Scritta da Luigi Pirandello (Agrigento 1867 – Roma 1936) tra il 1929 e il 1930 dopo l’esperienza di capocomico presso il Teatro d’Arte di Roma e considerata la terza parte di una trilogia (dopo ‘Sei personaggi in cerca d’autore’, 1921 e ‘Ciascuno a suo modo’, 1924), Questa sera di recita a soggetto deriva il suo nucleo centrale dalla novella ‘Leonora, addio!’ scritta dal drammaturgo nel 1910 e compresa nelle ‘Novelle per un anno’.
Rappresentata in prima assoluta a Könisberg nel 1930 in tedesco (tradotta dall’italiano da Harry Hahn) con il titolo Heute Abend wird aus dem Stegreif gespielt e dopo circa tre mesi al Teatro di Torino in italiano, l’opera analizza l’autoritarismo del regista di teatro (figura all’epoca di Pirandello innovativa) mostrando di volere stigmatizzare gli eccessi delle regie tedesche – anche se si risolve in una notevole libertà del regista, degli attori e dello stesso adattamento drammaturgico – e la messa in scena soffermandosi sui rapporti tra regista e attori e tra questi e il pubblico.
Un regista, il dottor Hinkfuss (il cui significato è “Piede zoppo” che ricorda l’etimo greco di Edipo) vorrebbe dare una struttura razionale al testo – che tratta della rovina dei La Croce, famiglia siciliana e in particolare della figlia Mommina (innamorata del Trovatore di Verdi) oppressa dalla gelosia passionale del coniuge Ricco Verri che la tiene segregata in nome di presunte esperienze prematrimoniali imperdonabili e travisate dal morboso assillo… – ma secondo gli attori in questo modo si rischia di perdere l’intensità per cui costoro esigono libertà e spontaneità recitativa per mettere in luce il loro talento: da una parte divisione tra realtà e finzione, dall’altra sovrapposizione.
L’ottimo regista Federico Tiezzi, che approfondisce con grande professionalità i testi che mette in scena (molto bello il termine “auscultare” con cui definisce parte della sua analisi) trasforma il lavoro in un trattato scientifico-matematico-logico-filosofico per cui Hinkfuss diviene una sorta di regista-mago-demiurgo che apre ferite nel testo e nel teatro apprestandosi a scrivere, novello Galileo, un’opera sul significato di regia e teatro. Tutto, però, si frange e si decompone, anche il linguaggio, esattamente come succede durante la drammatica crisi economica del ’29 e come pensa Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889 – Cambridge 1951) – filosofo, ingegnere e logico tra i più significativi del XX secolo che nel Tractatus logico-philosophicus dà contributi essenziali alla logica e alla filosofia del linguaggio – il quale sostiene che “il mondo è tutto ciò che accade” e che “sopra ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere”, dichiarazioni che potrebbero essere proprie anche di Hinkfuss.
Testo affascinante, già ponderoso e ridondante per mano di Pirandello (che, invece, nelle Novelle per un anno racconta con melanconica e chiara icasticità un ampio, variegato e approfondito ventaglio di passioni umane) e reso più complesso dalla volontà di meglio decodificarlo evidenziando l’attualità di comportamenti e situazioni tra l’ordine e il disordine o caos voluto, a volte ‘coccolato’ e quasi delibato: non già che la vita non sia caotica di per sé, ma tra le funzioni del teatro – che è veramente un affascinante gioco – è bello trovarvi la capacità di rendere più accessibile e chiaro per tutti ciò che è complicato senza semplificare o ridurre.
Molto ben calato nella parte con tanto di lavagna e gessetto e di argomentazioni pertinenti Luigi Lo Cascio e validi tutti i quindici attori che si avvicendano sulla scena con maestria e coesione immersi in un caleidoscopico mare di luci che connotano abilmente i diversi ambienti e il lupo dell’homo homini lupus è sostituito da un rettile ben più aggressivo, ma mai quanto l’uomo.