Neri Marcorè porta nella storica sala del Teatro della Pergola il teatro canzone e il teatro civile con Quello che non ho, risultato di una corrispondenza di amorosi sensi tra la poesia della musica di Fabrizio De Andrè e la rabbia lucida e cinica degli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini; prodotto dal Teatro dell’Archivolto di Genova, prosegue la sua tournèe nei teatri italiani, salutato dagli applausi scroscianti del pubblico.
Ad ascoltare le parole e le canzoni intessute con arte da Marcorè e dai virtuosi musicisti che lo accompagnano, Giuà, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini, generazioni di donne e uomini orfani della intelligenza di due intellettuali come non ce ne sono più, capaci di voli del pensiero acuto e vero, consapevoli del proprio presente, in grado di vedere oltre: un poeta, De Andrè, e un profeta, Pasolini, santi laici del nostro Paese migliore.
Lo spettacolo ha una struttura estremamente semplice, capace di essere popolare e comprensibile, permette a tutti di seguire l’alternanza tra splendide canzoni, tra le più belle e significative della storia musicale del cantautorato italiano, estratti dai testi pasoliniani, che hanno la forza scioccante di disegnare la contemporaneità con decenni di anticipo, e fatti di cronaca e politica dei nostri giorni. Un filo potente di significati lega ogni passaggio, e non c’è bisogno di nessuna altra invenzione registica per trattenere l’attenzione dello spettatore. Giustamente leggero è l’intervento di Giorgio Gallione che si limita a dirigere pochi spostamenti in scena tra i musicisti, disegnare la geometria con lineari sedie nere, colorare il fondale di carta stropicciata, che evoca il fondo del mare o le pareti sporche di un vecchio tavern club o le ragnatele di una cantina.
I testi sembrano venir fuori dalla soffitta della coscienza di ciascuno di noi: sanguina il cuore a sentire le parole degli Scritti Corsari di Pasolini oggi; ogni nota, ogni attacco delle canzoni di De Andrè, è un cazzotto nello stomaco del pubblico, è un pianto secco.
L’apertura musicale è affidata a Se ti tagliassero a pezzetti che evoca la nostalgia degli ideali di libertà e di anarchia, per legarla alla rabbia infinita per il genocidio culturale a cui è destinata l’umanità, nel progresso inutile e dannoso, profetizzato da Pasolini.
I due poeti si incontrano simbolicamente in Una storia sbagliata dedicata proprio alla morte di Pier Paolo, una storia di periferia, una spiaggia ai piedi del letto, stazione Termini ai piedi del cuore.
Alla critica del consumismo, tanto cara a Pasolini, ormai definitivamente compiuto, che ci ha reso marionette dell’economia, consumatori colpevolmente incoscenti, De Andrè risponde col valzer allegro di Ottocento, dove danzano tappeti di contanti e rotolano biglie, Marcorè incalza il pubblico con le miniere congolesi di coltan per fabbricare i cellulari, prolungamento automatico delle nostre mani e dei nostri cervelli, beni superflui che rendono superflua la vita.
È presente il meridione d’Italia con Don Raffaè e gli sversamenti di mercurio del Petrolchimico nel mare di Siracusa, per i quali ancora oggi si attende la fine delle indagini. Il canto struggente a cappella di Gioua in Korakanè, denuncia l’ignoranza e il meschino razzismo violento contro i Rom, con il racconto del ritrovamento dei piccoli corpi aggrovigliati nel rogo della roulotte. I bambini facendo il girotondo ascoltano Volta la carta, i bambini affamati, sfruttati, venduti, arruolati dalla guerra.
E poi Anime Salve, l’ultimo album, il più maturo, il più disilluso e doloroso di De Andrè con Ivano Fossati, irrompe con Smisurata Preghiera a darci la speranza della ricerca di una goccia di splendore, del viaggio in direzione ostinata e contraria per invertire la rotta verso l’autodistruzione, prima che la favola degli uomini del Duemila non sia raccontata solo dai topi, unici sopravvisuti in un futuro non così lontano, quando tutto finì in trenta secondi di diretta tv e quattro spot.
Gli arrangiamenti musicali rendono giustizia alla potenza espressiva di De Andrè: anche se ci manca la voce rugosa di Faber, Marcorè ne restituisce l’intensità, la commozione, la forza della denuncia. Quello che non ho è un grido di dolore tormentato e straziante, che lancia nel vuoto il senso della colpa collettiva, dell’impotenza del presente, quando si affaccia sulla scena l’ironia è così pungente da essere tragica, colora di nero le macerie morali del nostro Paese.
Marcorè invita tutti noi a non dire niente e a guardare il buio alla ricerca delle lucciole, di cui Pasolini prevedeva l’estinzione, e aggiungiamo a vedere oltre Le nuvole dell’animo ad occhi ben aperti, quelle che vanno, vengono, ogni tanto si fermano, e quando si fermano, sono nere come il corvo.
Info:
QUELLO CHE NON HO
con Neri Marcorè
drammaturgia e regia Giorgio Gallione
canzoni Fabrizio De Andrè
scritte con Massimo Bubola, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Mauro Pagani
voci e chitarre Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini
scene e costumi Guido Fiorato
luci Aldo Mantovani
produzione Teatro dell’Archivolto
Teatro della Pergola
7 Mar 2017 – 12 Mar 2017