Al Teatro Basilica di Roma il secondo atto della “Trilogia dell’odio” di Dino Lopardo, AFFòGO. Il poliedrico artista lucano firma per lo spettacolo, in scena fino al 21 dicembre, testo, regia e disegno luci. Una coproduzione con Gruppo della Creta e Collettivo Itaca, che vede in scena Mario Russo e Alfredo Tortorelli.
Il foyer del Teatro Basilica è gremito di addetti ai lavori e amici, pronti a confrontarsi con il regista e il cast, godendo dell’atmosfera quasi familiare di questo teatro. Come spesso succede in contesti come questo, avviene una precisa cerimonia di reciproche lusinghe. Perché forse la verità la si sfoga in separata sede, magari quando si è soli, chiusi a chiave in bagno, davanti allo specchio. Questa, d’altronde, è proprio l’ambientazione di AFFòGO.
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AFFòGO: la Vasca: Dino Lopardo disegna una solitudine insaponata dal buio

Un bagno portatile, composto da vasca, specchio e lavatrice, occupa metà scena, immersa in una desolazione nera. Questo singolare agglomerato è illuminato dalla luce radente di un piazzato, atto a scolpire il corpo del protagonista. Fuori dal piazzato, il buio. Il disegno luci presenta un’estetica michelangiolesca. Ma il Michelangelo che compare qui è quello dell’ultimo periodo, quando lo scultore si era ormai perso nei meandri della sua stessa tecnica. Infatti, specialmente nei cambi scena, i momenti di buio previsti sembrano funzionali agli spostamenti degli attori, ma rallentano le azioni e mancano spesso di senso drammaturgico, rischiando di spezzare scene che vorrebbero scorrere fluide, come l’acqua di una vasca.
AFFòGO, un monologo doloroso e irriverente
Giochi di luci e ombre sono presenti anche nel testo, che ha la forma di un monologo. Un singhiozzo doloroso e irriverente di episodi narrativi è il mezzo con cui lo spettatore comprende progressivamente il contesto familiare e sociale del protagonista, avvicinandosi al punto di rottura di una armonia già precaria, la morte del fratello. Chiusosi a chiave nel bagno della casa dei suoi zii, luogo di violenza domestica, Nicholas – interpretato da Mario Russo – rimugina tra i vapori della vasca da bagno. Il vapore, profumato di sapone, non lava la sozzura del vissuto. Questo flusso di coscienza in dialetto calabrese lo porta a ripensare alle tappe più dolorose della sua vita, deforma i ricordi, dando loro i contorni dell’odio.
La penna di Dino Lopardo mostra di maneggiare sapientemente la sintassi della violenza e la grammatica dell’odio, declinando ogni parola al servizio di una poetica cruda e feroce, capace di riprodurre fedelmente reali dinamiche di oppressione.

Lavatrice: i ricordi affòg(ano) nel didascalico
La parete di fondo di questo bagno d’ombra è uno schermo trasparente, attraverso il quale il protagonista rivive la dimensione distorta – e in perenne semibuio – del ricordo, rappresentato per lo più da una piscina comunale. Al di là di questa parete, i ricordi evocati dal testo drammaturgico sono didascalie in carne e ossa (quelle di Alfredo Tortorelli), seducenti ma a volte ingombranti. La potenza evocativa del testo è restituita brillantemente da Mario Russo, impeccabile nel ritmo e nell’interpretazione, ma è smorzata da alcuni espedienti di dubbia utilità, come le due grottesche maschere degli zii e dalla presenza del Tortorelli, tuttofare muto in cerca di un personaggio stabile.
AFFòGO: il teatro di immagine di Dino Lopardo
Dino Lopardo, artigiano del teatro d’immagine, sembra aver ancora bisogno di trovare un equilibrio in questa pièce, in cui l’ardore evocativo rischia di scadere in una sequenza di immagini accattivanti ma fin troppo funzionali, che vorrebbero riempire i bellissimi silenzi di un testo già forte della sua crudeltà sarcastica. Nei momenti in cui parole e silenzi, sagome e buio, si susseguono fluidamente, la messa in scena cattura lo spettatore e lo immerge ipnoticamente nella fluida massa di disprezzo costruita dal regista. Allora, lo spettatore ha la sensazione di affogare in un odio universale e sconfinato.
Specchio: il Teatro Basilica ospita la bipolarità della violenza in AFFòGO
AFFòGO porta lo spettatore nel bagno di una vecchia casa del sud, e in una piscina comunale corrotta, i luoghi di una violenza bipolare, in cui dentro e fuori casa si mescolano, creando una solitaria prigione dell’odio. Il tema del doppio è affrontato con un’eleganza sottile dalla regia, che si affida alla creazione di immagini dotate di una solida semantica. Nicholas parla alla sua paperella in una vasca dotata di graffiti, mentre nella piscina dei ricordi galleggia un cigno gonfiabile. La piscina entra nel bagno e l’intimità del bagno contamina lo spazio pubblico di disgustose lezioni di nuoto.
L’intera scenografia è bipartita secondo un contrasto simmetrico e straniante, così come gli attori, i quali, quando sono in scena nei panni dei fratelli, si rispecchiano come vittime speculari di una violenza in cui Nicholas affoga ancora da vivo. La violenza, nelle forme dell’abuso sessuale, del bullismo o del maltrattamento domestico, ha una lingua universale, che parla nella forma di una assuefazione all’odio. Ma il vero odio di Nicholas rimane verso sé stesso, per non avere il coraggio di uscire dal bagno dell’odio, dalla piscina del risentimento, affogando nell’acqua sporca della colpa.
AFFòGO: primo capitolo della trilogia dell’odio di Lopardo
AFFOGO è un monologo polifonico che fa parte di un progetto più ampio di lopardo dal titolo: “TRILOGIA DELL’ODIO”. ne fanno parte
- AFFOGO;
- RIGETTO;
- CESSO – la morte si conquista giocando.
Chi è Dino Lopardo
Dino Lopardo è un drammaturgo, sceneggiatore e attore formatosi all’Accademia d’Arte drammatica Silvio d’Amico e all’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Quirino. Laureato all’UNIBAS con una tesi sul radiodramma, nel 2017 scrive e porta in scena Trapanaterra, vincitore del bando cura 2017 e semifinalista al premio InBox 2020; successivamente lavora al secondo progetto, Attesa, premiato (premio miglior drammaturgia Indivenire 2018 di Roma e miglior regia, attore e attrice al Roma Fringe Festival 2018). Con il Collettivo ITACA scrive e dirige Ion (miglior spettacolo al festival INdivenire 2019 di Roma).
Gufetto ha recensito Lopardo in Trapanaterra a Roma e Firenze