In scena all’Arena del Sole dal 9 all'11 novembre, RITRATTO DI DONNA ARABA CHE GUARDA IL MARE è la narrazione allegorica, attraverso la storia di un amore ambiguo e tragico tra un uomo europeo e una donna nordafricana, di un incontro-scontro fra due alterità culturali e linguistiche e dell’impossibilità della comprensione profonda per lo straniero, omologato dall’incapacità di ascolto autentico dell’altro. Lo spettacolo, testo di Davide Carnevali, Premio Hystrio alla Drammaturgia 2018, per la regia di Claudio Autelli, è vincitore del 52° Premio Riccione per il Teatro, nonché dell’edizione 2017-2018 di NEXT – Laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo.
In un’imprecisata città del Nord Africa, un uomo europeo incontra una giovane donna al tramonto, fa il ritratto di lei mentre osserva il mare e gliene fa dono. La narrazione si svolge in 10 quadri scenici dal sapore hopperiano, che raccontano di altrettanti momenti di incontro-scontro tra l’uomo, la donna e la famiglia di lei, e tra le rispettive lingue e culture. Ma è soprattutto di uno scontro verbale che la pièce vuole raccontarci. Alla radice delle diversità tradizionali, politiche, ideologiche e linguistiche si rivela una soggiacente, straziante difficoltà, forse vera e propria impossibilità, della comprensione autentica dell’altro da sé, del diverso, poiché anche quando alterità reciprocamente straniere parlano la stessa lingua, in realtà non la parlano davvero: ognuna comprende il dato sonoro in base al suo orizzonte di senso, l’incontro con l’altro esita nello scontro e la ricerca di autenticità svela la propria tragica ambiguità.
Le molteplici contraddizioni del reale sono rese magistralmente attraverso l’interpretazione scenica, a partire dall’uso della parola. La declamazione è chiara, quasi cristallina, le voci degli attori hanno una concretezza talmente materica sullo spettatore che quasi lo toccano, sovrastano la musica e i suoni ambientali, persino il rombo a tratti assordante del mare. Eppure, l’attendibilità rassicurante della parola è destinata a cedere il passo all’incertezza. Sentiamo l’uomo e la donna parlare la stessa lingua eppure non si capiscono, riprendono l’uno le frasi dell’altra in uno stravolgimento che gradualmente sgretola il senso, finché è la trama stessa a perdere chiarezza. Cos’è accaduto davvero? Quali sono i fatti? Esiste una verità o, piuttosto, una molteplicità di interpretazioni possibili?
La solida presenza scenica e l’intensità gestuale degli attori contrastano abilmente con il senso di certezza effimera trasmesso dalla pièce, in un gioco di inseguimento, incontro e fuga continua tra significato e significante. Lo stesso dicasi per la luce, che crea continui contrasti e giochi di ombre assolvendo alle opposte funzioni del mostrare e a quella meno intuitiva del nascondere. Inoltre, raddoppiando i personaggi con la loro ombra proiettata sulle pareti, a mo’ di teatro delle ombre, essa crea una scena nella scena che sembra alludere alla doppia versione della storia dell’uomo e della donna, e rimarcare l’insuperabile ambiguità di fondo del reale.
La scenografia stessa è una magistrale realtà nella realtà: una telecamera, azionata dagli attori in una scena estremamente scarna, con poche sedute e un piano rotante centrale che ospita un modellino della stessa città in cui la vicenda è ambientata, riprende e proietta sullo sfondo diversi angoli e prospettive del modellino, la cui pavimentazione è lastricata delle parole dello stesso testo cui gli attori stanno via via danno corpo, e che nella proiezione digitale si deteriorano, sfumano, tanto quanto il senso del loro corrispettivo fonico fa sulla scena. A ricordarci ulteriormente che la nostra comprensione della realtà è in verità solo ciò che ci è dato vedere, sfaccettata quanto la molteplicità dei punti di vista, lo spettatore può vedere l’ambiente solo per il tramite della telecamera, strumento per eccellenza della manipolazione del reale, con la sua possibilità di inquadrare, ingrandire, nascondere e rimontare la realtà a piacimento della mano che la comanda.
RITRATTO DI DONNA ARABA CHE GUARDA IL MARE è più di un teatro politico che affronta in modo incisivo e originale temi scomodi quali il dialogo interculturale, l’accoglienza dello straniero e l’integrazione. Il dramma della donna nordafricana, che lo sguardo europeo appiattisce nella generica idea di “donna araba”, ideale e non reale, perché araba lei non lo è affatto, è in realtà il dramma di ogni essere umano, che brama l’incontro con l’altro e al tempo stesso rischia di riflettere sempre e tristemente solo se stesso. Il valore civile di questo testo è proprio nel saper svelare le criticità nascoste nell’incontro con l’altro da sé, chiunque esso sia, portare alla coscienza gli aspetti più sottili, problematici e inavvertibili di ogni rapporto umano e metterci drammaticamente di fronte alla poliedricità di noi stessi, degli altri e di ogni singolo incontro delle nostre vite.
Info:
Ritratto di donna araba che guarda il mare
di Davide Carnevali
regia Claudio Autelli
con Alice Conti, Michele Di Giacomo, Giacomo Ferraù, Giulia Viana e Noemi Bresciani
scene e costumi Maria Paola Di Francesco
suono Gianluca Agostini
luci Marco D'Andrea
assistente alla regia Marco Fragnelli
produzione LAB121
in coproduzione con Riccione Teatro
con il sostegno di Next/laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione
dello spettacolo dal vivo
in collaborazione con Teatro San Teodoro Cantù
testo vincitore del 52° Premio Riccione per il Teatro
durata 85 minuti
Teatro Arena del Sole
via Indipendenza, 44 – Bologna
Sala Thierry Salmon
dal 9 all’11 novembre
venerdì ore 20.30 | sabato ore 20 | domenica ore 16.30