LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA @ Teatro Trastevere: lo spettro torna in vita

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Il 22 marzo è andato in scena LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA l’ultimo lavoro di Giancarlo Moretti da Spettri di Henrik Ibsen.

Il Trastevere (diretto da Marco Zordan) è uno di quei Teatri che amo per forma, colori e odore d’arte che emana già dal piccolo foyer. Non c’è separazione logistica, dunque neppure concettuale, è tutto lì: botteghino e foyer convivono amabilmente.

LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA: Lo spettro di Ibsen torna vivo

Giancarlo Moretti è drammaturgo colto, raffinato e soprattutto coraggioso: rimaneggia spesso testi noti ma non li dissacra. Ne conserva il nucleo. La poetica. Lo ricordiamo in “Di tanto amore” da “Il Gabbiano” di Cechov. Dà, a queste opere, una nuova rilettura e realizza una interessante trasposizione temporale. Un salto nel futuro. Realizza l’operazione impossibile per Ibsen. Eredita il capolavoro del genio norvegese, realizza una sorta di opera postuma e la conduce dall’800 sino ai recenti anni ’60. XIX e XX secolo. Sono due periodi intensi che, come ci ricorda Moretti, sono entrambi di “transizione” morale nella società occidentale.

LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA: Moretti rimaneggia Spettri di Ibsen

Il delicato rimaneggiamento commuta la cifra registica applicata allo spettacolo che migra dal reale all’onirico, perché il protagonista occulto di Ibsen: il perfido Alving (morto da anni), qui torna vivo o apparentemente vivo. È spettro in carne e ossa. Moretti dà quindi diritto di replica agli altri personaggi, riunendoli diabolicamente attorno alla tavola del loro carnefice. Imbandita. È l’ultima cena laica dove i commensali mischiano odio, amore, violenza, pietà, innocenza, disperazione, coraggio. La ricetta è riccamente condita. È un’insalata acre e dolce dal sapore traumatico. Perturbante. È un inedito viaggio a ritroso per le parti di quell’angusto contratto familiare e poi c’è Manders (l’amico di famiglia, l’onorevole politico) che scombina anziché equilibrare. Rompe anziché cucire. Regine, la figlia illegittima che Helen (moglie di Alving) odia seppure ridotta a schiava e cameriera. Osvald, il figlio “legittimo”, approvato dalla morale comune, che torna dai suoi viaggi e si innamora della sorellastra a sua insaputa. Si saprà dopo che Regine è la figlia della vergogna. La pièce di Ibsen nella lettura di Moretti è un intreccio vorticoso di questioni irrisolte e altre irrisolvibili, almeno per quello statuto sociale.

Ibsen: lente di ingrandimento sul decadimento politico

LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA – la Compagnia

Lo scrittore norvegese ci ha abituato bene e nei suoi tanti lavori porta in scena la dimensione intima della società borghese ottocentesca e in questa ha incluso in primis la classe politica. Ricordiamo “Un nemico del popolo” che abbiamo recensito con un artificioso Popolizio. Anche qui non risparmia i politici corrotti. Dunque, non abbiamo in Italia il primato mondiale: la corruzione negli ambienti politici è pratica diffusa e che vanta antiche e non nobili origini persino nordiche! È l’accusa di sempre contro la morale. Le regole costituite. La folata di vento fresco che scoperchia il lercio degli accordi sociali sedimentati. L’impudicizia e l’abitudine all’ubbidienza cieca.

Non c’è contestazione: tranne qui, adesso, attorno a quella tavola di veleno e miele. L’infelicità è sconveniente e rischia l’estinzione e combatte la battaglia quotidiana per la vita contro la morale comune, che non vede e soppesa i desideri del singolo. L’Individuo è ridotto a mero numero. Parte infinitesima ma speciale di una serie umana. È lo scontro atavico tra verità e ipocrisia. La felicità esiste tuttavia. È valore irrinunciabile. Imprescindibile dall’esistenza di chi cerca aria per respirare. La felicità di Ibsen è come racchiusa in uno scrigno. È pietra preziosa che tutti aspettano. Regine, ad esempio, l’aspetta col candore della giovane e spera che un raggio di sole passi per quel minerale rozzo e splenda dentro e fuori sino a diradare la nebbia della tristezza. È una coltre fitta che resiste. C’è una scena d’amore che suona di poesia tra Regine e il fratellastro (entrambi inconsapevoli del legame forzato di sangue che Alving rivelerà senza pudicizia solo dopo).

Moretti ferma il sentimento in una scena che è un quadro. Un tableau vivant. Tutti immobili davanti la bellezza dell’amore sincero e incolpevole, seppure per un istante breve. Tutti sospesi nel bacio.

La Morte, specchio della vita per Ibsen

Moretti capisce, per merito di Ibsen, che parlare della morte equivale a parlare della vita. Ci sono riflessi macabri che si riverberano tra i corpi. È proprio la morte con tutto il suo miserevole carico di ineluttabilità che rivitalizza i viventi. Li costringe a un’urgenza di vita indifferibile. Tuttavia, permangono gli spettri: sono angosce sepolte che riecheggiano come lenzuola di fantasma, sono scheletri che non si accontentano di starsene nella bara di legno e vagano tra la vita e non vita. Moretti fa venire uno spettro dalla platea, inquieto e inquietante. All’inizio sembra Regine per la somiglianza, il corpo minuto e forse lo è: l’illegittima. L’illegale per etichetta, poi mi sembrerà lo spettro di tutti. Quello che ognuno conserva nei meandri reconditi della mente. Il segreto. È quel velo di morte che sguazza insieme alle nostre paure inconfessabili.

La notte finisce all’alba: il non rumore della campagna

La collocazione della storia è nella campagna. L’autore ci dice che è lì che le cose hanno un peso diverso. Persino la pioggia sembra avere una cadenza insolita. Cade sì, ma in un modo che non è lo stesso. Ed è come se la porta dell’inferno fosse rimasta aperta o meglio spalancata. Entra tutto in quella casa: l’uscio è il varco rapido e debole da dove tutto s’introduce senza dogana. Tutto lì e poi è quel buco immondo che tutto risucchia come in un vortice. Una caduta senza appigli.

La notte finisce all’alba: la regia pulita di Giancarlo Moretti

Giancarlo Moretti dirige la pièce “La notte finisce all’alba” col garbo e la pulizia del regista sapiente. Non ci sono sbavature. Viene rispettato l’autore nel suo pensiero e viene rispettato anche l’esperimento teatrale di far parlare i personaggi con il loro burattinaio occulto. Qui è spavaldo: seduto. Vivo tra i vivi. Moretti come in altri lavori, ci regala delle musiche che evocano precise ambientazioni. Le luci sono giuste. Tutto è contestualizzato.

La notte finisce all’alba: le interpretazioni

Il racconto, seppure rimaneggiato, scorre fluido sino al calare del sipario. Ogni attore con misura ripropone il carattere che distintamente Ibsen aveva pensato per ciascuno di loro e Moretti ne ottempera il pensiero. Non c’è violenza: solo l’esperimento.

Alessandro Calamunci Manitta, Giovanna Cappuccio, Ilaria Fantozzi, Vincenzo Longobardi, Mauro Toscanelli e Ornella Lorenzano sono gli attori della Compagnia che danno vita a personaggi e spettri. Tutti contribuiscono solidalmente a rendere godibile la scena, calati nei rispettivi personaggi e nei costumi di Paola Salomon.

Visto il 22 marzo 2022

In scena dal 22 al 27 marzo 2022

Associazione Culturale Teatro Trastevere 

presenta

LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA

libero adattamento e riscrittura da Spettri di H. Ibsen

Prima assoluta

drammaturgia e regia di Giancarlo Moretti

con:

Alessandro Calamunci Manitta, Giovanna Cappuccio, Ilaria Fantozzi, Vincenzo Longobardi, Mauro Toscanelli e con la partecipazione di Ornella Lorenzano

scene e costumi: Paola Salomon

foto di scena Luciano Risa

Produzione: Associazione culturale Extravagarte

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