Fortezza Est / Kontra Moenia
con il sostegno di Festival Montagne Racconta