Il Teatro Lo Spazio si conferma, ancora una volta, uno dei teatri del circuito “off” più attenti alla dimensione “civile” del teatro, quella dimensione che porta in scena spettacoli su vicende spesso scottanti, tratte da pagine oscure e dolorose della nostra Storia più recente. Ciò si conferma anche con RITA ATRIA, in scena fino al 15 gennaio 2017, che invitiamo a scoprire, per non dimenticare fatti ed eventi che hanno segnato nel bene e nel male la storia civile più recente del nostro Paese.
Un nuovo Frammento di storia collettiva che Gufetto raccoglie per sottolinearne la grande capacità di far riflettere e, allo stesso tempo, porre interrogativi sulle evoluzioni della nostra Società e su come certe vicende socio-economiche tendono a non esaurirsi ma anzi a ripetersi in un ciclo di omertà e violenza soggetto ad un eterno ritorno.
Dopo l’intenso VIVA FALCONE ed il doloroso DIMENTICANDO L’IMPERDONABILE sulla Shoah, fino al 15 gennaio al Teatro Lo Spazio va in scena RITA ATRIA, un’adolescente contro la Mafia che ci racconta la vicenda di una adolescente, Rita, originaria di Patranno nel profondo Belice in Sicilia, testimone di giustizia italiana contro la Mafia negli anni ’90, dopo aver perso padre e fratello uccisi in faide locali. Protetta dal giudice Borsellino, si sottrasse per anni dai boss malavitosi che contribuì a far arrestare. Si allontanò dal Paese natale e dalla madre che, quale “donna d’onore”, la ripudiò al momento della collaborazione coi magistrati. Rita Atria si tolse poi la vita, a seguito dell’attentato di Borsellino, convinta com’era che, senza di lui, la sua missione di testimone fosse di fatto conclusa.
Una vicenda amara che ha però portato alla creazione dell’associazione RITA ATRIA a Milazzo – Messina – nell’inverno del 1994 dall’iniziativa di due studentesse, Nadia Furnari e Santina Latella con l’obiettivo di promuovere la diffusione della cultura della legalità, e di una coscienza antimafiosa e antifascista.
Lo spettacolo presentato al Teatro Lo Spazio parte da un testo di Francesco Rallo che ha vissuto personalmente dalla parte sbagliata i fatti da lui stesso narrati (il testo è stato scritto solo 4 anni fa in carcere, come ci confida a fine spettacolo). Il tocco registico in questo adattamento è invece quello delicatamente storiografico di Caterina Venturini, che abbiamo già apprezzato nel riuscito MAR DE PLATA al Teatro Vascello (sulle madri e le nonne in Placa di Mayo con Isa Barzizza e Maurizio Palladino che qui ritroviamo nei panni di un convincente Borsellino).
In scena, quasi sempre contemporaneamente, sette interpreti: la madre di Rita, Rita stessa ed il fidanzato, la cognata (anch’essa testimone di giustizia), una donna del paese (la voce di quanti difendono la protezione offerta dalla Mafia) ed il giudice Borsellino, mentre la Venturini, nascosta in un angolo a destra del palco, aggiunge dei motivi cantati per sottolineare alcuni dei momenti più toccanti dello spettacolo. Dietro un pannello si nasconde Francesco Rallo che appare nei panni del Padrino per impartire ordini e muovere i fili invisibili che spesso la Mafia, non solo quella di un tempo, usava per tenere tutti sotto scacco.
La forza di questo spettacolo che ha un suo profondo significato educativo e andrebbe portato nelle scuole, sta fondamentalmente nel testo e nel suo adattamento: è infatti un testo feroce, crudele nella sua chiarezza espositiva, lineare e aderente alla realtà, che non rimaneggia nè giustifica le posizioni dei vari soggetti coinvolti, ma quasi nostalgicamente richiama alla mente un personaggio puro e serio, la coraggiosa Rita, un esempio difficile da seguire per chi vive nei luoghi dove regna l'omertà ed il codice d'onore. Una ragazza dalla serietà inusuale per la sua età, ed eppure così preziosa nel sacrificio, da avvicinarsi ad un'Antigone impuntata nella propria convinzione di giustizia.
Il testo, realistico anche nella dialettica e nella scelta dei vocaboli, sembra appartenere quasi ad un’altra epoca, solo apparentemente lontana: si accenna infatti del terremoto e della ricostruzione del Belice che stimolarono il proliferare della Mafia in quelle zone, movimenti che portarono all'opposizione di uomini che nulla centravano (come il padre di Rita) e alla sollecitazione di quanti, mafiosi, volevano il controllo del territorio a scapito degli Invasori, intesi non come i Francesi dell'acronimo M.A.F.I.A. (Morte alla Francia, Italia Alena) ma come lo Stato di cui si ribadisce l'inaffidabilità, eccezion fatta per la figura di Borsellino (vissuta "con rispetto").
Tutti elementi che ritroviamo, per niente incredibilmente, nei recenti fatti di cronaca che ancora raccontano delle ingerenze mafiose (un'altra Mafia, ovviamente) nei grandi appalti e nelle opere di ricostruzione post-sisma dei terremoti più recenti.
Lo spettacolo, al di là dell'elemento dramamtico, indaga i comportamenti dei personaggi coinvolti e le loro ragioni, si sofferma sulle le loro rigidità caratteriali, in particolare appuntate sul personaggio della Madre, un’energica Paola Pirri contrapposta al bonario istinto paterno di Borsellino (un Palladino serio, rispettoso del personaggio, ma anche teneramente umano).
I vari comprimari mantengono un tono recitativo medio, all’altezza del compito ma brillano per profondità nelle parti di impegno collettivo dove la regia li dirige in afflati corali piuttosto profondi e riusciti. La protagonista, Irene Pietracci, troppo rigida nei primi atti (nelle battute, nei movimenti), si scioglie poi nei gesti e nella voce, smontando la recitazione inizialmente troppo cadenzata, rendendosi più istintiva, più reattiva, colorando il personaggio di quella venatura più ribelle che invece, all’inizio, non era emersa del tutto (prevaleva la rigidità nei modi, quasi una serietà forse troppo pronunciata, nel tentativo, crediamo, di rispettare la serietà che la Atria manifestò in vita, nonostante la sua giovane età).
La Regia lascia pochi spazi di movimento agli interpreti, che si muovono attorno agli sgabelli da cui si alzano o intorno a cui si muovono, ma li divide intelligentemente in due parti: quelli dalla parte della Giustizia alla sinistra dello spettatore, quelli legati al potere "mafioso" sulla destra. L'interazione è però continua, i personaggi si contrappongono l'un l'altro (Rita contro la madre e il fidanzato, la Cognata contro la Donna del Paese etc) e non ci sono momenti morti.
La progressione storica degli eventi viene rispettata all'accendersi e spegnersi delle luci e non manca per ogni personaggio un monologo che lo caratterizzi e permetta al pubblico di capirne le posizioni, quelle rigidità autoimposte o convinte che spesso vengono tradite negli sguardi che non dovrebbero parlare, caratterialità che mostrano un conflitto interiore che il rispetto ed il codice d'onore impongono di non rivelare.
Un plauso dunque a questo spettacolo che racconta senza edulcorare i vinti (giusti) e non giustifica i vincitori (mafiosi), che ci parla di una donna coraggiosa di altri tempi, come sono "Mafiosi di altri tempi", quelli che si agitano dietro i panneli della Storia, di spalle, perchè oscuri e nascosti fino all'ultimo ma da tutti ben conosciuti, uomini "dai rami storti" come vengon definiti, che forse hanno cambiato forma ma sono ancora piantati nella Terra che tanto amano e allo stesso tempo tanto feriscono.
Info:
Visto il 12 gennaio 2016
RITA ATRIA UN' ADOLESCENTE CONTRO LA MAFIA
Luogo : Teatro Lo Spazio,Via Locri, 42/44
Città :Roma
RITA ATRIA UN' ADOLESCENTE CONTRO LA MAFIA
Scritto da Francesco Rallo
Rielaborazione drammaturgica e regia
di Caterina Venturini
In scena
Maurizio Palladino
Maurizia Grossi
Francesco Rallo
Gregorio Valenti
e gli attori della Horti Lamiani Teatro:
Paola Pirri
Valeria Trellini e Irene Pietracci