Al Teatro Lo Spazio è andato in scena LE CINQUE ROSE DI JENNIFER, un noir in dialetto napoletano scritto negli anni ’80 da Annibale Ruccello ed eppure attualissimo perché incentrato sulla solitudine interiore che vivono i cross-dresser. Seppure alcune soluzioni registiche non ci abbiano convinto e alcune interpretazioni soffrano di eccessiva caricatura, il testo risulta ancora apprezzato dal pubblico ed il tema della violenza che permea la trama sembra raccontarci un presente di intolleranza, indifferenza e sopraffazione che non è per nulla diverso da quello di quarant’anni fa.
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Di cosa parla LE CINQUE ROSE DI JENNIFER

Siamo in un tempo precedente a quello moderno, dove la telefonia era fissa e le conversazioni avevano l’immobilità dell’attesa all’interno della dimensione domestica. Il luogo è un quartiere della periferia napoletana abitato da travestiti, le cui linee telefoniche sono guaste. Le telefonate degli amanti sono dirottate sui numeri sbagliati creando una gran confusione, senza contare che le signorine en travesti a causa di questo problema non possono comunicare tra loro.
Jennifer: il travestito disegnato da Ruccello
Il protagonista, Jennifer, attende la telefonata di Franco, ingegnere genovese di cui si è innamorato e che non vede e non sente da tre mesi. Durante questa reclusione domestica, altro collegamento con l’esterno è la radio, sintonizzata sempre sulle frequenze di Radio Cuore Libero. Tra una dedica d’amore, un messaggio al vetriolo e le canzoni di icone gay italiane come Mina e Patti Pravo, alla radio danno notizia che nel quartiere si aggira un pericoloso omicida che fredda i travestiti con un colpo di pistola.
Le attese sono lunghe e il numero delle aggressioni cresce. Alla porta del protagonista arriva Anna, rigido e oscuro travestito che crede che le sue telefonate arrivino a casa di Jennifer. I due parlano di se stessi come fossero due vere donne di mezza età, alle prese con la vita di tutti i giorni, ma il male è dietro l’angolo ed è pronto a colpire.
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER: Amato e Pasquini recitazioni distanti

La recitazione di Amato è salda nei tratti comici dove splende di più e dove si trova più a suo agio, ma la sua versione caricaturale del cross-dressing ha un po’ l’odore di naftalina, adagiata su cliché desueti che, se da un lato si adeguano all’epoca in cui il testo è stato scritto, dall’altro non ripuliscono lo strato di polvere che ricopre la sua Jennifer. È debole nella tenuta drammatica, troppo artificiosa e mal guidata.
Di tutt’altra pasta, invece, Pasquini, che rivitalizza il personaggio di Anna e la ricolloca in una dimensione più tetra e inquietante nella prima parte per poi dare prova di grandissime capacità drammatiche. La perfetta emissione vocale, la dizione teatrale scandita e precisa evidenziano l’emisfero altissimo nel quale riesce a muoversi questo noto attore del panorama romano. Si stacca dalla catatonica Anna presente nella drammaturgia e porta sulla scena un personaggio pasoliniano, dalle tinte gotiche, in perfetta sintonia con gli avvenimenti della narrazione.
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER: una regia ammaccata
La regia ha peccato in alcuni punti andando a sabotare la recitazione di Amato che ha sporcato tutta la messinscena, costretto com’era, dal doversi chinare a raccogliere i numerosi props per terra, stretto nei bellissimi costumi che hanno impedito una fluidità nell’abbassarsi e nell’alzarsi, facendo faticare l’attore a più riprese e rendendo grottesco ogni movimento.
D’altra parte, ammirevole la scelta di creare le geometrie domestiche con un perimetro di petali di rose rosse che però, da sole, non hanno salvaguardato il resto. Troppo lunghi i tempi musicali, accettabili solo quando accompagnano il cambio d’abito che avviene in scena. Non è riuscito ad accordare le diverse recitazioni dei due attori creando un dislivello sensoriale percepibile anche dal meno attento degli spettatori. Tempi morti e disarmonia, insomma, annacquando la splendida drammaturgia di Annibale Rucello.
LE CINQUE ROSE DI JENNEFER: Il dramma ha più di quarant’anni
Scritto nel 1980 sia in italiano che in dialetto napoletano, LE CINQUE ROSE DI JENNIFER è un testo ancora moderno, se non nella dimensione, nelle intenzioni e nella morale.
Il tema principale è sempre quello, allora come adesso: la solitudine. La solitudine interiore, quella domestica, quella sociale e quella emotiva. Nel mondo contemporaneo Jennifer sarebbe iperconnessa attraverso uno smartphone, ma l’estetica e la drammatica sarebbero quelle.
Cross Dressing e ghettizzazione: dalle CINQUE ROSE DI JENNIFER nulla è cambiato
Ancora oggi il cross-dressing è un mondo grigio, accolto all’interno della comunità LGBTQ+ e poco conosciuto al di fuori di questa. Creature emarginate e non contestualizzate in un annesso della reale espressione del sé; vite ritenute un passatempo, una parafilia o un modo di vivere weirdo.
Dopo più di quarant’anni Jennifer e le abitanti del suo quartiere vivono in un ghetto dai confini non definiti e sono ancora uccise dalla stessa mano assassina che permea tutta la drammaturgia, un feroce omicida che non ci è estraneo, ma che assalta le nostre esistenze ogni giorno.
Jennifer nel 2022 rischierebbe di prendere ancora la decisione che porterà la tragedia nel finale di questa opera teatrale che resta senza tempo perché nulla è davvero cambiato.
CINQUE ROSE DI JENNIFER: il testo di Rucello sopravvive all’autore e non trova soluzione
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER è un testo che dopo quattro decadi viene ancora portato in scena e raccoglie ancora pubblico. Il compianto Rucello ha lasciato in eredità una storia che non solo gli è sopravvissuta, ma che non trova soluzione di fine in un’Italia ancora troppo bigotta e patriarcale, dove Jennifer, Anna e le altre non trovano pace, rimanendo in attesa non solo di una chiamata d’amore, ma di una chiamata alla partecipazione all’accettazione da parte della società.
e
Dal 13 al 16 aprile
Teatro Lo Spazio-Roma
Compagnia teatro il quadro
presenta
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER
di Annibale Ruccello
con Leandro Amato e Fabio Pasquini
scene e costumi Carlo De Marino
voci della radio Gioia De Marchis Giannini e Enzo Avolio
foto Pino Le Pera
Luci Zothause
regia Agostino Marfella