RITRATTO DI DORA M. @ TeatroFilodrammatici: oltre Picasso, nonostante Picasso

Affrontare la biografia di un personaggio non è mai operazione agevole e lineare, tanto più a teatro quando è necessario fare i conti con molteplici aspetti complementari – scenografico, testuale, recitativo, sonoro – i cui meccanismo di integrazione e interazione garantiscono l’efficacia dello spettacolo.

Esempio calzante è il progetto a cura di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, che nel titolo evoca il dipinto – o per meglio dire la serie di dipinti – in cui Pablo Picasso, il più che noto pittore, rappresenta una delle sue compagne più conosciute: Dora Maar. In effetti le parole di Fabrizio Sinisi non si limitano al racconto lineare, ma tratteggiano, abbozzano e dipingono incontri e sensazioni, per restituire un affresco esistenziale che scandaglia il mistero di una donna fine, intelligente e carismatica, parte attiva della storia dell’arte novecentesca.

Dora Maar viene presentata come un’icona della Parigi artistica di primo Novecento, del tutto amalgamata nel contesto culturale: la sua vocazione è la fotografia, il suo luogo quella che Benjamin aveva intelligentemente battezzato come la capitale del XIX secolo e il suo milieu, l’eterogeneo gruppo di artisti che ambivano a rilevare della civiltà moderna la dimensione dell’irrazionale, dell’inconscio e dell’onirico.

Lo spettacolo sembra plasmarsi  come un'esperienza surrealista: le immagini e le figure del passato fluiscono sulla scena come generate dall’inconscio della protagonista (Ginestra Paladino) che si muove fra gli oggetti e i fantasmi di uno spazio che trascende la realtà. Una sur-realtà, appunto, un luogo fuori dal tempo: nell’interstizio tra veglia e sogno si susseguono l’uno dopo l’altro nitidi lacerti di vita, in un cimitero del tempo perduto dove ogni oggetto è permeato di memoria e offre una sollecitazione visiva che, attraverso una parola teatrale accurata ed evocativa, diviene occasione per scandagliare l’animo della protagonista.

Un baule, sedie, un mantello rosso e un tavolo da pranzo quasi distrutti sono i brandelli di un universo frantumato dal tempo e dalla sofferenza: la materia grezza con la quale plasmare un racconto a tratti razionale e a tratti delirante, sempre vitale e infervorato. La narrazione procede ad episodi sempre datati e ai quali è attribuito un titolo proiettato su un telo, sul quale si susseguono anche celebri dipinti – ad esempio Guernica, del quale Dora realizzò un accurato servizio fotografico – e immagini di repertorio atte a contestualizzare e offrire allo spettatore un concreto supporto visivo.

Ginestra Paladino, complice un testo di grande perizia verbale e notevole impatto emotivo, riesce a destreggiarsi fra le macerie emotive di un personaggio dalle molte sfaccettature, tanto affascinante quanto enigmatico e impenetrabile: toni enfatici, movimenti a tratti impetuosi e una presenza fisica dal fascino sottile e misterioso catalizzano l’attenzione dello spettatore, restituendo un affresco teatrale appassionato e dolente.

Ogni tappa dell’articolato, ma comunque scorrevole, percorso biografico-drammaturgico valorizza con forza l’esistenza quasi secolare di Dora Maar, restituendole uno spessore intellettuale e umano ingiustamente occultato dalla più altisonante fama di Pablo Picasso.
È giusto e filologicamente corretto raccontare Dora come la donna che piange, annichilita dal carattere dispotico dell’amante e disposta ad abnegare la propria volontà e i propri desideri in nome di una passione totalizzante, ma non solo. Urge raccontarne la vita nonostante Picasso, riconsegnandole il suo posto nel ‘900: questo, in definitiva, sembra voler dire lo spettacolo. Dora la raggiante musa dei surrealisti vocata per la fotografia, amante di Bataille e amica di Eluard e Buñuel, donna passionale e realizzata; Dora in camicia da notte in preda a una crisi psicotica che si aggira inquieta per l’androne di casa o si trova distesa sul letto di un ospedale psichiatrico; Dora la mistica dedita alla preghiera e alla meditazione: ritratti di donna eccentrici e mitici che l’interprete restituisce attraverso uno stile recitativo poco naturalistico, ma efficace.

Questo nuovo, intenso, malinconico Ritratto di Dora Maar è un polittico incastonato in un adeguato contenitore scenico e dotato di efficaci suggestioni visive e sonore, una sintesi degli snodi esistenziali di una vita non marginale, ma troppo a lungo rimasta ai margini, la rivincita della sensibilità di una donna fragile e brillante.          

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