In scena al Teatro Marconi il 13 e il 14 marzo: QUEL NOIOSO GIORNO D’ESTATE, testo e regia di Niccolò Matcovich, con Federico Antonello, Francesco Aricò e Riccardo Pieretti.
Gli spettatori, varcata la soglia del foyer del Teatro Marconi, calpestavano un pavimento coperto di fogli di quotidiani accartocciati, due figure, con luminose lampadine al collo, vendevano per un penny sonetti shakespeariani. Entrati in sala, gli attori Piero Grant e Alessio Rizzitiello, si esibivano in proscenio, davanti al sipario, con la loro performance “Tutta questione di c. c.”, a seguire, Rosso Petrolio, cantautore, ha presentato due brani di “Chronicles of a naufragio”, preceduti dalla lettura di un componimento poetico, tratto dalla raccolta edita assieme all’album. Questi momenti performativi, atti a miscelare insieme diverse arti e ad includerle tutte nello spazio prettamente teatrale, hanno aperto la serata.
A seguire, finalmente, QUEL NOIOSO GIORNO D’ESTATE, regia di Niccolò Matcovich. Sul palco rialzato del Teatro Marconi, un recinto d’irregolare altezza delimitava un’area ovale. Al suo interno: una panchina e un lampione acceso. Siamo in un parco, quel recinto ricorda probabilmente uno di quei muretti in pietra o in cemento che solitamente vi si trova. La luce del solo lampione illuminava fiocamente la scena, quando d’un tratto, “cazzi tuoi, cazzi tuoi, sono cazzi tuoi”, suoneria cantata da un vecchio telefono, è giunta all’orecchio dello spettatore. Entrano tre ragazzi: “il negro” a destra, Trevor – Federico Antonello , al centro Francesco – Francesco Aricò , fratello minore di Mike – Riccardo Pieretti, sulla sinistra. Entrano vestiti solo con mutande nere. Tre luci azzurre illuminano e inquadrano i volti. Confessano un omicidio “lo abbiamo fatto per gioco”, “per gusto”, “e per divertimento”. Mentre Trevor rappa sui rumori vocali di Mike, i tre entrano nell’ovale e indossano i vestiti, disposti come loro sagome, sulla panchina. Felpa blu per Trevor, gialla per Francesco, rossa per Mike. Sono tre adolescenti; Francesco, quindicenne, è poco più giovane degli altri due. Il dialogo tra i tre restituisce una chiara fotografia dell’adolescenza: l’ingenuità ancora non svezzata da un lato, la voglia di crescere in fretta o l’ostentazione di una presunta maturità dall’altro. Commenti osceni rispetto alle donne che vedono passare o correre nel parco, l’esibizione di un iperattivismo sessuale, sconfessato subito dopo, risse violente che coinvolgono i personaggi ponendoli a giro l’uno contro l’altro, dimostrazioni di forza e di potere, sono tutti elementi atti a insinuare gradualmente e inconsapevolmente nella mente dello spettatore ritratti precisi dei protagonisti, del loro passato.
Matcovich scrivendo il testo, fa ammettere ai personaggi immediatamente, subito, il crimine da loro commesso, si libera tempestivamente dell’elemento di scandalo, di giudizio, perché non gli interessa. L’omicidio è pretesto non colpo di scena o climax finale. Da quando i tre entrano nell’ovale, Matcovich descrive, attraverso di loro, la noia, quella che attanagliando le esistenze dei tre adolescenti li muove al crimine, gusto e divertimento. I tre attori riescono addirittura a far dimenticare allo spettatore dell’omicidio quasi fino alla fine dello spettacolo, concentrandosi tutti sulla costruzione delle dinamiche relazionali che li lega tra loro, al mondo e al loro passato individuale. Il “negro” Trevor, adottato, non conosce i suoi genitori biologici e non vuole farlo, nega il suo smarrimento identitario con violenza, a tal punto che osa inventarsi, sprezzante e per questo tragico, rapporti sessuali avuti con la sorella adottiva, che in realtà lo mantiene e provvede completamente a lui. I due fratelli hanno subìto il lutto del padre, la madre è depressa e abusa di psicofarmaci. A chiamare ripetutamente al telefono Mike è lei, che acquista emblematicamente consistenza scenica attraverso la suoneria “cazzi tuoi”. Francesco, il più piccolo dei due fratelli, ha un atteggiamento critico nei confronti della madre e sensi di colpa nei confronti della morte del padre. “Eroe”. Nonostante, in prima istanza, sembrano i due più grandi a “comandare”, ad avere “potere”, è Francesco, il più piccolo, ad essere il più lucido e il più concreto. Francesco non mente mai. Francesco non ha bisogno di dimostrarsi spavaldo e gradasso come gli altri. Francesco spara.
Anche se lo spettacolo ha avuto una partenza piuttosto lenta e il momento dell’interrogatorio iniziale è stato, purtroppo, brevissimo, i tre attori con cui Matcovich stavolta ha scelto di collaborare si sono manifestati eccellenti e calibratissimi, sinergici e complementari. Trevor – Federico Antonello ha dimostrato un carisma brillante e caldo, esplosivo. Mike – Riccardo Pieretti attore pulitissimo, padroneggia tecnicamente il corpo e la voce con una naturalezza tale da annientare totalmente il rischio di faziosi virtuosismi. Migliore in scena, se può essercene uno, è stato sicuramente Francesco – Francesco Aricò coinvolgente e camaleontico, capace di passaggi di spirito e temperatura drastici e repentini, imprevedibile con raffinata precisione.
Niccolò Matcovich registicamente è capace di orchestrazioni complesse giocate sia su partiture fisico-vocali macroscopiche, come in SURGELAMI, sia su partiture fisico vocali microscopiche, cesellate. In questo caso, chiudendo gli attori in uno spazio piccolo, ovale, già abitato dalla panchina e dal lampione, costringendoli nel movimento, ha riposto particolare attenzione al più piccolo dettaglio: ha rinunciato all’ampiezza, ma in quell’ovale-microcosmo ha sfruttato e moltiplicato esponenzialmente tutte le possibilità consentite, restituendo una qualità e una quantità dinamica capace di sconfiggere il limite spaziale, l’ostacolo autoimposto.
Unico neo di questo spettacolo: la location. Il palco del Teatro Marconi, come detto all’inizio, è sopraelevato rispetto al pubblico. Considerando che il recinto si alzava, nei punti più alti, fino alle ginocchia degli attori e considerando che alcuni passaggi li volevano distesi al suo interno, gli spettatori non godevano di una visuale completa: il recinto diventava ostacolo visivo. Inoltre, essendo esplicito scopo non tanto di raccontare un fatto di cronaca, l’omicidio, quanto più di far penetrare lo spettatore dentro le dinamiche psichiche e comportamentali dei tre personaggi criminali attraverso la descrizione di una situazione mentale, quella della noia appunto, porre lo spettatore in alto rispetto al palco, gli avrebbe consentito l’ingresso nell’ovale stesso, un punto d’osservazione quasi scientifico, obiettivo, totale rispetto all’oggetto mostrato e analizzato, prossimo.
Ancora una volta, Matcovich ha mostrato la sua incredibile versatilità e ha scelto strumenti, gli attori, affinati e disposti ad affidarsi completamente al suo genio artistico. Sarebbe meraviglioso poter godere l’esperienza di questo suo lavoro nuovamente, altrove.
Visto il 13/03/2017
Info
testo e regia Niccolò Matcovich
con Federico Antonello, Francesco Aricò e Riccardo Pieretti
Compagnia Habitas