INTERNO BERNHARD @ Teatro Argentina: manuale del perfetto misantropo

Il Teatro Argentina ci accoglie sempre placido e fermo nella sua magnificenza che in noi è tutt’altro: ci muove pensieri e una incondizionata dedizione alla bellezza. C’è più di un sipario. Persino tra il foyer e la platea, possiamo scostare una tela rossa e scoprire già lo spettacolo del Teatro: le sue poltrone (anch’esse rosse) il grande lampadario che sembra cadere dal tetto, le mascherine, le balconate, i riflettori che attendono di esplodere di luce e d’infuocare la scena. C’è attesa trepidante per la prima di Glauco Mauri e Roberto Sturno e il loro: Interno Bernhard. Il Riformatore e Minetti – Ritratto di un artista vecchio. Lo spettacolo ha debuttato il 17 gennaio e rimarrà in scena sino al 29 gennaio.  Le due opere occupano in ordine il primo e secondo tempo, e sono una camminata tortuosa alla ricerca della perfezione che produrrà solo uno spettacolare fallimento. Non c’è modo d’essere perfetti. Si può solo trovare un rifugio che qui prende la forma circoscritta della misantropia accecante. La forma geometrica è quella della stanza.  Le due opere hanno due personaggi diversi che abitano prepotentemente un luogo unico.

Interno Bernhard: flusso cerebrale di parole

C’è un flusso interminabile che corrompe il pensiero e l’attrae verso l’inesorabile condizione dell’essere umano. Quel suo formidabile “esistere” qui viene assunto come una pena ineluttabile. C’è ne “Il riformatore del mondo” per bocca di Sturno, una fastidiosissima unica nota che mi fa desiderare di lasciare la platea. Ma mi convinco che nell’idea registica di Baracco c’è quel medesimo suono mono tono. C’è l’inquietudine incolore dell’uomo. Di chi non vede grazia negli altri e li vuole annientare. Di chi si rifugia come topo di città nel suo sontuoso appartamento. Il Riformatore di Bernhard e Baracco, è colui che diviene misantropo per necessità. Ad assisterlo e sopportarlo c’è una donna dai movimenti ossuti e nervosi (la brava Stefania Micheli), che la sinossi equipara alla Clov di “Finale di partita”. Un personaggio beckettiano a suo agio negli spazi vuoti, stanze spoglie: simili a bunker. Il riformatore difatti ha rinnegato tutti e combatte la sua personale battaglia. C’è urgenza di dire ma non di comunicare. Quel fiume di parole acide come il veleno, rimbalzano contro le pareti di casa. Il riformatore deve ricevere una delegazione e la laurea “honoris causa” per aver scritto un famoso trattato su come salvare il mondo. Ma come accade oggi anche ai tempi del drammaturgo, nessuno legge con attenzione quello che si scrive. Allora il paradosso è che riceverà un premio per avere promosso come soluzione salvifica l’annientamento di quell’uomo stesso che lo premierà.

Roberto Sturno

Interno Bernhard: eremo intellettuale

Il riformatore si confina nel suo eremo intellettuale. Sbraita. Sembra non provare più amore per nessuno. Ma l’odio l’ha inaridito. Non prova più amore neanche per niente. Le cose. La natura.

«Ogni viaggio è un vero martirio, con tutta la fatica che mi sobbarco forse ci vorrebbe un posticino ben soleggiato, ma io odio il sole. Un posto all’ombra, ma odio anche l’ombra. E poi mi annoio terribilmente, al mare mi viene mal di stomaco, le grandi città non le sopporto, in campagna è tutto così monotono. Quando sono a Parigi non so cosa darei per essere a Londra, se sono a Londra vorrei essere in Sicilia”.

È una misantropia colta e amara: diviene, il Riformatore per bocca di Sturno, carnefice di sé stesso e della sua compagna di vita, di morte e di casa, che dice di amare. È un’esistenza rovinosa: vuole eliminare gli altri perché non lo hanno mai capito. Quella laurea diviene tristemente moderna come concetto simbolico: come quelle tante onorificenze date e ricevute senza alcun peso. Significato. Ci vengono in mente i tanti eventi. I complimenti leggeri sui social e le pacche distratte sulla spalla.

Una scena di Minetti

Interno Bernhard: Il Riformatore e Minetti, opere autobiografiche

Le due opere dell’autore austriaco di origini italiane sembrano essere autobiografiche. In esse c’è la malattia incurabile, c’è l’odio per tutto ciò che viene imposto. Bernhard odiava profondamente la scuola:

«Entrando a scuola tremavo, uscendo da scuola piangevo. Andavo a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre soltanto rinviata, e questa era per me una tortura. […] Le scuole sono soltanto fabbriche di imbecillità e di depravazione. […] È la scuola in sé, sosteneva mio nonno, che assassina il bambino.»

Inoltre, nelle due opere qui rappresentate c’è quella sua visione chiara, nitida della stoltezza della società che gli arrivava anche dalla malattia (per lui il malato era un veggente). La società che più gli stava vicina era quella austriaca e difatti fu, per tutta la vita additato come un Nestbeschmutzer (il cui significato italiano è simile a “esterofilo”, ma più dispregiativo, letteralmente sporca-nido, analogo all’espressione italiana “sputare nel proprio piatto”)

Interno Bernhard: esattezza ossessiva

La regia di Andrea Baracco è coadiuvata dalla estroversa scenografia di Marta Crisolini Malatesta, che qui cura anche i costumi. C’è nel testo, nelle intonazioni e ben stampato sui muri della scena una maniacale ricerca dell’esattezza. Tutti i personaggi sono coscienti che il tempo passa e la vita è ineluttabile. Il tempo ha caratteri cubitali che i riflettori enfatizzano. Le quinte sembrano un gigantesco orologio. C’è un momento, e non si sa quale, non lo sanno neanche i personaggi, che li ha fatti ritirare nella loro angusta misantropia. Adesso, in quel nuovo spazio, si dimenano (personaggi e attori) in lunghi soliloqui, tipici del teatro di  Thomas Bernhard.

Glauco Mauri

Interno Bernhard e quel Minetti con lo stesso nome

A Bernhard Minetti, grande attore tedesco del secolo scorso, scopritore del teatro tragicomico e crudele di Thomas Bernhard e interprete di molti dei suoi testi, l’autore ha dedicato la commedia con il suo nome e sottotitolata Ritratto di un artista da vecchio. L’applauso di sortita, Mauri (il decano degli attori) lo gestisce con la sua solita naturale grazia. Le battute sono poesia in bocca al grande attore.  È una melodia che premia l’attesa. Non me ne voglia Sturno, che come già detto: è rimasto intrappolato per tutto il tempo nella corda tesa del suo feroce personaggio che non tenta di elemosinare l’amore del pubblico o del lettore. Qui la scena si spinge verso l’alto, si apre nella hall di un lussuoso hotel senza luogo e tempo. È chiaramente un non luogo. Bernhard è sempre stato vicino al mondo del Teatro, pur scrivendo romanzi, poesie e racconti. Non l’ha solo scritto il Teatro, ma si è preoccupato della condizione bistrattata degli attori. Negli ultimi anni della sua instancabile vita artistica (nel 1984) scrisse “Il Teatrante”, opera interessantissima che parla di Teatro e in teatro si rappresenta. Anche Minetti, è un tributo all’attore. Minetti non sale su un palco da più di trent’anni e vuole mettere in scena per l’ultima volta il suo Lear. Quello del Bardo. È il desiderio del condannato a morte: l’essere umano. È una denuncia alla incapacità di ascolto del pubblico. Anche qui come nel Riformatore, c’è la ricerca della Perfezione. Perfezione agognata. Perfezione introvabile. Eppure, il vecchio l’ha cercata nei luoghi migliori e deputati a ospitarla: la bellezza, la musica, il teatro. Tutto è vano. C’è un brusio di voci che tutto affligge e seppellisce. La coltre sorda dell’indifferenza lascia il povero guitto, solo, con chissà quale espressione affranta dietro la sua maschera che indossa per l’ultima volta. Lì fermo al centro del suo sublime Teatro, mentre cadono le quinte e una neve fredda anestetizza ogni dolore. Tutto è denunciato. Non ci sono più trucchi. Persino il Teatro depone le armi e svela quello che c’è oltre. Dietro. La scena è così. Non ci sono orpelli. Tutto cade sull’applauso scrosciante della platea dell’Argentina.  

Glauco Mauri

Info

Glauco Mauri e Roberto Sturno

Interno Bernhard

IL RIFORMATORE DEL MONDO

MINETTI – Ritratto di un artista da vecchio

di Thomas Bernhard

con Glauco MauriRoberto Sturno

e con Stefania Micheli, Federico Brugnone, Zoe Zolferino, Giuliano Bruzzese

regia Andrea Baracco

scene e costumi Marta Crisolini Malatesta

musiche Giacomo Vezzani, Vanja Sturno

luci Umile Vainieri

Produzione Compagnia Mauri Sturno

orari: prima, martedì, giovedì e venerdì ore 20 | mercoledì e sabato ore 19 | domenica, giovedì 26 gennaio ore 17 | lunedì riposo
durata: 2 ore e 10 minuti compreso intervallo

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