Il Ghione è una delle chiese laiche del Teatro e proprio di fronte il Cupolone del cristianesimo. E mentre le cattedrali sono chiuse, qui si predica il buon Teatro. Luogo frequentato da Ileana Ghione, Giorgio Albertazzi e molti altri grandi attori e compagnie. Il 28 ha debuttato Elio Crifò con la partecipazione di Paolo Crepet con “GLI IMPERI DELLA MENTE”.
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Gli Imperi della mente: disamina infernale

Lo spettacolo esordisce da subito e senza preamboli. Non c’è neppure l’uso del preludio musicale. Di una parte dell’esecuzione. Il riflettore potente e alto su Elio Crifò squarcia il silenzio del buio e ci rivela l’attore intento a correre proprio come ho fatto io per raggiungere il Ghione con addosso ancora il peso degli impegni. Corre senza sosta, perde il fiato ed è specchio della nostra esistenza moderna. Furtiva di tempo. Vite frettolose acuite dal cellulare che non permette indugi, scuse credibili. E mi viene in mente chi, una volta, tornava la sera a casa e chiedeva se qualcuno l’avesse cercato. Il telefono grigio col disco e i fori poteva aspettare o essere usato, sempre che non fosse occupato da qualcuno, compresa un’altra famiglia. C’erano le linee economiche condivise con estranei ma dello stesso condominio. Le duplex.
«Chi si ferma è perduto» e intanto l’attore corre verso un senso e si chiede se tutto questo un senso ce l’ha. Poi tra battute e polemiche, conclude che il tempo è l’unica risorsa non moltiplicabile. Incrementabile.
Elio Crifò non fa sconti
L’attore mette in scena una denuncia velata dalle battute sagaci. In un mondo dove non c’è mai spazio, qui Crifò ospita tutti i condannati: i filosofi, la chiesa, la televisione della De Filippi e quel Grande Fratello (non quello di Orwell!). I filosofi filosofeggiano… Poi si rammarica del fatto che i liceali usano sempre meno parole. È un funerale di parole alle quali non dedichiamo il fiore dell’attenzione. I giovani (e aggiungo anche i non giovani) usano le “faccine”, è una passerella di pollicioni, gatti che ridono, facce gialle d’ogni salsa ed espressione. Mi viene in mente il terrore di Edward Munch, per dirne uno. E quella faccetta è più famosa del dipinto del norvegese, almeno tra i giovani. Sì, in effetti Crifò fa bene a preoccuparsi dei giovani: sono loro che hanno nelle tasche quasi tutto il futuro. La fetta migliore. E poi è ai giovanissimi che rivolge una parte del fitto monologo. È quando abbiamo pochi anni che la nostra mente è spugna fabbricata per assorbire il sapere o almeno quello che ci viene offerto. E invece adesso abbiamo ucciso migliaia di lemmi per comunicare con le immagini. Per Crifò è l’involuzione della specie. La parola è comunicazione perfetta. Completa. Le immagini appiattiscono. Tolgono colore.

Gli imperi della mente dichiara guerra ai forestierismi
Elio Crifò se la prende con gli inglesi che hanno invaso la nostra lingua. Ma credo che eccezionalmente qui la colpa non sia dell’invasore ma dell’invaso. Noi “poveri” italiani moderni pensiamo spesso che usare un anglismo ci faccia sembrare più “smart…”. Quello dei forestierismi è il vero problema, perché la tendenza è di usare anche termini della lingua francese che ci fanno sembrare più “charmat…” Dopo l’accusa, Elio Crifò ci regala un esilarante monologo in lingua con molti termini “purtroppo” ormai d’uso comune che abbiamo barattato con le nostre espressioni. Parole. Quando viene meno la cultura, si crede che un buon “drink” in un posto “fashion” ci faccia sembrare più “glamour”. Non so cosa ho scritto e cosa significhi, ma suona “International . J”.
Gli imperi della mente inveisce contro la chiesa
Elio Crifò si dissocia da tutto, compreso il suo monologo… E poi accusa la chiesa e tutte le sue contraddizioni neanche troppo celate. La ricerca di quel compromesso in vista del concilio svolto con grande apparato. Ci spiega cosa significa che gli ebrei sono il popolo eletto. Ci racconta perché nel tempo il prete ha cambiato posizione durante la liturgia: di spalle o davanti i fedeli.
Gli imperi della mente: l’analisi della degradazione antropologica
Ascoltando il divertente quanto accorato e serio monologo, ci convinciamo della involuzione dell’essere umano. La degradazione è in atto. E sembra irreversibile. Viviamo sotto la nuova dittatura del consumismo. Crifò impersona il personaggio del venditore bugiardo che riesce a venderci tutto. Non resistiamo ad avere cose, oggetti e molto altro purché futili. Futilissime.
Insomma, l’attore spara su tutti e mi sembra di vedere un esercito di felici e rassegnati che si accontentano del verosimile perché non conoscono, non sanno cos’è il Vero!
Gli imperi della mente si sdoppia con Paolo Crepet
C’è una seconda parte affidata all’intervento di Paolo Crepet. È una lectio magistralis del professore di Torino. Lo psichiatra, sociologo e molto altro qui ci sembra soprattutto l’antropologo che approfondisce il pensiero di Crifò. Lo allunga e ci mette del suo. Crepet inizia con un sogno. Una visione intima. «E se lo sguardo cadesse sulla città e se ogni luce fosse una persona?». Allora il professore inizia a frugare in quelle migliaia di vite luccicanti e mette in scena come un attore consumato, la sua distopia di un probabile 2030. Gli sembra congeniale il Teatro perché luogo deputato alla riflessione. Teatro luogo del pensiero dove intavolare il dubbio e la soluzione auspicabile. Parla di moda, ma non del Glamour… (per dirla alla Crifò) ma quella dell’incontro, che va perdendosi per colpa della modernità e degli strumenti che ci offre. Ma è dunque un’offerta che si può rifiutare o modulare.
Crepet e il valore della curiosità
Crepet dal suo palco e poltrona di vera pelle: sprona con voce sommessa alla curiosità. In essa mi sembra di trovare l’odore della vita. E nei lunghi viaggi in treno che il professore affronta per portarsi in altre città, assiste alle disquisizioni sul “grasso del prosciutto”. Lezioni erudite alleviate ogni tanto dall’imbuto della galleria che toglie la luce e le parole. Poi si esce da quel buco nero in corsa metallica e si parla di nuovo del niente. Nessuno è più curioso. Nessuno ha la sana e sincera abitudine di chiedere «Come stai?». Ma per davvero. Non come succedaneo al «Come va o che tempo fa?». Sono domande scomode. Sono domande che temono la risposta. E infine, dopo tanto, altre cose dette con l’enfasi dell’attore, quel ricordo: Franco Basaglia, meritevole anche d’aver fatto chiudere i manicomi. Quei luoghi “folli” che Crepet visitò e documentò con le foto di un grande fotografo della Magnum. Crepet ci dice che le cose vanno viste perché ognuno si faccia la sua ragione e (forse) in questo non c’è accordo con Crifò che crede più nella forza della parola.
Visto il 28 marzo 2022 ore 20:30
Gli imperi della mente
di e con Elio Crifò
con la partecipazione straordinaria del prof. PAOLO CREPET