NEL VUOTO @ Teatro Stanze segrete: vuoto digitale

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Al Teatro Stanze segrete è in scena fino all’8 maggio “Nel Vuoto” di Giuseppe Manfridi diretto e interpretato da Ennio Coltorti. Dramma della perdita della bellezza

Il concetto di misura delle stanze

La “misura” è un concetto difficilmente codificabile, perché Stanze segrete non ci sembra poi così piccolo già da fuori. A vedere bene la serata ha il sapore, quasi la fragranza dei grandi eventi. Il piccolo Teatro Stanze Segrete brilla nel vicolo, incendiandolo come una stella. Una supernova esplosa d’energia. Non c’è foyer: questo permette al pubblico di starsene in equilibrio sull’uscio. A metà tra Arte e vita. E godere del tepore gentile che avvolge le serate romane fitte di primavera e di storie irrisolte. Commedie e drammi da sciorinare nell’attesa di questa replica e che forse diventeranno altri lavori teatrali. Fatti, al momento, rappresentati nel Teatro della vita. Potrebbe accadere perché a discutere animosamente ci sono volti e voci noti dello spettacolo: Giorgio Tirabassi, Patrizia Bellucci, Riccardo Rossi, Ines Le Breton, Felice Della Corte, Giancarlo Mancini. Tutti assiepati nello scambio rituale di mani, sorrisi, parole e aspettando lo spettacolo “NEL VUOTO” scritto da Giuseppe Manfridi, interpretato e diretto da Ennio Coltorti.

Locandina dello spettacolo NEL VUOTO

Nel vuoto: ricerca dell’Alcova supremo

La scena è piacevolmente abbacinante: siamo pervasi dal candore bianco e sottile della montagna quasi vera. Lo spazio scenico è sorprendentemente gestito e amplificato. Esordisce, poco prima degli attori, quel refolo d’aria pungente scovabile solo a certe altitudini. È lì che si usa il termine Rifugio per ricoverare i corpi stanchi, per difenderli dall’ipotermia. La montagna promette e minaccia. Ma qui la ricerca del rifugio è motivata da una “Fame” diversa. È un bisogno diverso da quello più comunemente diffuso. Il vecchio turista si rintana in quello spazio immenso ed è lì che edifica la sua alcova suprema. L’altra fame poi è quella a valle. Quella volgare o involgarita da certe mode imperanti. Tracotanti. Rumorose. Il turista canuto (Ennio Coltorti) guarda l’orrido spettacolo con il suo binocolo di precisione. A distanza. Necessaria solitudine nella battaglia della sopravvivenza. Salire gli è necessario come bere il sorso d’acqua: linfa di vita che peraltro dimentica tanto da chiederla a una coppia di sposini. Sono due neofiti: attrezzati e ciechi. Sono i non vedenti della bellezza. Il dettaglio d’aver dimenticato l’acqua ci sembra dire: “Non ho sete, ma fame”. Quella Fame di bellezza.

Manfridi racconta la storia del detenuto-pesce

In quella altura estrema è recluso nelle carceri un detenuto che sconta la sanzione peggiore: non l’ergastolo: quello è persino sopportabile. È un uomo nato in mare, che ha vissuto in mare e che adesso è chiuso tra le mura di quella infinita montagna che sente e forse vede. Non si sa. Dopo tanta vita, lì rischia la morte dell’anima. Montagna infinita per tutti e minuta, angusta per lui. Non si sa se è un assassino. Manfridi ci dice solo che è condannato d’omicidio. Ma la storia è un’altra: si fa altre domande. Gli imputati, qui, sono coloro che rimangono fuori. Oltre le sbarre ferrose. L’idea che appartiene a tutti è il “famismo” per dirla alla Gino Raya. Fame di libertà. Fame di bellezza. Quell’oppressione assume il suono stridulo di un fischio, che l’unico detenuto di quelle carceri, fa sentire per la vallata. Quel suono e urlo di prigioniero rotola giù: nel gioco arcano dei venti, assomiglia nettamente a una torma fitta e volante di gabbiani. Sono strida acute di aiuto. In quell’eco c’è tutta la storia dell’uomo. Il pesce è stato strappato all’acqua ed è stato rilegato a una quota nuova, ostile. Straniera, dunque il detenuto-pesce, quando vuole o quando è sollecitato da echi di vita, da altri fischi: affida il suo grido libero e di libertà all’amico gabbiano o quello che sembra un gabbiano. È un anelito di vita.

La purezza della montagna. L’azzurro del cielo. L’aria pulita, non contaminata, è occasione ghiotta, imperdibile dell’autore per rivendicare la bellezza come valore primigenio. La naturalezza delle cose minacciata dalle orde di turisti da torpedone e scarpe griffate. La bolgia armata (come in guerra) da striduli fischietti legnosi si trattiene a valle e solletica il detenuto nel rito prosaico dell’evocazione della divinità zoologica. L’appuntamento pagano è ormai fonte di enormi guadagni per la collettività.

“Nel vuoto” denuncia il consumismo senza etica che viola la purezza

La pièce denuncia quel consumismo privo di etica che contamina la purezza. Manfridi condanna la fabbrica di Fame, capace di crearla anche dove non c’era. Dove non c’erano bisogni, se ne creano nuovi per condannare tutti alla schiavitù dell’appetito inutile. Insipido. Sudditanza del futile. «Il nuovo dichiara il vero», dirà Manfridi per bocca di Coltorti. Quella modernizzazione aberrante che non è cieco rifiuto dei miglioramenti, ma l’innegabile rinuncia della bellezza. I turisti inesperti sono ingordi del “Tutto incluso” o “All inclusive” per chi ama gli stranierismi. I modi per sollecitare o irritare il povero detenuto sono rozzi, spiccioli, sbrigativi, da giardino zoologico. Tutto e subito, a un prezzo contenuto e fisso. Nessuna sorpresa: tutto scritto nell’offerta. Nessuno si spinge fino alla vetta. Sarebbe troppo impegnativo. E poi la bellezza va cercata ma soprattutto riconosciuta. I due freschi sposi sono gli unici che, seppure affannati, saliranno sino al belvedere montano e chiederanno la piantina. Ma è lì che sperimenteranno l’atroce fatto di non avere “campo”, assisteranno impotenti alla morte del cellulare che ormai è equiparata alla morte dell’esistenza… Pubblicità docet!

Ennio Coltorti si conferma attore di razza

Ennio Coltorti è raffinato attore di razza. Manfridi non poteva trovare interprete migliore. La pièce fu pensata per Roberto Herlitzka, che l’ha interpretata molti anni fa alla Sala Umberto ma nella prima versione da 35 minuti. Il testo ha vinto la decima edizione della rassegna “Attori in cerca d’autore”, ideata e voluta dallo stesso Ennio. Fabbrica di attori noti come lo stesso Tirabassi (in sala), Ghini, Castellitto e molti altri. Coltorti chiede all’autore di infoltire, arricchire il testo sino a procurare una pièce godibile e piena. Non più monologo.

“Nel vuoto” ha forti echi pirandelliani

Ho sentito nella recitazione e testo, forti echi pirandelliani. C’è quello scavo nella coscienza che fu caro al drammaturgo di Girgenti e torna nelle note di Manfridi. Non ci sono slavine, nessun aereo precipita, solo un accenno mansueto a un incidente avvenuto anni prima di un esperto scalatore. Nella pièce c’è il tumulto dell’anima, sommesso, che ogni tanto grida e cerca il luogo intimo per lo sfogo. Ho avvertito, nella voce morbida e gradevole di Ennio Coltorti, la passione intera e priva di condizioni per la vita del personaggio e dell’attore. In quella gentilezza c’è tutta la grinta che non sconfina mai nell’urlo assordante di certi attori maldestri. L’urlo, tuttavia senza picchi pungenti (pari all’azzurro del cielo) arriva una sola volta: quando accade quello che l’uomo, il personaggio di Ennio, desiderava da molti anni. Esperienza già vissuta ed eccezionalmente ripetuta. Ma che qui non sveleremo.

Interessanti l’attrice e l’ attor giovane Giacopello e Pannofino

Ci piacciono e concorrono alla buona riuscita anche Sara Giacopello e Andrea Pannofino (figlio d’arte di Emanuela Rossi e Francesco Pannofino), che mostrano buona predisposizione attoriale per quanto agli esordi.

Stanze Segrete: buco nobile come il Cilindro del Mago

Dunque, tornando all’apertura di questo articolo: la misura non è affatto codificabile, misurabile persino… Ci piace assistere al gioco di prestigio che fa diventare immenso un piccolo Teatro come Stanze Segrete. Voci e figure sono riverberate dal vecchio trucco degli specchi che rapisce. Non stanca. Ho visto occhi di donna, puntare lo specchio a rubare nuove prospettive dello spettacolo. Da quel nobile “Buco” vengono fuori giochi mirabili. Ma non è forse così che accade per il buco più famoso dello spettacolo, il cilindro del Mago? Auguriamo al Teatro Stanze segrete una longeva vita. Speriamo davvero che Ennio non debba chiuderlo. Ma perché questo avvenga, il Governo deve investire nella cultura per permettere ai Teatri Off di non morire e noi tutti dobbiamo frequentarli di più. La cultura ispira e istiga il pensiero e l’ascolto perché assomiglia a quelle strida di Gabbiano libero.

Spettacolo da vedere

visto il 28 aprile alle ore 21.00

Nel vuoto

STANZE SEGRETE

Dal 5 aprile  all’8 maggio 2022
Da mart. a sab. ore 21, dom. ore 19
Il 15,16 e 17 aprile lo spettacolo non verrà replicato. Sabato 30 aprile ore 17,30 e 21,00

Nel vuoto  di Giuseppe Manfridi                                

Con Ennio Coltorti, Andrea Pannofino / Nathan Macchioni, Sara Giacopello / Erica Intoppa,

regia Ennio Coltorti

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